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Da piccino nella svolta dell’Albania

Gjergji Kajana Gjergji Kajana
3 Febbraio 2023
Statua di Enver Hoxha

Statua di Enver Hoxha

Il giornalista freelance Gjergji Kajana, nel racconto Da piccino nella svolta dell’Albania, trascrive le sue percezioni di bambino relative al periodo che intercorre tra gli anni Ottanta e il crollo definitivo del comunismo in Albania. 

Gjergji appartiene a una famiglia del ceto medio albanese e assiste ai cambiamenti che avvengono nel suo Paese, in quel drammatico periodo chiamato Transizione. È il racconto vivace delle vicende di un ragazzino, permeato di accadimenti storici. Classe 1982, oggi Kajana è laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all’Università La Sapienza e vive a Roma.

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Accolgo il 1991 all’età di otto anni e lo saluto che ne ho già compiuti nove. Utilizzo la porta di un armadio grande, dove si depongono i vestiti di casa, per misurare creativamente la mia altezza, proprio come ho visto fare a un mio coetaneo in un film albanese della casa nazionale di produzione cinematografica Kinostudio Shqipëria e Re.

Il giorno del mio compleanno, segno con una matita, sull’anta dell’armadione, l’altezza che arriva appena sopra i miei capelli. I bambini vogliono attenzione da tutti e tante volte – come in questo caso – sono costretti a concedersela da soli. Il 31 dicembre del 1991 mi trova più alto di 365 giorni prima.

Frequento la seconda classe elementare e ho perfezionato lettura e scrittura, risultando versatile anche nella parlata di fronte alla classe. Sono un attento osservatore della realtà che vive intorno a me. Perfeziono le abilità intellettuali, segnando su un quaderno le partite di calcio del campionato albanese e poi alcune delle lezioni di italiano.

Del Mondiale del 1990, ho ricordi abbastanza vividi di tutto quello che ho visto in TV e so a memoria quasi tutti i risultati delle partite, grazie agli appunti presi su un bel calendario appositamente stampato in Albania, con la mascotte Ciao in prima pagina.

La mia preparazione sportiva sorprende gli amici e gli amici degli amici, che mi ascoltano increduli; non esito a citare tutto quello che so, appena mi stuzzicano. Non so se sono invidiosi, curiosi o vogliono prendermi in giro; infondo, non importa. Io le so tutte e provo un gran piacere per questo.

Comunque sia, a vedere il Tomori Berat del super bomber Kliton Bozgo (l’ho incontrato di persona anni dopo, essendo un cugino di un amico) ci andiamo tutti insieme, arrampicandoci sui cancelli dello stadio per non pagare il biglietto.

Non mi interesso alla politica, onestamente non saprei definirla e nemmeno dargli un volto (nel tempo le cose sono cambiate). Ho un vago ricordo di quando ero all’asilo e ho assistito alla cerimonia d’inaugurazione di una grande fontana nel centro di Berat. Mia madre era un’ insegnante, un’impiegata pubblica dello Stato e dovendo presenziare, decise di portarmi con sé (ho una bellissima foto insieme a lei, scattata vicino a quella fontana). A tenere il discorso era Ramiz Alia: oggi so chi è, ma all’epoca no.

Ho un ricordo molto vivo delle storiche file per l’approvvigionamento di cherosene e di un  membro della famiglia che sistemava il bidone metallico per assicurarsi il rifornimento. Il miracolo socialista era diventato un miraggio, le file significavano penuria. Il bambino dell’asilo, però, voleva solo giocare a pallone nella piazza del cherosene, ovviamente quando era libera dai bidoni. Quando cadde il Muro di Berlino non vidi nessuna pietra staccarsi e non ne ebbi notizia. Anni dopo, imparai a memoria le capitali d’Europa, ma in quello storico momento Berlino e il Muro caduto erano estranei alla mia conoscenza.

Del 1990 politico ricordo le immagini dell’assalto alle ambasciate del 2 luglio a Tirana trasmesse in TV e gli esplicativi sottotitoli dei video: Ambasciata della Repubblica Federale Tedesca, Ambasciata della Cecoslovacchia … Il bambino di otto anni ancora non comprende che sta scoppiando un pauroso incendio.

Quando siamo in mezzo agli eventi è impossibile fare qualsiasi riflessione che possa riguardarli. Protagonista del 1991 e della vita di un piccino appartenente a una famiglia di classe media di Berat, è soprattutto la TV, che ripercorre i fatti, diventati di colpo frenetici e la mole di accadimenti intorno a essi.

Girano i manifesti delle elezioni pluripartitiche, rinviate per permettere alla nuova opposizione politica di parteciparvi, oltre a due giornali della nuova opposizione di destra: Rilindja Demokratike (che va sempre a ruba) e Republika. Il piccolo schermo concede spazio ai nuovi volti della politica, come Namik Hoti, pittoresco ma colto leader degli ecologisti. Il Paese non ha (e tecnicamente ancora oggi non ha) il colorito della ideologia che Hoti rappresenta con il suo nome.

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Gli albanesi gridano: Vogliamo l’Albania come l’Europa! Tutti gli albanesi? Ovviamente no. La maggioranza vive in campagna e lotta materialmente per la sopravvivenza: a urlare sono i più coraggiosi. Una folata di ribellione abbatte, a Tirana, la statua del dittatore comunista Enver Hoxha, il tiranno di un Paese povero che si è adoperato nell’aiuto di gruppuscoli di comunisti italiani e nell’inneggiamento allo stalinismo trent’anni dopo la morte del georgiano.

Arriva poi il primo esodo del 1991: quello di marzo. E’ il flusso migratorio che ha più “successo” rispetto allo sbarco di agosto, (quello dell’odissea della Vlora), perché “questi di marzo” ottengono il permesso di lavorare legalmente in Italia.

Alla fine dello stesso mese si svolgono le elezioni politiche pluralistiche. Si sa che è nato il Partito Democratico, che però crolla. A Berat viene eletto un solo deputato durante i ballottaggi.

Dopo le elezioni arriva lo sfacelo materiale dello Stato albanese. I comunisti vincono, nonostante la parte anticomunista fosse molto più motivata e – dai giornali che in casa mia circolano in abbondanza – vengo a sapere che a Scutari, il 2 aprile, c’è stata una protesta con morti e feriti. Durante l’anno cadono tre governi e alla fine quello rimasto è tecnico. C’è penuria e lo si capisce dalla dicitura “Dono del governo italiano” che compare sulla confezione di alcuni alimenti.

Tempo dopo, uno scrittore italiano mi racconta che, visitando l’Albania in quello stesso anno come membro della Cooperazione Italiana, si trova di fronte a una grandissima povertà. Sull’asfalto malmesso vede girare i grossi camion militari dell’Operazione Pellicano, il cui nome è tutto un programma.

La svolta politica risiede, ormai, nel rafforzamento dell’opposizione. Dopo averlo visto in TV accanto al segretario di Stato americano James Baker, durante un raduno oceanico a Tirana, vedo con i miei occhi dal vivo, a Berat, il leader Berisha. Lo ascolto e noto in lui un senso molto popolare dello humour.

Una volta partite, le rivoluzioni devono compiersi. La nuova sommossa chiede la testa del vecchio regime e in Albania il 1991 diventa l’anno della svolta, quando l’Ancien Regime non può più tenersi in piedi perché i diseredati hanno reciso le catene.

Crolla ogni tipo di autorità: statale, accademica, familiare. Ritorna la religione. Il lascito più lungo di quell’anno si manifesta – in maniera molto grezza – sotto forma di voglia sfrenata di libertà di una nazione molto povera.

Da noi la paura è finita. E’ rimasta solo la fame

cita nel suo “Carovane d’Europa” (1992) il giornalista Massimo Nava: le parole di un anziano uomo di Durazzo che attraversò l’Adriatico con moglie, figli e nipoti. E’ il culmine della storia di albanesi “boat people”, che diventerà uno stereotipo stigmatizzante nel Bel Paese.

Non vedo più uno dei miei compagni di giochi e scorribande d’infanzia. Abitava al primo piano del mio palazzo. Vengo a sapere che è fuggito in Italia nascosto all’interno di una nave. Il coraggio della povertà stimola i nuovi Jean Valjean dell’estremo lembo dei Balcani. Il mare è quello che è stato nella storia: lo spazio di oltreconfine e non un muro d’acqua. È molto facile incontrare in Albania persone che hanno conosciuto la migrazione. La storia delle loro imprese parte proprio dal 1991.

Siamo gli ex piccini nati negli anni Ottanta, quando l’Italia era “da bere” e noi razionavamo l’acqua. Il 1991 ha aperto nuove porte, nuove frontiere, concedendo differenti possibilità perché il paese dove siamo nati, dopo un lungo travaglio, si è aperto al mondo. Il grido “Libertà” entra a far parte della canzone vincente del tradizionale festival canoro di fine anno, identificabile con il nostro Sanremo. La canzone vincente è “Jon” (“Jonio”) che descrive in maniera evocativa i viaggi della speranza.

Argomenti: Enver Hoxha
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