Millosh Gjergj Nikolla (Migjeni), nasce nel 1911 a Scutari e morì nel 1938 a Torre Pellice (Torino). Scrittore di versi e prose, è uno dei più noti intellettuali albanesi del Novecento. Ovunque nella sua opera si sente l’impedimento precoce, l’interruzione. Egli stesso si può pensare come tale: interrotto. Ma la sua interruzione non ha nulla di consueto: è come l’interruzione di un uragano”. Questo dice di lui Ismail Kadare e nel libro La bellezza che uccide, si ritrovano la sua penna e il suo Io in tutta la loro interezza.

La vita quotidiana secondo Migjeni
Era dai tempi del liceo, trentatré anni or sono, che non rileggevo Migjeni in modo approfondito. Rileggere di nuovo le sue prose poetiche, mi ha travolto. Specialmente ora, con la rischiosa situazione economica in cui scenari di miseria potrebbero scuotere la società, ho trovato il libro più attuale che mai.
A lettura chiusa ho riflettuto, ho meditato su tutti quei dettagli di vita quotidiana che il poeta ha messo in evidenza, mettendoli a fuoco con la sua camera artistica. Migjeni è sempre attuale anche se è un poeta d’altri tempi. La sua verità è tragica: è la terribile verità dei diseredati, degli affamati, dei disoccupati, degli indulgenti borderline, dei personaggi dello strato più sofferente, della società con la dignità compromessa.
La drammatica lucidità
Il disoccupato, che vedendo la pubblicità vuole dare un pugno alla montagna silenziosa, Luli, il brufoloso fanciullo con le scarpe rotte, la donna che si prostituisce per comprare le medicine utili al figlio malato, il crudele benefattore che dà l’elemosina ma pretende di colpire in testa con gli spiccioli l’accattone e il bimbo morto di freddo che contrasta con la neve. Tutto è stato redatto e osservato con sincerità e raccontato come solo l’anima pura di un artista sa fare.
Migjeni è fatto di forti immagini, di brani, di strappi, di scatti fotografici che non si sradicheranno mai più dalla nostra memoria. La figura dell’indomabile montanaro che diventa servile di fronte a un pugno di mais è impressionante: “il suo petto è un pezzo di granite che si è staccato dalla montagna e sta su due piedi forti e dritti…. si muove il pezzo di montagna senza fiatare. E davanti al magazzino di mais perde la sua costituzione e diventa servile…perché? ..così vuole la legge, il funzionario, altrimenti: niente mais!!…..”
Migjeni non muore mai. “Questo uragano fermato”, così lo definisce Ismail Kadarè in un suo saggio incentrato sul poeta. Egli è come la verità, la quale sviscerata a lungo comincia a puzzare, a sconvolgere, a scatenare moti di ribellione. Anzi, vedo in Migjeni, gli occhi misericordiosi dell’angelo che c’è dentro di noi, quella parte sensibile, emotiva, e profonda, la migliore con la quale osserviamo l’accattone, la miseria degli diseredati nelle file della Caritas e nei centri sociali.
La poesia immortale
Una simile poesia non muore mai e il candore della neve, che contrasta con il corpo del bimbo congelato dal freddo nella ghiaccia abitazione, diventa seriamente e drammaticamente una bellezza che uccide. La forza con cui Migjeni, dipinge la vita e offre brani sconvolgenti di cruda realtà, è paragonabile solo a quella del ribelle e sovrano poeta francese Rimbaud. Si percepisce in lui anche il sentimento cristiano e umano espresso da Andersen con la famosa storia del “La piccola fiammiferaia”.
Negli occhi di Migjeni si possono intravedere quelli di un Cristo molto addolorato e quelli di un Dio che ha a cuore la perduta dignità degli indulgenti, degli ultimi. Un’Entità che ci ha bendati in un mondo a volte crudele, tristemente drammatico, un Dio che ha fiducia nell’indulgenza umana verso i più sfortunati.
Una misericordia rabbiosamente umana, che Migjeni con i suoi racconti brevi, rappresentando strappi di vita quotidiana, dipinge in una società albanese tragica e solenne. La sua è una città dilaniata dalla crisi, terrorizzata dai fantasmi della povertà sempre presente nella quotidianità.
Migjeni non è solamente un accusatore ribelle di un mondo che gli sta stretto! Egli è un osservatore acuto dei suoi drammi, delle sue debolezze e delle sue contraddizioni interne. Nei brani poetici “Lo studente in casa”, oppure “Dacci oggi il nostro pane quotidiano!” emerge anche la sua filosofia pragmatica, nell’analisi sua città amata e detestata allo stesso tempo.
La società clemente
Sincero, scarno, coerente, diretto, Migjeni, ha saputo dipingere lucidamente gli strappi strazianti della società e le sue invisibili ferite. Egli, radicato profondamente nel suo sentimento di pietas, anche se non si dichiara un credente, ci parla di una clemenza umana, laica, rivelando, squarciando, denunciando gli spaccati di una delizia angosciosa. Sono gli occhi di Cristo sulla terra? No. E’ la misericordia delle grandi anime, che come un Cristo in croce è condannato a rivelare, fotografare, documentare, offrendo importanti spunti di riflessione. “Non pregare per me. L’intero l’inferno, a piedi voglio percorre!”
Il dramma intimo de La bellezza che uccide, la rara tenerezza de “Il piccolo Luli”, il dolore intrinseco di “Che Dio ti dia!”, la verità sublime de “La mela proibita!” la filosofia profonda de “La canzone del passerotto!”, sono elementi chiari che rendono il poeta magnifico e profondo.
Il risveglio dell’umanità
Migjeni è uno di quei letterati che raccontando la dura realtà, offre una possibilità di risveglio, permettendo di andare oltre l’oggettività e rendendo l’umanità partecipe, capace di esprimere profondi sentimenti. Utilizzando parole brusche e dirette, senza la patina pubblicitaria, senza la poesia di una esistenza egoistica, non teme di dire la verità.
La capacità evocativa dell’autore, la lente d’ingrandimento che pone sulle argomentazioni, il suo raggio d’azione, sono potenti ed invidiabili e ci invitano a fare un viaggio in questo La bellezza che uccide. Il lettore si sente partecipe degli intimi brani scritti da questo intramontabile poeta sensibile albanese, capace di vedere fino all’invisibile. Il turbamento dell’anima è un invito alla riflessione, in grado di destare l’umanità dal sonno profondo in cui sembra essere caduta.