È possibile che possano esistere luoghi tanto bui e spaventosi da bloccare il respiro? A volte sì e in genere non sono fisici. Il buio è dentro di noi, portato il più delle volte da vicende che non ci appartengono, o meglio, che abbiamo vissuto senza volerlo, nostro malgrado. Che ci sono state buttate addosso a dispetto dell’età e del sesso. A me è successo per entrambe le cose. Mi chiamo Andrea e sono una donna. Ormai quasi quarantenne, sposata con un uomo che mi ama e che adoro, tre figli e una vita che posso definire agiata, insomma, senza troppi problemi. Abbiamo appena finito di traslocare dalla casa di La Spezia per trasferirci a Viareggio, dove Stefano ha dislocato il laboratorio da panettiere, insieme ai suoi fratelli. I ragazzi sono stati meravigliosi, come sempre. Hanno dato una mano, soprattutto per quanto riguarda il mangiare. Enea, che frequenta l’alberghiero e vuole diventare chef, ha preparato per tutti. Klara, invece, mi ha aiutata a sistemare le cose negli scatoloni sparsi per casa…imballare piatti, bicchieri e cose del genere. Il più piccolo, Arber, frequenta anche lui l’alberghiero e anche se quello scelto è quello di barman, ha aiutato il fratello in cucina. Gli operai hanno finito da poco i montaggi e di lasciare scatoloni sparsi per casa. Stefano è dovuto andare al lavoro. Ai ragazzi abbiamo dato la libera uscita e io sono rimasta sola con un silenzio irreale intorno a me. La casa è bella, ma ancora non la sento mia, ci vorrà un po’ di tempo perché ciò accada. Per prima cosa dovrò aprire gli scatoloni e sistemare tutto: vestiti, quello che va in cucina, i bicchieri nella vetrinetta del salone, le cose dei ragazzi. Tutti i miei libri…ma adesso sono stanca.

L’opinione
La scatola del buio, di Aurora Dibra, PlaceBook Publishing 2023, è un libro dalla scrittura essenziale e a tratti povera, ma dai contenuti forti e spiazzanti. La protagonista si chiama Andrea e i suoi fantasmi, quelli più neri e devastanti, vivono in una scatola di cartone, che la donna porta con sé da sempre, trasloco dopo trasloco. È chiusa con un nastro rosso quella scatola, è piena di fogli e di foto e va relegata in soffitta. Non può imbrattare la tranquillità della casa, perché a differenza delle altre volte, non deve rimanere chiusa; il dolore non può restare distante, altrimenti ne uscirà sempre vincitore.
Oggi è un anno che sono con voi ma ci siamo conosciuti prima noie già ci siamo conosciuti due anni fa quando con i miei figli bussai alla porta e voi mi avete accolto a casa vostra, avete ascoltato la mia storia, mi avete aiutato senza nessun interesse per il semplice fatto che siete persone belle.
È da queste parole e dalle lacrime che cadono sul foglio sul quale sono scritte, che Andrea inizia a raccontarsi. È la più grande di tre fratelli, di cui uno con una grave disabilità mentale. Vive a Scutari con la sua famiglia, in un’infanzia fatta di povertà, freddo e fame: come se questo non bastasse, il suo genitore è un padre padrone, violento, che puntualmente ammazza di botte la sua mamma e che picchia sua figlia, una bambina di cinque anni, con calci e pugni, solo perché, per contrastare i pidocchi, ha tagliato i capelli corti.
È straziante il ricordo di quando la bimba è costretta a confessare quello che non ha fatto: ha solo sette anni ed è accusata di aver rubato le chiavi del vicino per far giocare suo fratello Bledi in casa sua. Proclama a gran voce la sua innocenza, ma suo padre non vuole sentire ragioni e la frusta fino a quando, per le atroci sofferenze, non confessa. Per questo si odia profondamente: una bimba arriva ad odiarsi, nonostante tutto.
Non si può fare riferimento allo stile o alla musicalità: non c’è nulla di tutto ciò in questo volume, che è fatto solo di persone, di dolore, di sofferenza e di vita vissuta. È fatto di occhi che guardano e bocche che tacciono, di quell’onore che non va sporcato e mantenuto a suon di botte, di amore, di aiuto e di reclusione dell’anima.
È una donna che narra la sua storia, una delle tante anonime donne, bambine che passano inosservate e con esse il loro corpo sfregiato dalla violenza che non è concepita come tale, ma come educazione e forma di rispetto. È la pura distorsione della realtà, che ancora oggi campeggia, perché questa narrazione è del nostro momento, è quello che, troppo spesso, facciamo finta di non vedere.
È travolgente la forza della protagonista, che cerca e trova il riscatto, che si impunta con se stessa, affinché il suo spirito non rimanga ammorbato dalle brutture che la vita le riserva. Leggiamo questo libro e amiamo Andrea: è il minimo che possiamo fare, perché la responsabilità della sua sofferenza è anche un po’nostra.