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Il banchetto come metafora della complessità della società balcanica

Recensione de La commissione delle feste di Ismail Kadare

Vito Saracino Vito Saracino
30 Maggio 2022
Ismail Kadare Commissione Feste

Ismail Kadare

Nei primi assolati pomeriggi di questa primavera dalla calura quasi estiva, per abbandonare anche solo per un attimo il continuo bombardamento di cupe notizie, è stato un toccasana la scelta di trasportarmi mentalmente in una località amena e serena degli amati e frastagliati Balcani.

Dalla mia caotica ma non troppo libreria, con un’artigliata, ho afferrato con la decisione di chi calcia l’ultimo rigore La commissione delle feste di Ismail Kadaré scritto nel 1978 e ripubblicato dalla Besa Muci editore, sempre egregia nel setacciare e selezionare la letteratura post-colonialismo, nell’ottobre 2020.

La commissione delle feste
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La città di N.

L’ Albania, dalla cui terra florida di scrittura nasce questo germoglio letterario, è una fortezza maoista dove un’analisi critica della contemporaneità non avrebbe avuto vita semplice e anzi difficilmente avrebbe ottenuto l’imprimatur.

Anche per questo il lontano periodo ottomano scelto come palcoscenico di questa storia appare come un tempo piccolo, più autonomo dove le parole possono avere una nuova vita e le lettere danzano in una melodia più vicina alla libertà.

Kadaré ci trasporta nella città di N., un posto con caratteristiche talmente realistiche, da risultare familiare a ogni lettore; un non luogo presente nei meandri delle nostre menti, tanto che ogni lettore potrà immaginare la propria versione della città di N. dove, forse tornerà quest’estate, in un viaggio alla ricerca dei propri posti del cuore letterari.

In quel di N. fervono i preparativi per la celebrazione della pace con tutti i crismi e i rituali, che un grande impero come quello ottomano ha creato in decenni di potere; la fretta divampa e questa voglia di preparazione nei minimi dettagli di un grande banchetto riappacificatore, fra le varie tessere del burrascoso mosaico albanese e la corte ottomana la si sente in ogni pagina come un battito di cuore.

Un Albania mai doma, che ricorda il mio villaggio di irriducibili galli protagonista di Asterix e Obelix contro l’imperialismo di Roma, viene presentata sin dalle prime pagine come il terrore per gli impiegati del Protocollo (struttura deus ex machina di questa storia di “guerra e pace” che mi riavvicina a quelle notizie dalle quali volevo fuggire avvicinandomi alla lettura di questo libro), i quali al solo sentir parlare della terra schipetara esclamano con rassegnazione e turbamento:

“Dio non voglia che noi si abbia a che fare con l’Albania! In quel paese nomi e titolo cadono più facilmente delle foglie in autunno”.

Fin questo inciso si comprende come il sogno di uscire dalla contemporaneità e dalla quotidianità grazie a questa lettura sia vano ma anzi l’equilibrio instabile del panorama mozzafiato della società balcanica che accompagna questa lettura è un valore aggiunto dell’opera; una descrizione certosina di una società iper-burocratizzata dove persino l’organizzazione del “divertimento” è affidata a “sottocommissioni” che tanto ricordano il nostro burocratese quotidiano o l’Obelix italiano Bud Spencer alle prese con i permessi per la raccolta delle banane nel sempreverde “Banana Joe” mandato perennemente in onda dalle televisioni italiane.

Perché le differenze fra turchi e albanesi si notano anche nella scelta dei giochi, dei rituali e dei cibi; da Istanbul si impone la conciliazione e l’avvicinamento alla cultura albanese, ma fin dai nomi dei giochi come “Gioco della Fortezza”, i turchi temono presagi di battaglie e di guerre che hanno funestato i rapporti fra i
due paesi.

Nuh Efendi

A un certo punto, quando il gioco si fa duro, giunge Nuh Efendi, la cui fama ha anticipato di gran lunga il suo arrivo nella città di N., un self made man ottomano passato dalla gloria della vicinanza al sultano alle segrete delle più lontani celle dell’impero e poi ritornato in auge, che ne ha viste di tutti i colori, dagli avvelenamenti alle uccisioni ma che percepisce come questo banchetto non sarà una cena come tutte le altre.

Gli ospiti cominciano ad arrivare e credo che l’hype e la cottura per questa lettura gastronomica e politica sia già giunta ad un buon punto; adesso tocca ai lettori partecipare come invitati a questo banchetto in attesa di sorprese, danze e giochi in un tempo così vicino ma così lontano. Lo stile armonioso, intuitivo e familiare di Kadare farà sì che le quasi ottanta pagine possano essere godute in un bel pomeriggio di immersione nella città di N.

Intanto il sole sta tramontando e sazio di questa lettura si lascia a malincuore la città di N. e si invita chi sfoglierà con passione il libro ad immaginarla, cercarla e visitarla.

Argomenti: Ismail KadareVito SaracinoBesa Muci EditoreFernando Cezzi

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