I miei genitori mi abbandonarono quando avevo solo quaranta giorni, proprio in riva al mare. Non mi dissero neanche una parola, anche se meritavo almeno una spiegazione. Mi rivolsero quello sguardo da “…Quando sarai grande capirai. Lo stiamo facendo per il tuo bene.”
Niente! Nemmeno una parola. E così rimasi, da sola, davanti a quell’oceano. Invece di pregare per me come tutti i comuni neonati, credo che qualcuno mi abbia maledetta. Anche la ballata, che si recita all’infinito in questo luogo, è maledetta.
Quindi lasciarono che il mare mi adottasse, diventando, così, allo stesso tempo mio padre e mia madre. Imparai rapidamente a nuotare. Ma annegai, anche, diverse volte. Quando mi tuffai in acque profonde, fino a toccare il fondo, imparai che dando maggiore vigore, si può raggiungere la superficie. È quella spinta, in quei momenti, che ti dà la forza per sopravvivere.
Laggiù, in fondo al mare, capii come il tempo può fermarsi. Esiste un altro mondo, in cui ogni momento vissuto sembra un’eternità.
Poi imparai a combattere con le onde, a volte anche ad arrendermi. Soprattutto imparai a riposare, a ritirarmi sulla riva quando i miei poteri mi stavano prosciugando e giuro che questa è la cosa più difficile da fare. Ci vogliono esperienza e superpoteri per farlo, perché nessuno ce lo insegna durante la vita; è essa stessa a farlo.
Imparai a intrecciare ghirlande di conchiglie, a costruire castelli di sabbia che il vento e le maree non potevano distruggere. Finché un giorno crebbi e decisi di scoprire cosa c’è al di là del mare. Mi accorsi subito che c’erano le palme.
Sulla lunga strada circondata dalle palme, i miei piedi calpestarono alcuni ciottoli colorati. Mi tirai un po’ indietro per guardare meglio, quando vidi che i sassolini formavano l’immagine di una ragazza tanto triste quanto bella, circondata da gigli e mimose. La ragazza più bella di quel Paese, con i capelli fatti dalle pietre dei fiumi circostanti, con gli occhi color smeraldo e la pelle color della luna. Dicono che potrebbe essere stata la figlia di un uomo ricco del posto o un’orfana che ha venduto il suo corpo giorno e notte per sopravvivere. Ma cosa importa? Notai che era una ragazza senza sorriso.
Nemmeno lei era felice; è difficile essere felici nella città delle poesie maledette, (Epidamnus, l’antico nome di Durazzo), sommersa dalle acque e scossa dai terremoti centinaia di volte.
Poco più in basso, con lo sguardo verso il mare, una donna dai capelli rossi stava stoicamente in piedi sul suo trono. Regina di professione e donna missionaria, un esempio per tutte le ragazze del Mare. Ognuna di loro ha giurato a se stessa che un giorno sarebbe diventata forte come lei. Chissà se la regina conosceva La Bella ragazza… Probabilmente vissero in epoche diverse anche se erano così vicine tra loro, altrimenti Sua Maestà non avrebbe mai permesso tutta quella tristezza sul suo viso luminoso e duro.
Entrambe erano separate da una torre solitaria, che si identificava in un castello. La torre di una città, al di là del mare, la città allagata, dove case ed edifici galleggiano all’infinito. Poco più in là, verso la culla del sole, scorsi un guerriero che ci invitava tutti a salvare la Torre. Egli non si spostava dal suo posto, stava lì giorno e notte, senza stancarsi mai.
Salendo su per la collina, proprio in cima scoprii un piccolo palazzo reale. Il mare si presentava così maestoso da quell’altezza. Quella non era una collina normale, era un posto favoloso dove ci si scambiava i primi abbracci allo sbocciare delle mimose. Il palazzo reale si trovava proprio alla fine del percorso lastricato di pini e coronato di manna. La famiglia reale aveva abbandonato questo luogo portando con sé tutti i tesori, lasciandoci a mani vuote, dalla punta della collina, alla città del Canto Maledetto.