Potrei citare opere che hanno ottenuto una vasta popolarità e un alto apprezzamento critico, dei quali non avrebbero goduto se fossero state pubblicate dieci anni prima o dieci anni dopo. Alcune di esse arrivano al momento giusto. Dai tempi della filosofia greca, si sa che “kairos” o “il momento giusto” costituisce uno degli elementi cruciali in campo artistico. Affermare che un lavoro finito appaia o non appaia in quel determinato istante, non significa poter spiegare perché quello sia proprio il periodo favorevole.
La sfida
Dopo quasi cinquant’ anni di un silenzio, il romanzo di Diana Çuli, Angeli armati, si presenta e ci racconta uno dei periodi più glorificati e nel frattempo più controversi, maledetti e giudicati della storia albanese: la lotta Antifascista.
La Çuli, da buona creatrice e con il suo coraggio civile, si confronta con questa sfida, non solo letteraria, guardandola da una prospettiva originale. Anche se tutto sembra avere inizio da una relazione sentimentale tra due giovani, Dorothe Gjika e Aleks Lazari, in realtà il racconto va oltre, manifestando parte dello scenario epico della guerra, dai colori vivi, che ben si adattano al quadro di Bregu, e al decoro, con il quale si sviluppa la narrazione, dai toni marcatamente realistici.
Se da una parte, il fatto che il romanzo prendesse spunto da fatti realmente accaduti, costituisse un pregio, dall’altra, il pericolo che tale qualità si trasformasse in un elemento di costrizione narrativa era molto alto, rischiando così, di spingere il racconto in una sorta di labirinto, che l’avrebbe privato della sua genuinità e della ricchezza di espressione che lo contraddistinguono. La scrittrice ha saputo superare con abilità ed eleganza tale incognita, donando alla sua penna la libertà di volare e di nutrirsi sui prati della fantasia, non tradendo, al contempo, gli eroi e il loro mondo fisico e spirituale.
Il dramma
Due cose belle ha la vita: l’amore e la morte. cit. Giacomo Leopardi
Diana Çuli sembra affermare il contrario. La storia che anima il romanzo si snoda intorno al dramma di due giovani, Dorothe e Aleks, che è quello di tutti gli innamorati che hanno perso la vita durante la guerra e per i quali nessuno ha mai scritto un rigo: né i nemici e nemmeno coloro che si professavano amici, poiché compagni d’armi. Si tratta di una tragedia universale, eterna, del sentimento pulito, ingenuo che si sgretola di fronte al puritanismo patriarcale di una morale brutale e di un’ideologia assassina.
Anche se leggermente marginale, nella complessa rete di relazioni che attraversano Angeli armati, una delle più interessanti è quella tra Dorothe e Leon Nasta, l’ex fidanzato della “peccatrice” e allo stesso tempo, membro del tribunale di guerra; una persona di alta formazione intellettuale. Attraverso alcuni elementi di spicco, si riesce ad afferrare il nucleo del problema, quella che è la vera ragione della condanna a morte di Dorothea, oltre ogni retorica o dubbio malvoluto che hanno avvolto questo omicidio per quasi mezzo secolo.
La frattura
La logica artistica della scrittrice penetra, facendo luce su uno degli aspetti più significativi della guerra, sul quale si è taciuto durante i cinquant’anni del monismo. Il riferimento va a quella chiara frattura creatasi nel cuore del Partito Comunista e dei suoi sostenitori. La Çuli delinea chiaramente la demarcazione tra due gruppi: la parte conservatrice, patriarcale, xenofoba e ottusa di mente, costituita, soprattutto, dalla gente di scarsa cultura che abitava i villaggi e le città e la sezione della gioventù liberale, colta, che aveva condotto gli studi in Albania, oppure all’estero.
Questi ultimi avevano avuto la possibilità di entrare in contatto con le idee più avanzate e democratiche del tempo, motivo per cui aspiravano e sognavano un’ Albania prospera e sviluppata nel cuore delle nazioni civilizzate. In un conflitto inevitabile, ad aggiudicarsi la vittoria è stato il primo gruppo e per questa ragione la fucilazione di Dorothea e dei suoi compagni è l’emblema dell’uccisione di tutta quella generazione e di conseguenza il trionfo delle dittatura.
Il romanzo più riuscito
Sia nella struttura che nel contenuto, Angeli Armati possiede qualcosa delle tragedie della Grecia antica. Prima di tutto Il Destino e la Fatalità, che accompagnano Dorothea e Aleksi e gli altri personaggi nelle loro sventure, ricordandoci che ogni cosa è disegnata e che nessuno può opporsi alla Moira e al fato. L’organismo del testo, i personaggi che appaiono e scompaiono, per affacciarsi nuovamente, come in una scena antica, sono una valida rappresentazione di questo concetto.
Non credo di osare troppo, affermando che Angeli armati sia il romanzo più riuscito di Diana Çuli. Mi auguro che esso possa essere un esempio di “letteratura di guerra”, spogliata dei dogmi e dei minimalismi, due mali dei quali continua a soffrire.
Verso la metà degli anni Cinquanta, il noto regista russo G. Çuhraj, considerato uno degli ideatori della nouvelle vague della cinematografia sovietica, giunse in Albania per girare un film incentrato sul tema della guerra. Egli rimase impressionato dalla tragica storia d’amore tra Zaho Koka e Ramize Gjebrea (alias Aleks e Dorothea), tanto da volerne realizzare una pellicola. A quel punto, entrò in gioco la dittatura e il suo apparato propagandistico, negando l’autorizzazione.
Cuhraj, molto amareggiato per la decisione del partito, si allontanò dall’Albania, per non tornare mai più, scandalizzato dall’ortodossia di Tirana, che andava ben oltre quella del comunismo mondiale. Dopo la caduta del regime, finalmente una scrittrice ha ricordato quella storia, quella triste vicenda, decidendo di dar vita alla sua memoria.
Si tratta di un’opera di finzione, ispirata a una vera disgrazia, che non viene dedicata solo ai due personaggi storici protagonisti, bensì a tutti quei giovani finiti di fronte ad un plotone di esecuzione, con l’unica colpa di aver tirato un morso alla mela biblica dell’amore.