Come mi aveva raccomandato la sera prima, alle sei e mezza la chiamai per svegliarla, ma Diana, la centralinista, disse che in quella stanza non rispondeva nessuno. Le chiesi di non interrompere la chiamata, pensando che la signora potesse avere il sonno pesante, ma dopo due, tre minuti Diana tagliò corto: non c’è nessuno, punto. Lasciai quindi alla reception Kujtim, il manutentore dell’ascensore, nel caso in cui qualche ospite fosse sceso per consegnare la chiave, e salii di corsa verso la stanza 304. Bussai, ma non percepii alcun segnale di vita all’interno. Bussai di nuovo e questa volta più forte, senza tuttavia ricevere risposta. Appoggiai l’orecchio alla porta, ma oltre al mio respiro affannato per la corsa, non sentii nulla. Tutto a un tratto, appoggiando il gomito alla maniglia, a dire il vero senza farlo apposta, la porta si aprì. Restai un attimo in preda all’indecisione: entrare o no? Qualcosa di spaventoso mi attraversò la mente: che vada come deve andare, mi dissi. Trovai la signora stesa sul lato del letto con una gamba penzolante, come se si stesse preparando ad alzarsi, con gli occhi talmente spalancati da non riuscire a capire la direzione, mentre, dalla bocca socchiusa, come in una smorfia, fuoriusciva una goccia di sangue ormai raggrumato. Ero disorientato. Era la prima volta che mi capitava di trovarmi faccia a faccia con un cadavere, anche se tutto sommato mi ripresi subito. Mi venne in mente all’improvviso che non si poteva toccare nulla…
L’opinione
Spunta un cadavere nell’incipit de La vedova innamorata di Virgjil Muçi, (Besa Muci Editore, 2021). Un delitto? Una morte naturale? I primi righi del romanzo contengono la risposta al quesito, su chi o cosa abbia tolto la vita a Maria Luisa, l’indiscussa protagonista della storia, che viene ritrovata morta in una camera d’albergo, a Tirana. Il filo conduttore del racconto è un ordinato ginepraio di elementi, che ruota intorno ai segreti della donna, ai sentimenti, alle più intime emozioni, a una vita che non le appartiene più, ai discorsi, ai pensieri, alla potente lucidità, al suo essere Maria Luisa.
Si tratta di una figura unica nel suo genere, quella della turista italiana, che si allontana dagli stereotipi della donna dell’epoca. È una persona dal profilo sofferente, celato dal rossetto e dalle unghie laccate e tradito dalle movenze tipiche di un’Anima tormentata dai più turpi pensieri. Sono apprezzabili le digressioni che la riguardano, una peculiarità della scrittura di Muçi, utili, come sempre, a meglio delineare il personaggio.
Maria Luisa si rivolge alla guida turistica, lo incuriosisce con le parole, fino a farlo diventare il suo più intimo confidente. Ilir è un giovane attento ed educato, che prende a cuore l’urgenza della forestiera, senza conoscerne le reali motivazioni: è un ragazzo di trent’anni fa, pregno di dubbi, di incertezze, ma capace di un’accoglienza senza eguali. La donna chiede di ritrovare una persona, persa di vista tanti anni prima e Ilir decide di aiutarla, rivolgendosi ai suoi conoscenti, cercando e trovando. Quello che non sa, è che l’elegante signora non gli sta raccontando tutto, che i misteri irrisolti, artefici del suo dolore, condizioneranno il giudizio futuro.
Il racconto parte a rilento, ma è un crescendo di fatti, di risvolti inattesi e di emozioni. La trama, che si snoda su due piani temporali differenti, alternando presente e flashback, in un perfetto equilibrio, è impreziosita da interessanti colpi di scena, in cui nulla è lasciato al caso. Il romanzo, redatto trent’anni fa, in albanese, è carico di un linguaggio fresco e di uno stile più dinamico, rispetto a quello che contraddistingue La piramide degli spiriti (Besa Muci Editore, 2019).
La volontà di Muçi, ancora giovane, è stata quella di creare, con Maria Luisa, un personaggio atto a rompere gli schemi del regime; una donna innovativa per quei tempi, che fa la turista in Albania, un Paese sconosciuto e chiuso, dove desidera ritrovare un passato perduto. A un certo punto, fa anche la “civetta” con un turista.
Un bel romanzo La vedova innamorata, nel quale si intravede la capacità narrativa di Muçi, la cultura di fondo che ha formato l’autore e la sua dedizione alla scrittura, che rimane semplice e lineare nella sua eleganza.