Un giorno come tanti altri giorni, il Ragazzo Senza Nome si rese conto di non conoscere la paura. Accadde quando tornò a casa da sua madre, che viveva sola dal giorno in cui suo marito, il padre del ragazzo, aveva lasciato la casa per recarsi in paesi remoti e sconosciuti. Il cuore della donna perse un colpo e la sua voce tremò prima che lei riversasse tutta la sua ansia su di lui: “Figlio mio, posso capire tutto, ma com’è che non hai
paura?” Il Ragazzo Senza Nome si girò di scatto. “Che cos’è la paura, madre?” Sua madre disse: “È difficile per me spiegartelo. La paura vive dentro di noi e ci difende dal male, dall’ingiustizia e dalla malvagità”. Impressionato dalle sue parole, il Ragazzo Senza Nome scattò in piedi e disse: “Per favore, madre, dimmi com’è la Paura perché penso che tu la conosca molto bene. Com’è il suo volto? E il suo corpo? Per favore, dimmi anche come si mostra a noi!” Perdendo la pazienza con quel figlio testardo, la madre gli disse: “Sei troppo giovane, figlio mio; la tua lingua parla prima della tua mente. In fin dei conti la vita è tua”. Dopo una pausa appena più lunga, il ragazzo disse: “Hai ragione, seguirò il tuo consiglio. Viaggerò per il mondo e vedrò di trovare la paura”. E scappò via.
Il ragazzo passò la notte in una foresta e la luce del mattino lo colse nel mezzo di un campo sconfinato. Aveva sete, così cominciò a cercare tutt’intorno dell’acqua e i suoi occhi individuarono un pozzo in lontananza. “Ah, correrò fino al pozzo per placare la mia sete e rinfrescarmi e poi riprenderò il mio viaggio”, disse il Ragazzo senza Nome. Quando arrivò al pozzo, fu sorpreso di non trovarvi né un secchio né un argano. Arrendendosi alla sua mala sorte, incrociò le braccia vicino alla bocca del pozzo e cominciò a guardarsi intorno per ammazzare il tempo. “Prima o poi verrà qualcuno ad attingere l’acqua e così avrò l’opportunità di bagnarmi la gola”, si disse il ragazzo. Ma nei paraggi non comparve nessuno per lungo tempo. Quando il ragazzo si era ormai rassegnato e si apprestava a riprendere il suo viaggio, gli si avvicinò una donna che si mise a gridare in preda al panico quando vide che stava appoggiato alla bocca del pozzo: “Cosa fai lì, figliolo? Non hai paura? Il pozzo è maledetto, l’Oscuro, che stia sempre lontano da noi, se ne è impadronito”. “Vattene, donna e pensa ai fatti tuoi. Ho lasciato la mia casa e le mie ricchezze proprio per una parola detta da mia madre e sto girando il mondo per trovare la Paura e vedere com’è e cosa fa”, scattò il ragazzo. Rimasta senza parole, la donna riprese la sua strada a testa bassa, sbalordita dall’assurda audacia dello straniero. Poco dopo che avevano finito di parlare, la testa di un enorme serpente venne fuori dal pozzo e mostrò i denti al Ragazzo Senza Nome come se volesse inghiottirlo in un sol boccone. Ma il ragazzo lo afferrò per la gola e lo tirò su finché non ebbe estratto tutto il serpente dal pozzo, poi sbatté la sua testa per terra finché la terribile bestia non giacque senza vita sul terreno. “Niente di nuovo nemmeno qui,” disse il Ragazzo Senza Nome, “devo riprendere la mia ricerca e vedere cosa riesco a trovare più lontano”. E riprese a muoversi lungo il sentiero sconfinato benché lui stesso non sapesse dove sarebbe andato quando il sole fosse tramontato e se avrebbe trovato un riparo per la notte. Anche la sua seconda notte fuori di casa la trascorse nella foresta e la luce dell’alba lo colse nel mezzo di nulla. Non sapeva cosa fare per placare la sua sete mentre i morsi della fame lo divoravano.

L’opinione
Streghe di Virgjil Muçi, per la traduzione di Francesca Sammarco, è una fiaba dal sapore acido. È il libro meno conosciuto dell’autore, la cui lettura non stimola sensazioni “fiabesche” o fantasie evocative e magiche, non scava nell’animo del bambino che è in noi, anzi, sembra quasi volerlo mettere in allerta, renderlo guardingo e diffidente.
Il Ragazzo senza nome è il protagonista che intraprende un lunghissimo viaggio alla ricerca della paura. Il suo incessante cammino lo porta in una stramba città, pervasa dal terrore. Al giovane vengono assegnati alcuni compiti da assolvere per liberarla, tra i quali dover ascoltare racconti che vedono protagoniste le streghe, quelle che realmente spaventano, perché non si possono riconoscere, come madri e mogli, che in piena notte diventano criminali.
Impossibile provare empatia per i personaggi che animano la favola. Non esistono principi e principesse, o rane in attesa di trasformarsi in bellissimi giovanotti. Il Ragazzo è arrogante, maleducato, aggressivo e tendenzialmente antipatico, le donne hanno un doppio volto e forse, a suscitare simpatia sono alcuni degli uomini che si accorgono del pericolo, tentando di sventarlo.
Virgjil Muçi con questo Streghe, dona vita a un universo fantastico, misterioso, a tratti irritante, ma piacevolmente singolare, condito dall’immaginazione lucida e pericolosamente vicina alla realtà. Siamo certi di conoscere veramente chi ci sta accanto? Siamo davvero sicuri di sapere sempre con chi viviamo?
Inquietanti domande che si radicano nella mente del lettore sin dalla prima strega che svolazza libera nel cielo alla ricerca della sua preda e cresce, diventando insistente, come un tarlo, mentre altre streghe, mamme e mogli amorevoli fino a un attimo prima, volteggiano in piena notte, tentando di seminare orrore.
Quaranta pagine frastornanti, che rapiscono l’attenzione e ancora una volta Muçi non si smentisce: le sue qualità di attento scribano, appartenente al quel mondo variegato e oscuro di chi qualche volta scrive fiabe drammaticamente vere, trascinano e avvincono.