Obok, 1957.
Nella nostra casa dalle mille crepe sarebbe stata una sera come tutte le altre, se non mi fossi resa conto che dei piccoli pezzi d’intonaco iniziavano a staccarsi dal soffitto per caderci in testa. I bauli pieni di vestiti maleodoranti cominciavano a pregarmi di sbarazzarmene, mentre l’orologio appeso al muro chissà perché mi ripeteva che tutto ciò era normale. Non la pensavo allo stesso modo, non credevo che i litigi dovessero far parte della quotidianità, ma anche dopo tanti schiaffi a destra e a sinistra che la vita continuava a darci, evidentemente la cattiveria della gente non doveva aver fine. Dentro di me qualcosa stava iniziando a cambiare, ma non capivo cosa e perché. Anche se continuavo a essere una bambina impaurita, non smettevo mai di combattere e convincermi che in ognuno ci fosse qualcosa di buono. Quella sera cercavo di capire chi potesse avere ragione tra il cuore, che mi sosteneva, e la testa, che pensava il contrario. Continuavo a fissare l’orologio arrugginito, con le lancette ferme da cent’anni, il quale non faceva altro che peggiorare le cose rendendomi sempre più instabile. Non riuscivo a capire perché quell’inutile oggetto suscitasse in me nervosismo e agitazione, tanto da farmi uscire come una pazza a prendere un sasso per poi lanciarglielo contro e spaccarlo in mille pezzi. Subito dopo qualcosa dentro di me mi fece capire che quell’orologio non aveva colpa, non aveva fatto niente per meritare quella fine, ma ormai era troppo tardi. Cercai disperatamente di assemblare i pezzi e rimetterlo al suo posto chiedendogli scusa, ma fu inutile, così tornai nel mio letto, sperando di chiudere gli occhi, ma non ci fu niente da fare, alla fine mi arresi e salutai il sonno anche quella sera. Decisi di alzarmi nel cuore di quella notte, silenziosa come una piuma, per bere. Misi la testa sotto il rubinetto: soltanto l’acqua mi sembrava la stessa di sempre e l’unica medicina capace di calmare i miei nervi, ma mentre vagavo per casa fui più che sicura di non essere sola.
L’opinione
La stella della solitudine è il libro d’esordio di Bletana Hamzaj, autrice italofona, pubblicato nel 2022 dalla casa editrice Porto Seguro e ispirato a una storia vera. Siamo nel periodo dell’Albania rossa, quando la più elementare delle dignità umane è calpestata dal potere stringente e alienante della dittatura. Adi è una bimba di cinque anni, che vive in totale povertà, in una casa umida, con le pareti che cadono a pezzi: è numerosa la sua famiglia, la sua mamma non c’è più e suo fratello Fortan, un uomo egoista e cattivo, non smette di vessarla. Adi si occupa delle faccende di casa, come fosse un’adulta.
“Alzati è tardi, devi occuparti di tutte le faccende di casa, voglio che sia tutto in ordine per quando ritorno” disse Fortan con tono aggressivo, mentre sua moglie Diana continuava a rimanere immobile senza dire niente; sembrava una donna così innocente che mi faceva perdere la pazienza […] Mi alzai con molte difficoltà e iniziai a fare tutti i lavori piangendo e ridendo allo stesso tempo, non appena mi ricordavo della mia stella della solitudine
Nonostante tutto, la piccola trova il modo per alleviare il suo dolore e per acquietare le terribili voci che frullano nella sua testa, rifugiandosi sotto la luce di una cara amica, il lume della speranza, che identifica nel volto della sua mamma: una stella, la stella della solitudine. Quando Adi si sente sola, mortificata e stanca, la cerca e in lei trova conforto e la guida che illumina la sua Anima inquieta. Così cresce Adi, facendosi rapire dall’Amore che la porta lontano dal dolore, vivendo momenti di profondo sentimento, non compresi dalla sua famiglia, soprattutto quando si ritrova sola con un figlio.
Una donna divorziata, la vergogna della casa: l’urgenza di rimediare la conduce verso un matrimonio combinato e da qui la scrittrice tratteggia le vicende di vita della protagonista e del suo amore di mamma, della malattia e della forza, della massima espressione del desiderio che diventa realtà e dello stretto rapporto madre-figlia che mai avrà fine.
È semplice e acerba la scrittura della Hamzaj, che consegna al lettore una storia di alta drammaticità, pervasa da una potente energia positiva. L’Io narrante di Adi e quello di sua figlia Bety corrono paralleli, intersecandosi in un unico valore, carro trainante dell’intero racconto: l’Amore. È una forma di amore quella che Adi bambina prova per la sua stella, nei confronti della mamma scomparsa, del padre buono d’animo e soprattutto nei riguardi di se stessa, quando decide di andare contro tutto e contro tutti. È altrettanto palpabile l’amore di Bety per la sua Adi e in qualche modo, arriva anche l’apprezzamento della sofferenza, che nella malattia tutto insegna.
Nulla è perduto, la vita può essere estenuante, ma l’amore vince su ogni cosa, anche quando la morte arriva e il dolore si fa persistente, diventando un compagno fisso di viaggio. La stella della solitudine è un libro toccante, frutto di una giovane penna che di strada ne ha da fare per una buona convivenza con i righi, ma che riesce a toccare le corde del cuore, con profonda e genuina emotività.