Edmond stappò la bottiglia del fernet, con il pane ed i fagioli ancora in bocca. Riempì il bicchiere. Ruttò. “Oggi, 16 ottobre 1978, il popolo albanese celebra magnificamente, coi suoi successi in ogni campo della vita e adempiendo largamente i traguardi produttivi piani-ficati, il genetliaco del nostro amato capo del Partito. Stiamo trasmettendo l’edizione principale delle notizie di Radio Tirana”, ma lui non ci prestava granché attenzione.
Quando riempì il secondo bicchiere, fuori iniziò a tirare un vento da pazzi. Le finestre iniziarono a vibrare. Poi presero a cadere i goccioloni di pioggia sui vetri, pioveva a scrosci con un suono petulante, intervallato alle raffiche di vento. “Pare che non menzionino più la Cina in ogni frase” – pensò. Tolse il piatto ed il cucchiaio, li portò nel lavandino. Li sciacquò con acqua fredda e girò il piatto.
Ci lasciò il cucchiaio di sopra. Pulì la tavola. Girellò per la casa con la sigaretta in bocca, perché non aveva nessuna voglia di andarsene a letto tanto presto. Si sedette a prende una cartella con tavole di masonite. Voleva semplicemente rimandare il sonno, anche solo per un altro bicchiere. Con il terzo bicchiere, ebbe l’impressione che gli fosse passata la stanchezza accumulata. Ricordò con piacere che l’indomani aveva una giornata facile. La pioggia fuori si era trasformata in temporale. Aveva voglia di bere ancora un altro bicchiere, ma gli venne sonno. Prese la radio nella stanza. La sintonizzò sulla Rai con il volume molto basso. Si mise sul letto, dopo di che partì per il paese del sonno. Si svegliò più tardi, quando fece fresco, quasi freddo. Spense la radio. Domani, disse a voce alta. La pioggia cadde a tratti dopo la prima tempesta. Dopo ogni interruzione, veniva giù un altro acquazzone. L’alba biancheggiò monocolore. Il sole, quando uscì, durò quanto una goccia di latte nel caffè. Edmond lo vide solo una volta in cima alla montagna, in mezzo al turbine delle nuvole come una chiazza bianca sul muro colore blu acciaio dell’aria. Poi si sciolse.
Strizzò gli occhi per guardare l’orologio. Poi a voce, per far sentire a se stesso che era sveglio, disse: vediamo una buona volta se è stato eletto il Papa! La radio a batterie gracchiò, mandò un suono di cosa che scricchiola e si sbriciola, di metallo strofinato contro un muro. Edmond si fregò gli occhi, come se cercasse di leggere meglio le lettere delle parole sulla radio celeste: “Illiria” 2 bande – 8 transistor – Volume – Sintonia, “M” l’interruttore nero, “S” le onde medie e corte. Alzò un po’ il volume. Poi, con cura, pulì la frequenza e quando meno se lo aspettava, l’altoparlante sparò: “Campari eeee allegria!”. Edmond abbassò il volume con così tanta irruenza che si sentì la radio gracchiare una seconda volta. Il silenzio rotto e ristabilito gli sembrò come una materia che stava in aria nella stanza e si spingeva, tremando, con impazienza dietro al vetro della finestra. Tese l’orecchio per ascoltare il notiziario radiofonico a basso volume. C’era ancora tanto silenzio.
La voce dell’annunciatore passò quasi impercettibile, dal buio delle onde, per le fredde viscere della radio, quindi, attraverso l’altoparlante, uscì nel buio fresco della stanza ed entrò nell’altro buio del suo orecchio come se si fosse accesa una luce. Buongioooorrrnooo a tutttiii! Ieri, in data 16 ottobre 1978, dopo tre giorni dal sabato, il conclave ha eletto il nuovo Papa, il cardinale polacco Karol Józef Wojtyła con 99 voti su 111, al terzo giorno. Il Papa ha accettato l’elezione con queste parole: “Con convinzione nella fede in Cristo, mio Signore, e con fede nella Madre di Cristo e nella Chiesa, incurante delle difficoltà, io accetto”. Il Papa ha scelto il nome Giovanni Paolo Secondo, in onore del defunto Papa Giovanni Paolo Primo. Il Papa si è rivolto ai credenti fuori dal consueto protocollo del Vaticano: “Cari fratelli e sorelle, noi siamo amareggiati della morte del nostro caro Papa Giovanni Paolo Primo, il doloroso fatto per cui i cardinali furono convocati per eleggere un nuovo vescovo di Roma.
Lo hanno chiamato da una terra lontana… lontana e nonostante ciò vicina, a causa del nostro legame nella fede delle tradizioni cristiane. Io avevo paura di assumermi questa responsabilità, nonostante ciò me la sono assunta, nello spirito dell’obbedienza verso il Signore e la completa fedeltà verso Maria, la nostra santa madre. Io sto parlando con voi nella vostra lingua… No! Nella nostra lingua italiana. Se faccio qualche errore, vi prego, “mi corriggerete…” – ha detto il Papa, con spirito, storpiando intenzionalmente l’italiano “mi correggerete”…Papa Wojtyła è il 264° nella lista cronologica dei papi, ed è il primo non italiano in 455 anni. All’età di soli 58 anni egli è il più giovane dei papi… – qui la radio tacque per via della mano di Edmond, che si era raccolta come una lumaca. “Bismillah!” diss’egli e saltò di gioia “Il nostro polacco è diventato Papa.” La voce passò nel crepuscolo che si rompeva cedendo alla luce, come se fosse una materia che puoi prendere con la mano.
Cercò alla cieca sul pavimento per trovare le calze. Dalla bocca gli usciva velocemente il soffio della gioia. Il sorriso gli si coagulò sulla faccia e pian piano si cambiò in una smorfia di disappunto. Si sedette sul letto a testa bassa. Nell’indistinto grigiore delle formelle del pavimento di calcestruzzo, punteggiato da tristi costellazioni di pietrisco grigio, le macchie nere delle calze davano nell’occhio. Stiracchiò il corpo rattrappito dal sonno, cercando di scuotersi dal torpore. Il tintinnio del vetro che tremava per il tempaccio di fuori lo indusse a guardare di nuovo l’orologio. Si alzò ed accese la luce.
Prese la radio e spostò la freccia della sintonia fino a puntarla sul canale di Radio Tirana. Spense la radio. Aprì la finestra. Mise fuori la testa e sbadigliò un paio di volte per misurare il freddo. Ebbe l’impressione che quella strana gioia fosse uscita segretamente fuori insieme al respiro, in forma di vapore, e adesso se ne andasse per la città sotto il cielo plumbeo, come un piccolo fantasma pauroso, benché invisibile. Andò in bagno. Si fermò davanti allo specchio per vedere con i propri occhi il sorriso coagulato sulle labbra. Si passò una volta la mano sulla faccia mal rasata, fece per uscire, sulla porta del bagno si fermò ancora, guardò di nuovo l’orologio, rinfrescò la faccia con un altro sorriso trionfante che gli riuscì un po’ meno bene del primo, e disse a voce alta: Oggi serve una rasatura fresca, come per una festa di nozze, tongzhi Sulejman – il compagno Papa è il nostro polacco!

L’opinione
Questo è un romanzo sull’immoralità della dittatura e dei dittatori. Con questa frase si apre la prefazione al libro L’epica delle stelle del mattino di Rudi Erebara, vincitore del Premio dell’Unione Europea per la Letteratura 2017 (nella versione albanese), un libro atto a sottolineare l’abominio perpetrato dal regime totalitario albanese; indubbiamente le dittature sono simili per alcuni versi, ma quella albanese è riconosciuta come la più sanguinaria. I comunisti che ammazzarono più degli eserciti occupanti della Prima e della Seconda guerra mondiale, per di più in tempo di pace, una popolazione inerme, erano albanesi, come le loro vittime.
Sangue albanese contro altro sangue albanese, una sorta di infernale escalation di lotta e violenza da parte dell’esercito contro i civili, con un numero indefinibile di persone arrestate, gente colpita anche nel proprio patrimonio e nella propria solidità famigliare. Ogni provvedimento è pensato per lo sfruttamento e la sopraffazione, in nome della Patria e dei servizi da rendere al dittatore. Si crea così una sorta di prigione anche per chi è apparentemente libero, perché infondo, nessuno lo è realmente.
Parla di meccanismo dittatoriale Erebara, di coercizione e imposizione, di impossibilità di uscirne, del pericolo che può palesarsi in ogni momento e in ogni situazione. L’uomo condannava la famiglia. La famiglia condannava
l’uomo. Non c’era salvezza. L’Albania è l’unico paese in cui l’ateismo sia stato imposto per legge, il paese in cui vennero demoliti i luoghi di culto, il paese in cui vennero uccisi e incarcerati hodja e preti.
E ancora narra di un’urgenza di intima difesa. In questa realtà, l’uomo fu costretto a creare un sistema vigile di difesa personale. Bisognava fare attenzione alle persone con cui si parlava, fare attenzione a che cosa si diceva, a che cosa si cercava, a quanto si spendeva, a dove si stava. L’albanese conviveva ogni giorno con la minaccia che la vita gli sarebbe finita in malora se non accettava la parte che gli veniva imposta nell’ingranaggio micidiale della dittatura.
Epika e yjeve të mëngjesit è il titolo originale del romanzo, ispirato al quadro di Edison Gjergo, pittore albanese imprigionato nel 1973 dal regime. L’opera raffigura alcuni partigiani – tra cui una giovane donna – intenti ad ascoltare la storia dell’Albania narrata da un rapsodo. La bella immagine sembra avere sullo sfondo l’alba, con il cielo colmo di stelle. Il quadro, non corrispondente ai canoni dettati dal realismo socialista, a causa della presenza di elementi rifacenti al cubismo e all’impressionismo, porta alla condanna dell’artista, accusato di ribellione contro il regime. È da quest’opera che parte la narrazione di Erebara, che decide di parlare della follia dittatoriale albanese, ispirandosi alla tragica esperienza del noto pittore, perseguitato e imprigionato in seguito all’esposizione nella galleria di Tirana de L’epica delle stelle del mattino.
Erebara cerca di rappresentare pienamente, non solo la storia dell’uomo, ma anche e soprattutto la psicosi del regime totalitario attraverso una certosina ricostruzione di ogni singola figura che anima il racconto. Per meglio spiegare le azioni del dittatore e quella forza di comando malata, la sua analisi si concentra principalmente sull’aspetto psicologico di ogni personaggio e soprattutto sulle doppie personalità.
Il protagonista è Sulejman, pittore di famiglia musulmana, che decide di cambiare il proprio nome in Edmond, in quanto più moderno e forse più adattabile alla realtà socialista. Una narrazione che si trasforma a due voci: quella delle apparenze di Edmond e quella della razionalità, dell’evidenza e della consapevolezza di Sulejman. Un emblematico sdoppiamento a rappresentazione di una società oppressa e malata, caratterizzata da due volti.
In merito all’edizione tradotta in italiano, va un importante demerito alla casa editrice Mimesis, per una trascurata revisione del testo che presenta un numero inqualificabili di errori e di conseguenza stralci che mancano di una corretta e comprensibile forma. Se si considera che il libro è stato prodotto con i finanziamenti della Comunità Europea, la cosa si fa ancora più importante. Auspichiamo che le casa editrice si ravveda.