Una persona normale mediamente cattiva

di Iris Leka

Una persona normale mediamente cattiva

C’era questa storia che uno aveva scritto nel suo libro che aveva ucciso. Poi gli hanno chiesto se fosse vero che aveva ucciso o se fosse finzione letteraria. Era finzione letteraria aveva detto, ogni libro è finzione letteraria perché si discosta non solo di un livello dalla parola ma anche di un altro dal pensiero. Così è rimasta finzione letteraria e lui è stato assolto. Non era più un assassino, anche se aveva confessato tutto.

CAPITOLO UNO

Sono una persona che giudica, perché giudicare mi fa sentire meglio, e dopo aver vomitato pensieri malvagi mi sento meglio. Odio così tanto, odio e provo un desiderio di uccidere tale, a volte, che solo io posso capirmi e accettarmi. Sì insomma, solo io posso accettare i pensieri che sforno, un’altra persona, una persona normale, mi starebbe alla larga. Ma io non posso starmi lontano. Ecco fatto, svelato l’arcano: mi devo accettare. Fine.

Non è un processo così immediato in realtà, l’accettarsi intendo. Prevede, sapete, un tacito accordo di autenticità totale con se stessi. Io sono autentico con te, nel bene e nel male, e tu in cambio non puoi che accettarmi. Poi adoriamo così tanto fare gli psicanalisti, come se loro, poveracci, non fossero che persone normali. Si fanno anni di università e noi invece, belli come il sole, ci avvolgiamo in un ingordo bagno di deduzioni psicanalitiche sentendoci veramente – no, ma dico, noi ci sentiamo davvero – degli sciamani quando dobbiamo psicanalizzare qualcuno. Le donne poi, chi meglio delle donne riesce a costruire castelli di giustificazioni granulose pur di dare un significato coerente ai pali degli uomini.

“Non mi ha voluta perché ha paura di una relazione seria, ho saputo che, dopo la sua ex storica, non ha più voluto una storia, ma sai, si vedeva che io gli piacevo e sarei anche stata disposta a liberarlo da questa sua prigionia agognante, ma se uno poi non si vuol far aiutare che devi fare, t’attacchi al treno. Così abbiamo chiuso, era troppo difficile stargli dietro” – “Ah ok, ho capito, be’, dai, meglio soli che mal accompagnati, piuttosto con le lezioni come va?” – “Ah, poi non ti ho detto, mi ha detto che per lui si poteva anche rimanere amici, insomma voglio dire, mi dici che non vuoi impegnarti e poi mi dici che non ci sono problemi se ci vediamo in giro, ma a chi la vuoi dare a bere che saresti il primo a rimpiangermi, perché è questo che succederà, mi rimpiangerà: oh sì, un’altra come me non la trova, guarda.

Io, da lui, di certo non ci torno.”

Detta la sentenza, chiuso il caso. E invece no. No, perché doveva ancora convincersi che non era lei la colpa, come se in questi casi dovesse per forza esserci una parte di colpa, doveva scagionarsi dalla possibilità che lei potesse non andare a genio a qualcuno.

Ma perché star poi qui a giudicare lei, quando è la società, il sistema che non prevede i difetti. Devi essere speciale e aver sfondato, altrimenti non vali niente.

Come poteva accettare di non valere niente? È un pensiero un poco triste persino per me. E come facevo a farle capire che sbagliava alla base, che non è vero che se uno non è accettato allora non vale niente e quindi vale quanto il resto dei sette miliardi e mezzo di persone sul pianeta e quindi non vale niente? Se siamo i primi a non trovare appassionanti tutte le persone del mondo, allora sarebbe quantomeno democratico accettare il contrario, che se per una volta, due, venti, qualcuno non ti caga, forse vuol dire che non siete fatti per stare insieme, perché se una relazione in quanto relazione prevede l’interazione tra almeno due persone, bisogna porca miseria essere almeno in due, io credo! Per cui, se a uno non piaccio, forse semplicemente si è accorto prima di me che la cosa “non s’ha da fare” – quanto è abusata questa frase? Mainstream proprio! Che se ne accorga prima lui o tu non è forse la stessa cosa? L’importante non è evitare di star male per una cosa evitabile? Si soffre già abbastanza senza motivo, veramente vogliamo crearci pare di ’sta minchia perché a un uomo non andiamo a genio? Ma se tutti gli uomini che bidoniamo ragionassero da psicanalisti quanto facciamo noi, come reagiremmo? Che poi, le donne, son creature meravigliose, si destreggiano in selezioni anato-miche delle parole da usare in modo da non passare per le disperate con l’ascoltatore, per anni e anni si impratichiscono tra amiche, psicoanalizzandosi a due a due.

Che mestiere sottovalutato. “La psicoanalisi salverà il mondo”, diceva qualcuno, o era la bellezza, non ricordo, non importa, vi odio. Odio che siate così manchevoli, non sapete nemmeno più mentire, siete pure commedianti di basso livello, pagliacci di trucco e pezzenti senza autoironia. Mi schifa, ogni tanto, perfino stare tra di voi. Perché sì, ci sto tra di voi, e dove potrei mai andare! Mi bevo i vostri fottutissimi sorrisi ogni giorno e quanto, quanto, quanto desidererei non essere immersa nel marasma sociale, per una volta almeno, quanto desidererei che la civiltà non mi avesse investito ventitré anni fa con i suoi rituali artefatti e la sua musica di merda. Invece è dal 1992 che sono costretta a fare e dire quello che vogliono gli altri. Di’ mamma. Di’ ciao. Di’ grazie. Di’ vaffanculo.

Mi sono avvelenata abbastanza con questi pensieri, vado a bere. Mi ubriaco. Ubriacatevi anche voi, moralisti implacabili, “di vino o di poesia, ma ubriacatevi”.

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Presentazione del libro

Un monologo rivolto al lettore, attraverso cui l’autrice regala uno spaccato dell’Italia quale meta d’immigrazione degli anni ’90. Una danza tra finzione e realtà che costringe chi scrive e chi legge a mettersi continuamente in discussione, per analizzare senza fine l’animo umano, dissacrante e contraddittorio nel suo intimo.

Dettagli

Autore:
Genere: Narrativa
Editore: Bookabook
Anno di pubblicazione: 2021
ASIN: 8833234738
ISBN: 9788833234731
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