Shqiponja Axhami Trota è un’apprezzata poetessa dell’attuale panorama letterario albanese, autrice di diversi volumi di poesia, che vive in Inghilterra. La sua prima opera tradotta in italiano è Dio si declina sul gelsomino, un’antologia composta da cinquanta poesie.
Il titolo trova ispirazione nella purezza, che come si evince dalla prefazione a cura di Clara Nubile, appartiene a ogni essere vivente.
La purezza è intesa come destinazione ultima di ogni creatura, animata e inanimata: sia questa una santa, una prostituta o un filo d’erba o un sasso sul fondo di un lago. La parola “gelsomino” deriva dal persiano yāsamīn – da cui anche l’antica variante italiana, gesmino – che significa “dono di Dio” e, oltre alla purezza, questo fiore simboleggia la bellezza, l’amore, la buona sorte. È come se l’intero libro fosse attraversato «dalla delicatezza del suo profumo, la celestialità dei fiori, le sfumature e il volume dei petali: un’esplosione di grazia, luce e fragilità», come nota lo scrittore e traduttore albanese Ukë Zenel Buçpapaj.
È il gelsomino, quindi, l’elemento cardine intorno al quale si snodano i versi di Shqiponja Axhami Trota, carichi di tangibile oggettività e pregni delle più intime emozioni.
Allo stesso tempo, questo cosmo poetico è intriso di polvere, fango, strada, miserie e gronda sangue: in un susseguirsi ritmato sfilano, come in tanti fotogrammi, eroine e madonne della tradizione albanese, incantevoli paesaggi naturali di una bellezza incontaminata che trasmutano in stati del cuore e della mente, a volte guastati dalla corruzione ineluttabile; dittature e farse, una critica cruenta e beffarda della guerra e della società – come la potente immagine dell’elmetto nazista sporco di uno sperma orfano, da cui germogliano due fili d’erba – e ancora animali che trasfigurano, fantastici e bestiali e innocenti.

Di seguito alcune tra le più belle poesie della raccolta.
Sulla schiena di un santo
Ho fatto voto di scrivere
sulla schiena di un santo:
con il viso sprofondato nella polvere
si leva dalle macerie di una guerra
nel cui nome
si è perpetrato il sacrificio degli infanti.
Ho seppellito questo corpo di polvere e poesia
sotto una pietra al confine.
Nel conforto di innumerevoli notti
l’ho sentito trasmutare
in un violino rosso.
Con il mio saio
ho vestito il diavolo:
così mi ha ingannato,
come un’alluvione sulle gambe e sulle braccia mie.
Rosso è il fiume delle leggende
donne straordinarie
che hanno spartito lo stesso destino di
Isotta
Doruntina
Rozafa.
Tutte le civiltà si avvinghiano come molluschi alle mie costole.
Oh, ecco le musiche vibranti del violino
che fluide s’irradiano dal volto sublime della pace.
Quando quella notte
Quando quella notte giungerà
ci precipiteremo alla baia della solitudine
galoppando sul dorso di un delfino obbediente.
Berremo nell’erba abbandonata
mentre un barbone si scolerà una birra a scrocco.
Cammineremo verso la stazione dei treni:
là, un poeta strapperà le pagine del suo diario.
Nell’oblio, succhieremo l’innocenza della notte.
Con la devozione delle stelle cadute
ci adorneremo il viso
con i fiori di tiglio occulteremo i nostri occhi lacrimosi.
Quando giungerà quella notte
io e te, insieme trasformeremo la città in un frutteto.
Rose nella pioggia
Le rose nella pioggia
ti rendono coraggioso
creano prati e
sbocciano.
L’imparzialità auspicabile
della procreazione,
la stagione dentro la stagione.
Il sublime movimento delle dita
nella foresta densa dei capelli
come la luna chiara e scintillante tra le ombre
dei pini.
Liberi dalla paura del buio
poi l’abbiamo inventato noi il buio.
Perdonami
Il lago del mio autunno
si è colmato di frutti,
allora perdonami
perché non posso cacciar via gli uccelli.
Sto diventando l’argento dei miei capelli grigi:
perle di doveri.
Oh, sempre sarò una sposa
eterna sulla strada.
Un albero
Un albero rosso fiamma tremola
su un’isola verde.
La mia chioma è ormai invecchiata
su una terra lontana, in abbandono.
Senza dubbio i conservatori
e i radicali masticheranno bestemmie
come radici di piante selvatiche:
non mi hanno mai amato
eppure, il mio albero rosso fiamma è cresciuto
tremolando, in attesa.
Tra le file dei frutti caduti
mi faccio terra
incrimino la mia intelligenza
fluttuo nelle meditazioni
ma il mio albero rosso fiamma di tutto questo
se ne infischia.
Con la musica dei frutti caduti
mi culla per farmi addormentare
e io, oh, io comincio a vivere.
A Zhos
Il mio cuore è un cammello
destinato a reggere la sete
a trasformare le dune del deserto
in foglie di fiori.
Perciò, mio amato,
smetti di cacciare il fioraio
dall’erba irrughita.