Ho letto la storia di Lireta Katiaj prima che diventasse un libro. È una storia a sé anche il modo in cui l’ho conosciuta.
Molti anni fa – forse nel 2013 o nel 2014 – girovagando in rete mi sono imbattuta nella notizia di una ragazza albanese che era stata classificata con il suo diario tra i finalisti al Premio Saverio Tutino 2012. Il cognome Katiaj e la provenienza dal Sud dell’Albania hanno attirato la mia attenzione: mia mamma porta lo stesso cognome. Sapevo di avere diversi primi cugini da parte di mia mamma, ma non li avevo mai incontrati. Ho deciso allora di contattare Lireta. Mi ha confermato quello che avevo intuito: era mia cugina, è mia cugina.
Abitiamo entrambe in Sicilia e per la prima volta ci siamo incontrate a Modica, dove lei abita tuttora. Mi ha raccontato la sua storia e di quel bisogno viscerale di scriverla, perché come dice nel libro “ho paura che nessuno dei miei connazionali lo farà. Voglio lasciare traccia di quello che gli albanesi hanno passato”. Mi ha dato una copia della sua storia che ho finito di leggere in tre ore quella stessa sera, appena tornata in casa.
“Mi sto avventurando a scrivere per la prima volta in una lingua che non è neanche la mia e non ho mai studiato la lingua Italiana. Sono solo in possesso della licenza media presa in Albania tempo fa. Non ho potuto finire neanche le superiori per la colpa della guerra civile che sfortunatamente non mi ha permesso di continuare gli studi. Coraggioso da parte mia, ma se non mi butto a scrivere non potrò mai sapere sé sarò in grado di riuscire”, scrive Lireta sulla prima pagina del suo diario.
Viene raccontata la storia di una bambina cresciuta in una famiglia povera e numerosa, dove il padre padrone beve e picchia moglie e figli, e dove la madre sottomessa non riesce ad alzare la testa. La bambina cresce e vuole andare a scuola, ma lo scoppio della guerra civile e il padre decidono un secco “NO”. Appena adolescente il padre vuole farla sposare in un matrimonio combinato, cosa che aveva fatto con le sue sorelle, ma stavolta è lei che dice “NO” e scappa di casa.
S’innamora di un ragazzo che le dice “se mi ami ti porto in Italia”. Ma lei capisce a che cosa si riferiva con quella frase. Scappa di nuovo. Conosce un altro ragazzo che le dice “ti amo“ e nasce una bimba. Adesso ha solo un obbiettivo e una certezza: sua figlia merita una vita e un futuro migliore del suo. Parte con un gommone verso l’Italia, con la bambina di 3 mesi in braccio.
“Era mio compito garantirle una vita serena, lontano dagli spari, dovevo provarci
come tutta quella gente che ogni giorno fuggiva verso l’Italia clandestinamente. Cerano due possibilità. Rischiare la vita attraversando il mare oppure rimanere in Albania sperando che non ti uccidano”.
La storia di Lireta è quella di tantissima gente che decide di rischiare. È la migliore soluzione di fronte a una morte certa. Una storia commovente, di una donna ribelle che non si arrende e non cede. Ce l’ha fatta Lireta, ce l’ha fatta ad arrivare in Italia e a costruirsi una nuova vita.
“Se ce l’ho fatta io ad incontrare la felicità ce la possono fare tutti”
La sua storia è diventato il libro “Lireta non cede” (Terre di Mezzo Editore , 2016) e poi lo spettacolo teatrale “Lireta – A chi viene dal mare” a cura del regista e attore Mario Perrotta. Per scelta il testo è stato pubblicato com’è stato scritto dall’autrice e qualche piccolo errore è comprensibile che ci sia.
Lireta Katiaj è nata a Vlorë, in Albania, in una famiglia numerosa e povera. Oggi vive in Sicilia.
