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Home Racconti

Il regalo di mio fratello

Arben Imeri Arben Imeri
26 Dicembre 2021
Lek Albanese

– Ti voglio tanto bene,- mi dice mio fratello.
– Anch’io.
– Lo so, ma io di più.
– Ehi!? E come si misura il volersi bene? C’è un’unità di misura, una bilancia? C’è un record, tale? O, solo chiacchiere?
– C’è. Si misura in tuta.
– Tuta!? Ma cosa stai dicendo?
È un pomeriggio di settembre. Mio fratello è venuto a Tirana dalla lontana America e, come sempre, sono sceso apposta anch’io dall’Italia.

Gli anni passano veloci e mio fratello mi manca sempre di più. L’emigrazione ci sta lentamente consumando. Sebbene la tecnologia sembri aver in qualche modo ridotto la distanza fisica, a quella spirituale non ha ancora trovato il giusto rimedio. Mio fratello ed io, come altri della nostra generazione, abbiamo vissuto molti anni distanti l’uno dall’altro che insieme. Negli anni più delicati dell’esistenza e tuttavia, del tutto immaturi, abbiamo preso la decisione più importante della vita, ovvero c’è la siamo data a gambe levate separandoci per sempre dalle radici del nostro tronco. Ehhh…

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Di solito, forse perché sono il più piccolo, sono io quello che soffre della sua assenza. Oggi, invece, il sentimentalismo ha bussato nel cuore del mio fratello.

– Voglio farti un regalo,- continua.
– Cosa proprio opportuna, più che giusta,- rispondo.- Che dio aumenti i tuoi desideri! Regalo in beni mobili, soldi?
Ai nostri tempi, durante la dittatura, il fratello era un incallito scommettitore sportivo. Aveva intuito e vinceva niente male. Sempre, ogni volta che la fortuna era dalla sua parte, mi allungava una mancia. La quota di denaro che mi dava variava in base al mio comportamento e all’obbedienza che gli dimostravo nell’attività quotidiana, più precisamente, nell’uso della mia bicicletta da parte sua. Cosa che non mi piaceva affatto e che mi costringeva a frugare nelle tasche dei suoi pantaloni, appesi sulla porta della nostra camera, in cerca di un giusto risarcimento monetario. Naturalmente, gli fregavo i soldi non solo perché mi ero convinto perché mi spettassero, ma anche per vivere delle avventure piene d’adrenalina in quei giorni di vita color grigio.
Mi ispiravo al film culto della mia infanzia, Debatik, proprio alla scena dei due pionieri che distribuivano volantini antifascisti in classe. A volte, mio fratello si rendeva conto che gli mancavano alcune banconote.

– Hai preso dei soldi da me, tu? – chiedeva.
– È una vita difficile, – rispondevo, usando la battuta che tanto gli piaceva.- Il comunismo ci sta costringendo a confonderci i pantaloni…

Sorrideva.

– L’ultima volta, ok?
– Va bene. Ti ricordo quello che Ten Hsiao Pin diceva sempre a Mao: quando sbaglierò ancora, mi criticherai ancora e io, ancora, farò autocritica. Ehhh, se sbagliava Ten che era uno delle miglior menti della terra, vuoi che non cada in disgrazia uno peones come me!

Le battute mi salvavano sempre, perché visto che piacevano anche a lui, contrattaccava con altre, che ricordava dai film o dai libri letti…

– Ti comprerò un completo di tuta.
– Tuta?
– Sì.
– Sei sobrio? A cosa mi servono le tue tute!?
– Non lo so, so solo che voglio farti un regalo. Desiderio fraterno…
– Vattene per favore, vai a cambiare farmacista! Mica non le trovo in Italia, che dovrei riempirmi la valigia con dei altri stracci.
– Please,- mi suplica in inglese,- non rifiutare.
– È un peccato comprarle qui. Acquista per te, se vuoi.
– Per girare in Florida, in mezzo al caldo!?

Voglio… non voglio… ne vale la pena… non rifiutare… sono ossessionato… non sprecare i soldi

– Dai, costano soltanto 29 mila lekë, neanche 30 dollari, – insiste.- Ma, sono molto belle. Li ho visti ieri, in alcuni negozi all’interno di questo grattacielo…
Siamo davanti al palazzo della Radio TV albanese. Di fronte a noi, si erige un palazzo, non solo a più piani, ma anche a più colori. Il nome Coin si legge sulla insegna dell’alto edificio.

– Ti piacerà, sono roba firmata. Un diavolo sa perché costano cosi poco!

Non mi faccio più supplicare, obbedisco. Capisco in pieno il suo desiderio, una novità della vita che fa in America: quando trova qualcosa che gli piace e che ha un prezzo ragionevole, lo compra senza pensarci troppo. Come mai? Perché è una sorta di piacere, o forse una fissazione, tipo la sindrome dello shopping. Quello che in italiano definiamo “un bell’affare”, più o meno. Non importa se la cosa che sta acquistando le serve, importante è il prezzo. Dopo, prima o poi, verrà il giorno che le servirà.

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Entriamo nel grande magazzino. Alla porta ci accoglie una guardia, vestito di scuro, con i capelli corti. Magnetizzando ogni sorriso di commesse-modelle o modelle-commesse, saliamo al secondo piano. Proprio, nel reparto dove si trovano le tute.

Ci sono di tutti i tipi, marche e colori. Il fratello mi prende quasi per mano, come faceva quando ero piccolo.

– Eh? – mi fa, pieno di vanità.- Vedi che avevo ragione? Guarda che bei colori, quasi mi viene voglia di prendere anche per me .
– Bellissime! Costano cosi poco!?
– 29 mila lekë. Meno di così non le troveresti mai, tranne sotto l’albero di Natale…

Entro in una delle camerette e per qualche minuto provo tutte le tute che mi allunga. Guardo e mi metto davanti allo specchio. Mi piacciono, mi vedo bello vestito con questi colori. Vedi, penso, anche un bel completo di tute cambia l’aspetto di un uomo…

Decido di comprarne anche un altro completo, tanto mi piacciono.

– E per i ragazzi? – mi chiede.
– Glieli manderò le foto su whatsapp e se le piaceranno comprerò anche per loro.

Il fratello è su di giri.

– Dietro ogni scrittore di successo…
– Ehe?- faccio.
– C’è sempre un fratello ancora più di successo, – continua.- Per donarti delle tute firmate.

Per vari minuti continuiamo la nostra consueta partita a ping pong, fatto di battute. Fino al momento in cui mi ricordo qualcosa.

– Scusi, giovane, – mi rivolgo non senza imbarazzo a un ragazzo che sta girando intorno e che ha un distintivo con il suo nome e responsabilità appeso al petto.

Non so perché, ma trovo sempre difficile usare la parola signore in albanese.- Questo prezzo qui, è in lek nuovi o vecchi?- continuo, mostrando l’etichetta.

– Sono tutti in lek nuovi, – risponde.
– Cioè 290mila e non 29mila?
– Sì. 29 mila leke nuovi. Parliamo sempre di lek nuovi.
– Grazie.

Giro la testa da mio fratello, come per vedere se ha sentito il dialogo. Sopra la sua maschera, distinguo due occhi attoniti.

– Sono pazzi questi qua? – si chiede.- Dove vogliono arrivarci… 290 mila lekë vecchi per un completo!?
– Si, qualcosa come 250 euro.
– Ma vaffa…, va!
– A dire il vero, il prezzo sembrava troppo basso, ma non potevo non obbedirti: siamo frattelli… tuta… voglio farti un regalo… E, adesso!
– Pensano che siano tute lavate d’oro!
– Esattamente.
– Follia!
– Tanta follia!

Protestiamo tra di noi, senza lamentarci con i venditori. Successivamente, pensiamo alle persone che riescono a sopravvivere con tali prezzi.

– Adesso capisco perché l’intero magazzino era quasi vuoto, – dico. – Prezzi troppo alti per gli stipendi di qui.
– Vai a capirlo!
– Cosa?
– Ma come guadagnano se non vendono?
– Se sono ancora operativi, vuol dire che vendono altrimenti avrebbero chiuso da tempo. Quindi, la gente compra.
– La gente, ma non gli emigranti come noi. Quindi, visto che noi siamo tali, non siamo così sprovveduti…

Delusi, scappiamo dai negozi.

– Mai visto un paese come il nostro!- sussurra.
– Cosa?
– Come cosa!? Siamo i più poveri in Europa e ogni giorno fioriscono dei negozi di lusso! Senza contare le macchine costose… C’è qualcosa che non va!
– Come con i prezzi, in lek nuovi e vecchi, – dico, tornando nel discorso di prima.- Siamo unici al mondo…

E gli racconto il caso quando, il tassista che mi ha portato al Rinas, volevo pagarlo con duemila lek.
– Quanto costava la corsa? – chiede mio fratello.
– 20 mila lek. Ma lui ha detto duemila e tanto volevo dargli.
– Duemila lek vecchi o nuovi?
– Duemila… duemila… aspetta un attimo… sai che mi hai confuso. Aspetta che ti racconto di nuovo dall’inizio. Però, quando menzionerò i soldi, non mi devi interrompermi, altrimenti non ci capisco un tubo. Va bene?
– It’s okay.
– Un giorno, andavo da cadsa a Rinas, per tornare…
– Ma dai, questo l’ho capito. Quanto hai pagato, due mila lek nuovi o vecchi?
– Uffaaa!
– Cosa?
– Mi hai interrotto. Comincio da capo. Un giorno…

Argomenti: Arben ImeriBotimet Toena
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