La donna arbëreshe ieri, oggi, domani è un prezioso volume, edito nel 2018 dalla casa editrice Il Coscile, che porta la firma di quattro donne Emilia Blaiotta, Lucrezia Lindia, Flavia D’Agostino e Lucia Martino, con la prefazione di Adela Kolea. Una cooperazione tutta al femminile, a sostegno della conoscenza e della salvaguardia della cultura arbëreshe. Il libro è impreziosito dalle foto, altamente evocative, di Pierfrancesco Ferrari.
Un variopinto microcosmo
Il mondo arbëresh è un piccolo universo dalle peculiarità multiformi, spesso profilato come esotico, che stimola la curiosità, intriga e appassiona. In verità, la realtà arbëreshe non ha nulla di “stravagante”, bensì profuma di tradizioni, usanze, costumi, Storia, attaccamento alle radici e di dura lotta per la conservazione di quanto si è tramandato per secoli. Un concetto ben spiegato nella premessa a cura delle autrici.
Oggi la situazione è profondamente mutata, con risvolti positivi e negativi. Infatti, se per un verso si è pervenuti a leggi di tutela sia nazionale che regionali, le quali riconoscono e incoraggiano la salvaguardia e valorizzazione delle minoranze etnico-linguistiche dell’Italia, per un altro verso sono in atto processi di omologazione che rischiano di cancellare in breve tempo quanto si è mantenuto e tramandato – nel caso degli arbëreshë – per oltre cinque secoli.
Il libro racconta degli albanesi d’Italia attraverso il ruolo della donna nella comunità, che con le sue azioni quotidiane (la cura del focolare domestico, dei figli, dei lavori come il cucito e della preparazione del cibo) dà un notevole contributo affinché vengano mantenute e tramandate la cultura e l’identità degli arbëreshë. È duplice l’idea che ha portato alla sua pubblicazione: da una parte la voglia di trasmettere quanto appreso e analizzato per esperienza vissuta o per motivi professionali in merito al patrimonio arbëresh e dall’altra l’urgenza di sostenerne la conservazione.
La donna è il fulcro della narrazione e il cibo ne è il filo conduttore: una scelta azzeccata quella delle autrici, che hanno visto nella tradizione culinaria un valido e indispensabile mezzo, utile per la trasmissione degli usi e del profilo identitario.
[…] la preparazione degli alimenti base, come il pane e le provviste in genere, rappresentavano momenti di partecipazione corale della parentela e del vicinato e quindi un’occasione per rinsaldare le relazioni e riproporre le usanze, sia perché ad alcuni cibi viene attribuita anche una valenza di ritualità strettamente legata alla specificità religiosa – la liturgia bizantino-greca – per la quale l’accostamento al Divino non avviene solo attraverso “la parola” ma coinvolge tutti e cinque i sensi.
Il volume contiene una ricca prima parte, in cui si fa una dettagliata riproduzione dell’ambiente di vita della donna, per poi snodarsi in quattro sezioni, ognuna di esse corrispondente a una stagione dell’anno. In ogni capitolo si ritrovano le principali festività relative al periodo, le ricette delle pietanze legate alle ricorrenze e le usanze rispettate.
Da Frascineto in poi…
A partire da pagina 19, il mondo rappresentato assume le parvenze dell’incanto; si narra di Frascineto, la località situata ai piedi della catena del Pollino e della sua nascita, delle ondate migratorie che nel corso di cinque secoli hanno portato alla creazione di circa cinquanta comunità, integrandosi con gli italiani,
ma con la loro lingua, la loro liturgia religiosa, i loro sontuosi e preziosi vestiti, i loro riti e usanze e, pur non essendoci una continuità territoriale tra le varie Comunità, tutte insieme costituiscono una piccola patria ideale, l’Arberia.
Il racconto va avanti con un corposo riferimento alla religiosità greco-bizantina e a quelli che sono alcuni elementi che meglio caratterizzano la liturgia bizantina, ricca di gesti simbolici, di canti, che vengono ripresi da cori di donne, tra i profumi degli incensi derivanti, nella maggior parte dei casi, dai monasteri greci. Come non rimanere incantati dalle meravigliose e colorate icone, dai significati ben precisi.
Alcune definizioni:
Simbolo, in immagini reali, di una realtà più alta.
Sguardo sull’Eternità.
Tesoro della Chiesa indivisa.
Confine tra visibile e invisibile.
Gruccia della spiritualità
Le autrici spiegano molto bene alcuni particolari delle spettacolari immagini che le icone incorniciano: sia i Santi che gli Apostoli, per esempio, hanno la bocca piccola, che serve loro per cantare le lodi del Signore e allo stesso tempo posseggono orecchie molto grandi, per ascoltarne la Parola. Forniscono, anche, un’accurata spiegazione dei significati dei colori: il rosso sta a indicare l’umanità, l’azzurro la divinità, l’oro l’incorruttibilità.
Il linguaggio, la donna, gli abiti
Il viaggio prosegue con il canto del buongiorno, un racconto popolare cantato, chiamato kalimera. Ogni festività ha la sua kalimera ed è suggestiva l’immagine delle voci femminili che riecheggiano per i vicoli, cantandone le parole. È interessante il breve excursus nel mondo della lingua arbëreshe, parlata da tutti gli albanesi d’Italia e preoccupante la riflessione, secondo la quale, sembra che il suo uso, oggi in larga parte, si stia perdendo. Si sottolinea quanto sia naturale il processo di trasformazione e l’assimilazione di termini italiani o dialettali, pur essendo declinati nel discorso come fossero originali. Di che lingua parliamo esattamente?
Essa appartiene al ceppo indoeuropeo e gli studiosi sostengono una sua possibile discendenza dall’antica lingua degli Illiri, più per considerazioni storiche che linguistiche, data la scarsità delle fonti. […] Il suo alfabeto, unificato nel 1908, si compone di ben 36 lettere-suoni, di cui 7 vocali, 22 consonanti e 7 diagrammi.
E torna la donna a essere protagonista, questa volta in veste di poetessa. A differenza di altri mondi, nell’universo arbëresh ella è particolarmente propensa alla poesia, cosa favorita dall’ambiente e dal rispetto delle tradizioni. Tra le poetesse più note ci sono alcune che non hanno alcuna istruzione scolastica, come Maria Markut, semianalfabeta, che ha composto mentalmente le sue liriche, interpretandole. Così recita la strofa di un suo componimento, che vede il vino protagonista:
Chiunque beve questo vino/Non invecchia e vive a lungo/Bevetelo tutti bevetelo con amore/Che vi dà forza e colorito. /Quando è nel bicchiere è tutto luce/Bevete il vino che si fa a Frascineto/Che a chi l’ha bevuto è spuntato un sorriso/Bevete il vino che fanno gli arbëreshë!
Le donne sono le figure principali della gjitonia (un insieme di quattro o cinque case le cui porte sono rivolte verso uno stesso spiazzo, collegato a sua volta con altri spiazzi tramite un breve sistema viario), dove trascorrono parte del tempo libero insieme. Le autrici evidenziano l’importanza dei costumi e degli abiti tradizionali arbëreshë, in quanto narratori di Storia e di identità.
Comunque sia, una cosa è certa: il costume femminile è un elemento fortemente identitario nell’immaginario collettivo delle persone di etnia albanese, com’è testimoniato dal fatto che in Albania ancora oggi ogni villaggio ha il costume che lo identifica. […] Nelle case di Frascineto ne sono custoditi alcune centinaia!!!
Le quattro stagioni
Ed è qui, dopo il corposo riferimento agli abiti tradizionali femminili e alla donna arbëreshe emigrata, che inizia un tripudio di profumi e colori, cibi e usanze, in una danza di tradizione e prelibatezze, con le quattro stagioni della cultura arbëreshe. Si parte con l’autunno, quando la donna si organizza per affrontare l’inverno preparando le provviste, il mosto cotto e con la lavorazione dei fichi secchi. Sono varie e gustose le ricette sulla lavorazione dei fichi, delle olive e dei piatti legati a due importanti festività del periodo: la Natività di Maria che ricorre l’8 settembre e l’Innalzamento della croce del 14 settembre, entrambe con la specifica icona.
Si prosegue con l’inverno, in cui si utilizzano le provviste accumulate e se ne consuma una un po’ più particolare: la carne di maiale. In alcune famiglie si compie il rito del maiale, che dà vita a piatti succulenti. Il Natale è la prima festività solenne dell’anno, celebrata allo stesso modo che in Calabria. È splendido il repertorio di ninne nanne della Natività.
La mammina non aveva/ di che cucirgli un camicino/ strappò il grembiule e glielo cucì/ e il Bambinello le sorrise
Sono gustosi e colorati i dolci natalizi e ricchi i piatti di carne, in una stagione in cui ricorre anche la settimana dei defunti. Ben sette giorni dedicati alla memoria di chi non c’è più, una commemorazione che rientra nel ciclo delle feste mobili dipendenti dalla Pasqua e che si ricorda con la preparazione di piatti particolari, profumati e bellissimi da vedere.
Arriva la primavera con i suoi fiori sgargianti, a immagine speculare della Pasqua, dei suoi dolci e i suoi piatti freschi e primaverili: i kuleçet, i bocconotti con ricotta, i biscotti lessati, senza trascurare l’agnello e il capretto.
L’estate è la stagione dell’esplosione di fiori e frutti della terra, che contribuiscono a imbandire la tavola di nuove pietanze. Peperoni, pomodori, cetrioli, melanzane, zucchine, patate novelle, si prestano per infinite modalità di preparazione, sia da soli che in abbinamento ad altre verdure e ortaggi, che a carni.
Concludendo…
La donna arbëreshe ieri, oggi e domani…tra sacro e profano è un piacevole viaggio nel mondo quotidiano di una popolazione dal profilo identitario originale, compiuto attraverso i piatti tradizionali e la vita della donna, a rappresentazione di un’affascinante collettività. Come specifica Adela Kolea nella prefazione:
Si tratta di un volume, il primo e unico nel suo genere, che raccoglie come in una vera e propria enciclopedia tanti elementi che in modo trasversale attraversano l’universo femminile arbëresh. E essendo la donna, la genesi, colei che procrea e si prende cura dei figli, dell’intero focolare, una figura modello e guida verso lo studio di un intero stile di vita, non poteva la raccolta in questo volume escludere la posizione e il ruolo rilevante della donna arbëreshe.