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Intervista a Caterina Zuccaro. Tradurre dall’albanese all’italiano con rispetto e passione

Anna Lattanzi Anna Lattanzi
26 Settembre 2022
Caterina Zuccaro

Caterina Zuccaro (Kate Xukaro) è nata a Civita, paese arbëresh della provincia di Cosenza, l’8 agosto 1955.
Laureatasi in Lingue e Letterature Straniere Moderne, con specializzazione in Albanese ed Inglese presso l’Università della Calabria, tra gli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, ha frequentato per molti anni i Seminari estivi di Lingua, Letteratura e Cultura Albanese presso l’Università di Prishtina (Kossova).

Per diciassette anni (1990-2007) è stata traduttrice e speaker dei notiziari OC in lingua albanese, trasmessi dalla RAI (Direzione Esteri, poi Rai International). Chiuse le trasmissioni in lingue estere, è stata autrice e conduttrice di programmi radiofonici destinati agli italiani all’Estero e successivamente, dal 2013, redattrice e autrice del programma GEO di RAI 3. È in pensione dal 01 settembre u.s. Studiosa di foklore arbëresh, ha pubblicato numerosi testi e studi sui canti  religiosi e sulle raspodie popolari, in particolare sulla rivista Katundi Ynë,
che si pubblica a Civita (CS) dal 1970.

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Oggi Caterina Zuccaro è una valida traduttrice dall’albanese all’italiano, apprezzata e ricercata professionista. In questa intervista si racconta con lucida obiettività. Buona lettura.

                                      Intervista

                                                                          a Caterina Zuccaro

Dott.ssa Zuccaro, lei ha seguito un corposo percorso di formazione ben esplicitato nel suo curriculum, nel quale fornisce tutti i dettagli e che riportiamo fedelmente.

Mi piacerebbe parlare di un fatto curioso precedente la mia formazione.

Certo!

Non dimenticherò mai quanto sto per raccontare: è una cosa che mi è rimasta dentro. Quando frequentavo la scuola elementare, tutti gli insegnanti, anche quelli arbëreshë, ci dicevano con convinzione che fosse impossibile scrivere nella nostra lingua (io sono arbëreshe).
All’epoca ero una bambina e mi chiedevo come mai, proprio per noi questo non fosse realizzabile. In realtà, ero più che certa che si potesse fare e così iniziai a scrivere nella nostra lingua a modo mio, applicando quanto conoscevo dell’alfabeto italiano.

Ovviamente, in quel momento non mi rendevo conto che stavo percorrendo, nel mio piccolo, lo stesso iter fatto nei decenni, nei secoli precedenti da tutti gli scrittori arbëreshë e anche da quelli albanesi, che in mancanza di un proprio alfabeto ufficiale, ne inventavano uno in base ad alcuni criteri più o meno condivisi, ma dal profilo prettamente personale; così feci io, utilizzando il mio personalissimo alfabeto.

Non ho conservato nulla di quei brevi periodi e piccole frasi: quello che più mi è rimasto impresso è la convinzione che nella nostra lingua non si potesse scrivere. Con il passare del tempo ci rendemmo conto che questo era fattibile, che esisteva una letteratura nella nostra lingua arbëreshe, che esisteva un alfabeto più o meno standardizzato, al quale iniziammo ad attenerci.

Non lo imparammo  a scuola, bensì presso i circoli culturali che organizzavano corsi di alfabetizzazione e attraverso le nostre riviste, il cui fine era quello di insegnare come in arbëreshe si potesse scrivere.
Dal canto mio, approfondii gli studi a livello personale: premetto che il mio percorso di studi iniziò presso la facoltà di medicina, fino a quando non arrivò una grande svolta nella mia vita, che mi spinse a lasciare quella università per dedicarmi agli studi linguistici.

Arrivai preparata al cambio di facoltà, in quanto avevo già frequentato i seminari di lingua e letteratura albanese di Prishtina e anche dopo l’iscrizione all’università continuai a frequentare il Kosovo, perché a quei tempi l’Albania comunista non era accessibile.

Questa è la storia della mia alfabetizzazione, un percorso comune a tutti quelli che si sono approcciati all’arbëreshe. Un grande aiuto nella direzione della scrivibilità della nostra lingua è arrivato dai contatti con l’Albania, attraverso i libri che venivano forniti. All’epoca vi era l’Associazione Italia Albania che ne favoriva la circolazione, tutto a sostegno di una realtà scrivibile.

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Quali sono stati gli incontri determinanti nel suo percorso di formazione professionale?

Un incontro sicuramente determinante e particolare è stato quello con Demetrio Emanuele, ideatore e direttore della rivista Katundi Ynë (“Paese Nostro”) e fondatore del Circolo culturale Gennaro Placco di Civita.
Io ero una ragazzina quando cominciai a scrivere per questa rivista; quello costituì per me un periodo di forte vicinanza agli studi linguistici, nonostante mi fossi iscritta inizialmente a medicina. Narravo di folklore, poi iniziai a scrivere di etnografia, traducendo i testi in italiano.

Come diventa traduttrice?

La mia esperienza di traduttrice nasce inconsapevolmente e nonostante questo, in un momento ben preciso. Come ho detto, scrivevo per la rivista Katundi Ynë ( era il 1973), pur non usando l’albanese, di cui non avevo una buona conoscenza.

Io amo molto Leopardi e in particolar modo L’infinito, il componimento poetico al quale sono più affezionata e per questo decisi di tradurlo in albanese. Ero a Firenze, studiavo medicina e non avevo gli strumenti linguistici per fare questa traduzione, mancando alla mia lingua d’origine svariate utili parole.

Mi recai presso la biblioteca nazionale, alla ricerca un vocabolario e vi trovai il Cordignano, che fu per me un validissimo aiuto nella traduzione del testo. Tradussi la poesia così come ero capace di fare io, pubblicandola sulla rivista Katundi Ynë, nel numero di dicembre 1973.
Ne venne fuori un testo con una curiosa mescolanza fornita dal ghego del vocabolario e dalla fonetica tosca. Questa fu la mia prima traduzione in senso reale: per molti anni poi non feci nulla, ma questo è stato  l’elemento che ha rivelato la mia vocazione.

Il mio primo lavoro serio di traduzione fa riferimento al libro di Lush Gjergji, Madre Teresa, Emi Piemme, 1987 (Antologia di scritti di autori albanesi in prosa e poesia dedicati a Madre Teresa di Calcutta), una raccolta di testi scritti da autori albanesi del Kosovo. Per me fu un lavoro impegnativo, perché i kosovari tendevano marcatamente a scrivere in ghego e questo mi creò non pochi problemi, pur facendomi capire che era un lavoro che mi piaceva fare.

Cosa lascia di sé nei libri che traduce?

Sono del parere che il traduttore debba contenersi, cercando di non essere invadente nei confronti del testo sul quale si ritrova a lavorare. È fondamentale entrare nella psicologia dei personaggi, ma anche in quella dell’autore del romanzo. Risulta impossibile non metterci qualcosa di se stessi, perché il traduttore fornisce una sua interpretazione; in ogni caso, il tutto deve essere fatto affinché egli non sopravanzi lo scrittore e consenta al lettore di comprenderlo in quello che realmente è nella lingua originale.

Un altro elemento determinante è dato dall’armonia dello scritto e non solo in quello che è rappresentato in termini di concetto e di racconto. Il suono e il ritmo del narrato devono essere rispettati, essendo valori fondamentali tanto quanto il raccontato.

Mi è capitato tempo fa di tradurre alcune poesie di Mitrush Kuteli; interpretare Kuteli senza mantenerne il ritmo, senza rispettarne l’armonia, secondo me costituisce un grave errore. Mi è stato proposto di tradurre Lasgush Poradeci (pseudonimo di Llazar Gusho, autore del ciclo poetico “Vallja e yjeve” La danza delle stelle, e successivamente di altre opere meno note), offerta sulla quale ho molto riflettuto, rimanendo convinta che una traduzione in italiano non renderebbe giustizia all’autore, in quanto non vi è la possibilità  di riportare quelle armonie di suoni, quella dolcezza insita nelle sue poesie, per cui risulterebbe sì un tradimento tradurlo.

Forse ne sarebbe stato capace Ernest Koliqi, che però aveva un approccio alla traduzione un po’ diverso dal mio; egli non aveva paura di essere invadente, potendoselo anche permettere.
Da non dimenticare, in tutto questo,  che esistono scrittori della vecchia guardia che meriterebbero di essere tradotti, come Dritëro Agolli e Dhimitër Shuteriqi, organici del regime e ancora Kasem Trabeshina e Pjeter Arbenori, esponenti della dissidenza. Ci sarebbe, inoltre, da scoprire la ricca e variegata produzione letteraria albanese, kosovara e macedone.

Pensa che le traduzioni debbano essere operate unicamente da interpreti di lingua madre?

Non necessariamente. Naturalmente, qualora la persona non fosse tale, è importante che conosca a fondo la lingua in cui traduce. È altrettanto vero che nei testi tradotti da interpreti non di lingua madre, vige un tratto distintivo che svela questo aspetto. Probabilmente, questo elemento identitario è da ricercare nella disinvoltura con cui si affrontano certi costrutti. Questo, secondo me, non per forza danneggia l’opera; esistono buone traduzioni operate da interpreti non di madre lingua.

Cosa non rifarebbe del suo percorso?

Sono molto soddisfatta del mio percorso professionale. Penso di avere realizzato molto, cosa che nemmeno mi aspettavo. Non mi iscriverei a medicina, ecco, non rifarei questo.

Cosa sta traducendo?

È appena stato pubblicato il Il Kinostudio “La vecchia albania”, di Gëzim Qëndro un lavoro che mi ha molto impegnato sotto l’aspetto della cura dell’opera stessa, perché presentava diverse problematiche da risolvere sul piano bibliografico. Penso di aver fatto il possibile per dare soluzioni, anche se non sono riuscita a sciogliere tutti i nodi. Un lavoro che mi ha dato una grande soddisfazione sul piano professionale.

Ora sto lavorando alla traduzione di un altro romanzo di Besnik Mustafaj, che narra le vicende biografiche di sua madre. Sia con Mustafaj che con Fatos Kongoli, un altro autore che traduco volentieri, penso che ci sia una comunanza di visione letteraria, cosa che mi facilita di gran lunga il lavoro, permettendomi di entrare facilmente nella loro psicologia e in quella dei personaggi, rendendo più piacevole il mio operato e spero di migliore qualità.

Quale autore non ha tradotto e le piacerebbe tradurre?

Non è facile rispondere a questa domanda. Ho ricevuto diverse proposte che ho dovuto rifiutare per mancanza di tempo, soprattutto negli ultimi due anni, in cui ho potuto lavorare veramente poco, in quanto molto impegnata nella mia attività lavorativa quotidiana.

Ho rifiutato a malincuore un romanzo di Rudi Erebara, che è comunque uscito in italiano e quello di Gazmend Kapllani. Purtroppo, una delle noti dolenti in Italia, è che molti di questi libri vengono dati alle stampe nell’ambito di progetti europei e per questo la qualità delle traduzioni lascia a desiderare, oltre che rimanere volumi senza alcuna promozione e diffusione.

         Produzione libraria e lavori di traduzione

                                                                   di Caterina Zuccaro 

Studiosa di foklore arbëresh, ha pubblicato numerosi testi e studi sui canti religiosi e sulle raspodie popolari, in particolare sulla rivista Katundi Ynë, che si pubblica a Civita (CS) dal 1970.
Ha inoltre all’attivo le seguenti pubblicazioni:
– Fjalorët e pabotuar të Arbëreshëve të Italisë (I Dizionari inediti degli Albanesi d’Italia), Jeta e Re, Prishtinë, 1990, n. 10, pp. 1328 – 1350 (ampliamento di una relazione tenuta in lingua durante la Sessione Scientifica del XI Seminario di Lingua, Letteratura e Cultura Albanese, tenutosi presso l’Università di Prishtina nel 1990);
– Gli Albanesi in Italia, in Quaderni del Fondo Moravia, n. 1, 1999, pp.
211-217;
– La poesia arbëreshe moderna e contemporanea, I parte: il secolo XIX, in Pagine -Quaderni di Poesia Internazionale, anno XII, n. 31, gennaio- aprile 2001.
– La poesia arbëreshe moderna e contemporanea, II parte: il secolo XX, in Pagine -Quaderni di Poesia Internazionale, anno XII, n. 32, maggio- agosto 2001, pp. 28 – 31.
– Coautrice del volume: Ministero dell’Interno (a cura di), Gli arbëreshë in Italia – Cultura ed immagini della Minoranza linguistica storica, Roma, 2002 – 2004 -2006, curatrice di “Premisa”, rubrica sulla poesia contemporanea arbëreshe sulla rivista letteraria “ars”, Tirana.
– Gli Occitani: una storia di resistenza e determinazione identitaria, in Pierfranco Bruni (a cura di), “Etnie. Popoli e civiltà tra culture e tradizioni”, Ministero dei Beni Culturali, Comitato per le Minoranze Etnico-Linguistiche in Italia, Roma, 2005

Come poeta, ha pubblicato due volumetti di poesie:
– Gabim, Rilindja, Prishtinë, 1982 – Te zëmra dheu, Ars Poetica, Tetovë, 2006)
È stata inoltre due premi letterari: il Premio Multinazionale di Poesia “Nosside” (Reggio Calabria, 1988) ed il premio “Qiriu i Naimit”, conferitole a Tetova (Macedonia del Nord), nel quadro dell’edizione 2003
del festival di Poesia “Ditët e Naimit” (Le giornate di Naim).
Suoi versi sono presenti nelle seguenti antologie della poesia albanese contemporanea:
– Rrënjë e fortë, Rilindja, Prishtina, 1978, a cura di R. Ismajli;
– Degë e blertë, Naim Frashëri, Tinana, 1980, a cura di N. Jorgaqi;
– Quo vadis, Shqipëri, botime Albania, Tiranë-Munchen, 1993, a cura
di A. Kllosi
– Maja e çelur, Shtëpia Botuese e Librit Shkollor, Tiranë, 1994, a cura di Gj. Zheji
– Anthologie de la poésie albanais, Chambery, Comp’Act, 1998, a cura di A. Zotos
– An elusive eagle soars, Anthology of modern albanian poetry, Forest Book-Unesco, London-Boston, 1999, a cura di R. Elsie
– Antologji e poezisë bashkëkohore arbëreshe, Botimet Dudaj, Tiranë, 2001;
– Olipa kerran toivo-albanialaista nykyrunoutta, in uscita in Finlandia presso Aviador Kustannuksen , a cura di Silvana Berki

È interprete di conferenza e traduttrice.
Ha tradotto diversi saggi ma il suo interesse si è via via concentrato sulla traduzione letteraria.
I suoi lavori principali:

– Lush Gjergji, Madre Teresa, Emi Piemme, 1987 (Antologia di scritti di autori albanesi in prosa e poesia dedicati a Madre Teresa di Calcutta)
– Artur Zheji, Il re della menzogna, Grin, 1996 (in collaborazione con I.C. Fortino)
– Kosta Barjaba, Ondate senza ritorno – Scritti e saggi sull’emigrazione albanese, IOM, Roma, 2002
– Vorea Ujko, Opera Letteraria Vorea Ujko (Opera Letteraria, Studio introduttivo di Italo Costante Fortino, Cura dei testi di Agostino Giordano, Traduzione di Caterina Zuccaro, Editrice Il Coscile, 2004. Titolo integrale: Vorea
Ujko, Opera Letteraria, Studio introduttivo di Italo Costante Fortino, Cura dei testi
di Agostino Giordano, Traduzione di Caterina Zuccaro.
– Bruni Pierfranco (a cura di), … nga njëri breg a tjetri i këtij deti … – Zëra dhe rrugëtime të poezisë italiane bashkëkohëse /… d’una o dell’altra riva di questo mare … – Voci e percorsi della poesia italiana contemporanea,
MIBAC – Comitato Nazionale Minoranze Etnico-Linguistiche, Manduria, 2006; (verso l’albanese)
– Rando Devole, L’immigrazione albanese in Italia, Agrilavoro, 2006 (alcuni capitoli)
– Nasho Jorgaqi (a cura di), Antologia di scritti albanesi, Progetto PIC INTERREG III A Italia – Albania “Shqipëria – La nobiltà delle aquile”, Lecce 2007. In particolare, ha tradotto i testi di Bllaci, Haliti, Zorba,
Petriti, Ahmeti, Laco, Açka, Zogaj, Reshpja, Lleshanaku, Vyshka, Pojanaku, Mato, Hatibi, Husta, Toska. .
– Fatos Kongoli, La vita in una scatola di fiammiferi, Rubbettino, 2015;
– Fatos Kongoli, Illusioni nel cassetto, Rubettino, 2017)
– Besnik Mustafaj, Piccola saga carceraria, Castelvecchi Editore, 2018
– Gezim Qendro, Il Kinostudio “La vecchia Albania” (o L’avventura seminale dell’Impronta, Rubbettino, 2022, di cui è anche curatrice

Argomenti: Caterina Zuccaro
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