Giuseppe Marchionna, detto Pino (Brindisi, 14 luglio 1953), sindaco di Brindisi, è un esperto di politiche di programmazione economica territoriale, da tempo impegnato nella ricerca di un rinnovato rapporto tra economia e cultura fondato sulla valorizzazione delle risorse umane del territorio.
Marchionna è già stato Sindaco di Brindisi da agosto del 1990 a dicembre del 1992, affrontando, proprio a marzo del ’91, da quella scomoda posizione, l’emergenza dello sbarco di decine di migliaia di profughi albanesi.
Gli sono stati attribuiti diversi riconoscimenti, come la nomina dell’Unicef a “Difensore ideale dei bambini” o quello dell’artista albanese Alfred Mirashi Milot, che gli ha dedicato un ritratto come personaggio-chiave e da parte della Città di Valona, che lo ha insignito del titolo di Cittadino Onorario.
Marchionna è anche uno scrittore e ha pubblicato La fiaba nera della Kuçedra con Laurana Editore, nel 2023, il terzo libro della serie che vede protagonista il giornalista Piergiorgio Sovieri e incentrato sulle dinamiche legate al flusso migratorio dei primi anni Novanta, che ha portato sulle coste italiane migliaia di albanesi. Durante l’intervista abbiamo parlato del libro e di tanto altro. Buona lettura.
La fiaba nera della Kuçedra è il suo terzo giallo. Perché ha scelto proprio questo genere letterario?
La fiaba nera della Kuçedra è il terzo libro di una serie che ha sempre lo stesso protagonista, Sovieri, un curioso giornalista a cui capitano cose strane, in una città di provincia, nella quale non accadono spesso avvenimenti clamorosi. Pertanto, si tratta di un giallo di provincia, che già di per sé rappresenta un genere di nicchia. Valerio Varesi ha realizzato qualcosa di simile con i suoi libri incentrati sulla figura del commissario Soneri, interpretato poi in televisione da Luca Barbareschi, nella serie Nebbie e delitti prodotta da RAI Fiction e ispirata ai libri dello scrittore torinese. Le storie che narro, quindi, non hanno a che fare con i classici investigatori, poliziotti o commissari.
Perché proprio il giallo? Innanzitutto perché sono appassionato di gialli e a un certo punto ho voluto dare sfogo alla mia passione, cimentandomi nella scrittura di un libro di genere. Poi bisogna ammettere, con molta onestà, che i polizieschi, in un Paese come l’Italia dove non ci sono molti lettori, ma soprattutto non ci sono molti acquirenti di libri, è quello che rimane più fruibile e apprezzato rispetto ad altri, tanto da dichiarare diversi successi.
Basti pensare a Gabriella Genisi e alla sua Lolita Lobosco, ad Antonio Manzini e al commissario Rocco Schiavone o al Sostituto Procuratore Imma Tataranni, nata dalla penna di Mariolina Venezia. Sono diversi i libri gialli che hanno dato origine a trasposizioni televisive: ricordiamo Montalbano del maestro di tutti noi, Andrea Camilleri, che può essere considerato il capostipite o lo stesso Maurizio De Giovanni. Questa vasta produzione televisiva è una testimonianza dell’attenzione che il pubblico di lettori riserva al genere giallo. Tale rilevante dettaglio mi ha fortemente condizionato: chiaramente, scrivo anche di altro, ma quando un personaggio nasce e cresce nella sua serialità, vuol dire che qualche riscontro lo ha raccolto.
Lei è sindaco di Brindisi…
Sì da quaranta giorni esatti.
Congratulazioni e buona strada.
Grazie e speriamo.
Nel suo ultimo giallo, tratta dei retroscena degli sbarchi albanesi dei primi anni Novanta. Come mai decide di raccontare gli intrighi associati al fenomeno migratorio dell’epoca?
Non è la prima volta che sono sindaco di Brindisi; lo ero già nel ’91, proprio quando ci fu il più grande sbarco mai esistito, che portò sulle coste della città, in una sola giornata, ventisettemila profughi. Da quel momento in poi, ho intrattenuto con l’Albania e gli albanesi un rapporto di amicizia e fratellanza; sono cittadino onorario di Valona, proprio in virtù di quegli avvenimenti.
Pertanto, conosco molto bene e nel dettaglio sia gli aspetti positivi che quelli negativi della migrazione albanese dei primi anni Novanta, che non si riduce solo a quella di Bari o di Brindisi, che in realtà fallì. Essa è riconducibile ai tanti micro sbarchi avvenuti sulle coste pugliesi, con gente che raggiungeva clandestinamente le grandi città, per raccogliersi in una sorta di gruppi autogestiti e autoregolati e vivendo, di conseguenza, in un mondo al di là del limite della legalità.
Infatti, negli anni si è sentito parlare di racket della prostituzione albanese, di bande albanesi dedite allo spaccio di droga e così via. Quindi mi ha intrigato l’idea di dare rilevanza a una verità nascosta; nell’immaginario collettivo era radicata l’idea dei poveri albanesi che scappavano da terribili realtà, mentre c’era tutta un’altra parte che aveva trovato collocazione nel mondo criminale e della quale non si parlava o non lo si faceva abbastanza.
È chiaro che si tratta di un fenomeno molto articolato: tanta di questa gente ha trovato la propria dimensione e realizzazione in Italia, altri hanno preso dal nostro Paese quello che di buono potevano prendere e oggi sono degli imprenditori di successo in Albania, in particolare nel settore enogastronomico, con imprese di straordinaria eccellenza.
Purtroppo, però, le attività illegali legate alla migrazione dell’epoca sono state tante. Ho voluto quindi indagare il mondo della criminalità nelle sue evoluzioni finanziarie, quando il denaro perde ogni odore e residuo di provenienza e diventa utilizzabile per ogni cosa.
La personalità della Kuçedra scala tutte le posizioni, partendo dal gradino più basso, fino a diventare il cervello finanziario e operativo, distinguendo e definendo le alleanze con i gruppi mafiosi italiani. Riporto lo spaccato di una società o di una vicenda, che non è tanto lontano dalla realtà. Una verità narrata al di là degli elementi romanzati, come può essere quello della bella donna capace di esprimere la sua fascinazione sul circondario.
Racconto di situazioni verosimili e tutta la vicenda umana della Kuçedra incrocia un altro drammatico e importante evento: la guerra del Kosovo, durante la quale, la Kuçedra che è il punto di riferimento del romanzo, già dal titolo, si trasforma da figura immaginaria tipica della mitologia albanese, in un gruppo deviato dell’UCK, realmente esistito, facente capo all’esercito di liberazione del Kosovo. Parliamo di un ordine sanguinario, più volte accusato di aver ammazzato serbi e kosovari non collaborazionisti, al fine di espiantare organi per un commercio clandestino.
Nel suo libro pone l’accento sul male connaturato all’essere umano, per il quale non esiste né cura, né speranza. È davvero così?
La storia dell’umanità ci insegna che è proprio così. Se possiamo, in qualche maniera, considerare le guerre del passato una necessità di sopravvivenza, arrivando fino al XX secolo, non è tollerabile che dopo la Seconda Guerra Mondiale e dopo le conseguenze immani che l’utilizzo della bomba atomica ha provocato, quando tutti eravamo quasi convinti che si fosse trovato l’antidoto, affinché il mondo non cadesse più negli stessi errori, la realtà si palesi in maniera completamente differente.
Già la banale vicenda (perché tale io la considero) dell’invasione russa dell’Ucraina, propone lo stesso problema. Le parole d’ordine della mobilitazione sono sempre le stesse: le posizioni ideologiche o le intransigenze religiose, le rivendicazioni etniche che sono fuori dalla storia e così via. Questo mi convince che il male sia dentro di noi e che non si riesca a espellere e a sradicare dai nostri comportamenti e dai nostri pensieri.
Questa storia incredibile che dura da più di un anno, va oltre la guerra in sé, perché da quello che si capisce, la stragrande maggioranza dei cittadini russi condivide questo tipo di atteggiamento, che rivendica una sorta di sovranità etnica, culturale, di identificazione quasi razziale, negando quella ucraina, da sempre contrapposta alla vecchia cultura russa.
Sono storie che si ripetono in alcune aree dei Balcani, per esempio e in particolare in quelle situate intorno al Kosovo. In quelle zone, le questioni etniche ancora in essere, proprio come accaduto nei primi anni Novanta con gli eccidi perpetrati durante la dissoluzione della ex Jugoslavia, dimostrano che il male è sempre lì: stiamo parlando di fenomeni di massa conosciuti da tutti.
Nella società occidentale tutto questo è confinato nel mondo dell’illegalità, conservando la stessa rilevanza, indipendentemente dalle dinamiche che si sviluppano alla base. Sarebbero ancora tanti gli esempi da fare: in Africa centrale i terroristi islamici negano alle donne il diritto di studiare e di vivere liberamente. Purtroppo le generazioni integraliste sono di nuovo esplose e la nostra vecchia cultura europea, fatta di ragionevoli scambi e confronti più o meno civili, non tiene il passo con gli ultimi accadimenti.
Quindi il male potrebbe essere la causa della scarsa memoria che caratterizza l’umanità?
Potrebbe essere il contrario: la scarsa memoria di quanto accaduto in passato è la fonte scatenante del male. Essa ci fa ricadere sempre negli stessi errori che sono istintuali, perché, infondo, al di là delle capacità di raziocinio che abbiamo sviluppato in questi millenni, sempre degli animali siamo, ancorché ragionevoli ed evoluti, in condizione di controllare i nostri istinti rispetto agli animali tout court, ma sempre animali rimaniamo. In virtù di questo, laddove la cultura, la conoscenza e l’abitudine al controllo non sono così sviluppati, fa capolino la violenza gratuita, intesa come sopraffazione di un essere umano su un altro, tipico del regno animale.
Torniamo ai suoi libri. Al di là di voler consegnare al lettore un buon volume, che tratta tematiche importanti e di interesse comune, come ne La fiaba nera della Kuçedra, lasciando spazio alla corretta informazione, quale altro messaggio vuole far passare attraverso la sua scrittura?
Con particolare riferimento all’Albania e quindi a La Fiaba nera della Kuçedra, al di là della descrizione dell’ascesa criminale del disimpegno della protagonista, il messaggio, che è anche abbastanza intellegibile, si riferisce all’esistenza di una nuova Albania, che non è più povera, negletta, vittima di quello che fu il regime.
Oggi vive una nuova nazione, internazionale, giovane, capace di confrontarsi a tutto tondo nello scacchiere europeo e in quello balcanico, capace di venire in Italia e tenere testa a organizzazioni criminali molto più radicate di quanto lo siano quelle albanesi, che in realtà hanno una struttura più arcaica e segnata dai tempi. Nel libro consegno una descrizione dettagliata dei luoghi dell’Albania, di Valona, in particolare, come della sua nuova capacità di investimento e della sua attività produttiva. Il Paese, oggi, ha un profilo di stampo europeo e lo si capisce non appena si approda a Valona, a Durazzo o nella stessa Tirana.
Nella serialità dei romanzi, al di là della figura del protagonista che è sempre la stessa, l’elemento di continuità che lega queste storie è la centralità di Brindisi, che io considero, andando oltre la consapevolezza dei suoi abitanti, una città dal destino mediterraneo, suo malgrado.
Evidentemente, i miei concittadini non sono consapevoli né della centralità della città, né del suo destino mediterraneo, disegnato dagli avvenimenti e dalle decisioni che prendono i grandi protagonisti del mondo. Non è un caso che questa città, a distanza di tanto tempo dallo sbarco famoso degli albanesi, sia la sede mondiale dell’ONU per gli aiuti ai Paesi colpiti da gravi situazioni, come le calamità, le pandemie o le guerre.
Questo è un dettaglio importantissimo che configura Brindisi come una città estremamente particolare, che il suo patrimonio logistico vede come porta di congiunzione con l’oriente, come del resto è sempre stata. Quindi, nella scansione temporale storica della vita di questa città, è evidente e di notevole importanza il suo legame con il mare e con tutto quello che sta al di là di esso.
Nel primo romanzo della serie, L’unguento delle streghe, racconto di una vicenda connessa con l’Egitto, nel secondo, La provvigione del diavolo, di una legata all’Algeria, e in quest’ultimo, come abbiamo visto, di una incentrata sull’Albania. La costruzione narrativa di fondo è quella di rappresentare Brindisi nella sua vera forma, ossia una città alle prese con una moltitudine culturale e di tipo internazionale.
È favorevole all’entrata dell’Albania nella Comunità Europea?
Sì, certo, anche perché l’Albania è con un piede e mezzo in Europa. A breve ci sarà a Brindisi un vertice tra i Ministri degli Esteri, italiano, albanese, nord macedone e bulgaro per l’allungamento del Corridoio Paneuropeo VIII, nodo stradale e ferroviario che parte da Brindisi, attraversa l’Albania, la Macedonia del Nord, che ora termina nei porti della Bulgaria e che si auspica possa arrivare al Mar Morto.
Esistono sicuramente problematiche da superare, come la moneta, che rallentano l’adesione del Paese all’UE, ma sono tutte problematiche superabili. Anche l’Albania, a breve, sarà inglobata.