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Il pranzo di Genti

Arben Imeri Arben Imeri
7 Novembre 2022
Vicoli Letterari Ultimissima

Arben Imeri , scrittore albanese, nasce a Tirana, il 19 dicembre 1965. Collaboratore di Albania news e Albania letteraria, vive in Italia dal 1991. In Albania ha pubblicato il libro di racconti dal titolo Unë banoja në Tiranë (Io abitavo a Tirana) con la casa editrice Toena.

Il pranzo di Genti

Fa caldo, non si respira. Siamo a casa, riuniti per il pranzo. La mattinata è stata tesa per gli eventi, ma anche ricca di emozioni.
Insieme a mio fratello stiamo facendo una lista di amici o conoscenti che, tra tanti altri, sono entrati in una delle ambasciate straniere.
È uno dei primi giorni di luglio, anno 1990. Poche ore fa, proprio sulla Via delle Ambasciate, mi sono separato per sempre da Gimi, il mio amico fraterno. È salito sul muro dell’ambasciata tedesca ed è saltato dentro al cortile.
– Dai, vieni anche tu, – mi dice, quando ci abbracciamo davanti al muro di recinzione “tedesco”.- Guarda quanta gente sta entrando.
– No, Gimi, non pregarmi invano. Verrò in occidente con un passaporto, con un visto regolare, non posso rischiare così.

La verità è che i nostri genitori non vogliono che ce ne andiamo via da fuggiaschi. Hanno paura di non vederci più. Sono convinti che, una volta che le ambasciate saranno stracolme di gente che vuole scappare, la polizia e l’esercito faranno irruzione, provocando un bagno di sangue.
Da quando, due giorni fa ci sono stati i primi assalti alle rappresentanze diplomatiche, loro, di continuo, ci pregano di non abbandonarli.

– Se voi due vi rifugiate dentro un’ambasciata, sappiate che noi verremo internati in qualche angolo sperduto. Siamo anziani, oramai, come faremmo da soli?- chiedono, cercando di toccare i nostri sentimenti.
– Confineranno tutta Tirana!? – protestiamo. – Solo noi e alcuni conigli come noi andiamo ancora in giro a fare finta di niente. Tutti gli altri stano scappando…
– Non vi arrabbiate! Appena vostro zio dall’America manderà gli inviti ufficiali che le autorità chiedono, ve ne andrete come dei veri signori. Abbiate un pochino di pazienza…
– Sono 27 anni, da quando sono nato che non voglio più vivere sotto questo regime,- risponde mio fratello.- Di pazienza, non ne ho più!
– Se tutti i giovani scappano, chi farà cadere la dittatura, gli alberi?
– Non me ne frega niente! Voglio solo andarmene da qui…
– Siete sicuri che le nostre autorità vi permetteranno di andare all’estero!? Che la nostra polizia non vi lascerà marcire sotto il sole, come le bestie, in quei piccoli cortili delle ambasciate e, una volta stanchi affamati e malati, uscirete da soli?
– Va bene va! Però, sappiate che quando andremo in America, non si ritorna più in Albania, d’accordo?
– D’accordo. Basta che andiate come turisti e non soffrendo come tutti questi che stanno buttando giù i muri e i cancelli…

Fififiuuuu… fififiuuu! Il canto finto di un canarino, che un elettricista, amico di mio padre, ha adattato come campanello di casa, interrompe le nostre discussioni. Mi affretto ad aprire la porta.
Davanti a me ci sono le vicine dell’appartamento di fronte, madre e figlia.

– C’è tua madre? – mi chiedono.
Sui loro volti scorgo preoccupazione, quasi avessero le lacrime agli occhi.
Chiamo mia madre e siccome sono curioso torno in soggiorno lasciando aperta la porta. Ma non ce n’è bisogno, perché le vicine quasi urlano disperate.
– Genti vuole entrare nell’ambasciata tedesca!- dicono, una dopo l’altra.- E da un’ora che stiamo cercando di convincerlo, ma è testardo e non ci da retta. Se ci provi tu, forse ti ascolta e si convince di non andare via. Altrimenti, per noi saranno guai…

Genti è il quinto figlio della loro famiglia. Ha tre anni meno di me, deve ancora compiere l’obbligo di leva. Lavora come facchino in una quei furgoncini aperti, Zuk, che distribuiscono legname da ardere nelle case di tutti i cittadini. È un tipo sereno, di poche parole, dal viso regolare e con dei capelli castani che, con il sole dell’estate, diventano quasi biondi. È pieno di muscoli, perché la sera, dopo il lavoro, con tanti altri coetanei, si allena con dei ferri e attrezzi ginnici. Ha studiato fino alla terza media, perché, innanzitutto la scuola non gli piaceva, e poi le spese dei libri e dell’autobus erano insostenibili per la sua povera famiglia.

I vicini sono tra i più poveri, non solo del nostro condominio, ma di tutto il quartiere. Fino a poco tempo fa, facevano davvero fatica ad arrivare a fine mese. Da quando tre dei loro sette figli stanno lavorando, qualcosa è cambiata in meglio per loro, pur continuando a condurre una vita piena di privazioni, dalla mancanza di vestiti nuovi, al non andare mai in ferie, fino a non mangiare come tutti gli altri. Hanno acquistato da poco la TV, mentre a comprare la lavatrice e il frigorifero, non ci pensano nemmeno. A cosa servirebbe il frigorifero in una famiglia dove si vive alla giornata e che, dopo ogni pasto, non rimane niente da conservare!? I loro genitori non consumano mai nemmeno la solita confezione mensile da 100 grammi di caffè, che il governo ci permette di acquistare nel negozio statale degli alimenti. In realtà la comprano, rivendendola a pari prezzo a noi o ad altri condomini, facendoci un grande favore.

– Chiamatemi Genti, per favore!- ordina mia madre.
Lei, oltre ad essere una brava vicina, da quando è stata insegnante, sa di godere di un certo rispetto tra i sette fratelli e sorelle che vivono di fronte a noi.
Quando sentiamo le sue parole, io e mio fratello corriamo con tanto di piacere, al fine di poter partecipare anche noi all’educazione del prossimo, che vuole infangare la biografia del nostro condominio.
Ed ecco Genti. Compare controvoglia e piuttosto riluttante, nello spazio che si trova tra i nostri due appartamenti. Indossa ancora i suoi abiti da lavoro sporchi. Ci saluta.
Il presidente della giuria è mia madre, sua madre e la sorella minore faranno i giurati. Io e mio fratello, oltre a dei semplici spettatori ficcanaso, a seconda del caso, scegliamo di fare anche i suoi avvocati, qualunque cosa accada.

– È vero quello che mi ha detto tua madre? – chiede nostra madre.- Vorresti entrare nella ambasciata tedesca?
– Sì, – risponde Genci, senza alzare lo sguardo.
Il presidente, dall’alto dei suoi anni di esperienza di insegnamento, non perde tempo, si butta subito all’attacco dell’imputato.
– Come si!? Sei sano di mente, ragazzo!? Dove vuoi andare!? Chi ti sta aspettando lì?
– Non voglio che mi aspetti nessuno, me la caverò da solo. Voglio andarmene da questo posto, il cappio intorno al collo si stringe sempre di più…
Mia madre sgrana gli occhi sorpresa dalla sua risposta, amplificata dal fatto che Genti è un taciturno e, a differenza dei suoi fratelli, non lo ha mai sentito inveire o soltanto parlare contro il regime.

– Cosa!? Cosa hai detto!?
– Non sono felice di fare questa vita, di vivere tutti i giorni con la paura che per una sola lamentela,    si possa finire in prigione.
– Con quella paura conviviamo tutti, non solo tu.
– Il mio stipendio lo consegno tutto alla mamma, neanche un centesimo tengo per me,- continua il ragazzo.- Non vado mai allo stadio, al cinema ci vado molto raramente, non fumo, non bevo. Cos’altro dovrei fare per tenere qualcosa per me, vendere il sangue ogni mese, come fa mio fratello!?
– Senti, Genti.
– So solo lavorare! Lavorare come un asino e allenarmi la sera. Con la pancia vuota, però!
Cade il silenzio. Le sue parole sono tutte vere, lo sappiamo tutti, ma, dette con tanta nudità, risultano ancora più crudeli della pura realtà.

Mia madre cambia atteggiamento.
– E questi genitori che ti hanno cresciuto e fatto di te un uomo, dove li lascerai, li abbandonerai? Vuoi essere egoista e pensare solo a te stesso? È giusto che le conseguenze cadano sui tuoi fratelli e sorelle? Che, a causa della tua immaturità, loro trovino da lavorare solo nella campagna o bonificando i canali con un piccone? Ti pare giusto?
– Che vengano anche loro con me, – si difende il facchino, sempre, senza alzare la testa.- Peggio di così non si può vivere…
Solchi di lacrime scendono giù dalle guance di sua madre.
– Io, per risparmiare, non ci vado mai a Mëzez, dai miei fratelli!- si rivolge lei al presidente del tribunale.- Invece lui dice di andare in Germania!?
Quando sente le parole sincere della madre, la sorella dell’imputato scoppia a piangere. È gracile, con un viso color giallo e la pelle quasi secca dalla malnutrizione. Ha dei capelli lunghi neri, avrà uno o due anni meno del fratello.

– Non ti senti in colpa se ci abbandoni?- chiede al fratello.
– Ascolta qui, Genti, – si affretta a interviene ancora mia madre. – Sappiamo che tu, a differenza di tanti altri tuoi coetanei, sei un bravo e serio ragazzo, uno che aiuta la famiglia… che stai sempre lontano dai casini… i sacrifici dei genitori… le sorelle stanno per sposarsi… il governo ha promesso che distribuirà passaporti… andrete via come persone… con visti regolari…
– Dove posso andare con il mio passaporto!? A malapena abbiamo soldi per comprare il pane, figurati per pagare passaporti o biglietti. È ora il momento di andarsene!
– Si, ma bisogna andare senza far soffrire le famiglie. Perché, i miei figli non vogliono andare via dall’Albania, sono dei cretini, loro!? No, non lo sono, ma non sono nemmeno ingrati. Andranno via anche questi due, ma secondo le regole. Le cose stanno cambiando, caro Genti. Adesso le strade dell’Occidente si apriranno per tutti e realizzerete ogni sogno. Ma, senza abbandonare i genitori e senza causare loro ferite inguaribili. Guarda tua madre che pesa quaranta chili, Genti, vuoi che lei si ammali?
– Per Dio, se lui se ne va, io morirò dalla disperazione!- salta su sua madre, asciugandosi le lacrime con la mano pieno di rughe.

La situazione assume toni drammatici, ma nessuna delle due parti si arrende.
Mio fratello ritiene opportuno dire la sua, mettendo pace fra tutti.
– Ehi, tu – si rivolge a Genti con finta serietà – Hai deciso di entrare in ambasciata?
Gli occhi di Genci si illuminano.
– Non cambio idea per niente!- risponde, dimenticando il ruolo dell’imputato.
– E cosa aspetti, che queste qua ti dicano buona fortuna!? Il treno passa solo una volta nella vita. Fai quello che devi fare, per il resto baci e abbracci, no?
Da drammatica, l’atmosfera diventa comica.
– Che bell’esempio gli dai! – gli dice mia madre – Complimenti!
– Va bene che non ci diate via libera a noi due, – continua mio fratello, intendendo se stesso e me. – Ma adesso non volete che vada via nessun’altro! Come se fossimo una famiglia di sbirri, noi! Madonna Santa!

La madre e la sorella di Genti protestano, ma mio fratello insiste.
– Ha compiuto 18 anni, – dice alle due donne. – È capace di intendere e di volere, non potete fermarlo. Se non aspettassimo un invito da nostro zio in America, per andare da lui, noi due saremmo dentro a un’ambasciata straniera, a quest’ora. Mica siamo scemi!

L’unico a non parlare sono io, limitandomi soltanto a fare dei cenni a Genti, per fargli capire che non deve sentire la sua demagogia. Vattene, gli dico muovendo la testa e stringendo le mascelle.
Il processo al povero ragazzo continua per alcuni minuti. Alla fine, influenzato dalle lacrime di sua madre e della sorella, promette che rifletterà ancora un po’ prima di prendere la decisione finale. Le due donne ringraziano incessantemente mia madre. Quest’ultima, quando salutiamo i vicini e torniamo dentro casa, si sente trionfatrice.

Non abbiamo ancora fatto il riassunto del processo, quando suona di nuovo il campanello. Questa volta alla porta c’è Genci stesso.
– Chiama tua madre, per favore – mi dice.
– Ma’, c’è Genti che ti vuole, – urlo.
Mia madre corre felice verso l’uscio. Ecco, Genti ha ragionato con il cuore e ha cambiato idea, pensa fra sé…
Anche mio fratello si avvicina all’ingresso. Dalla porta di fronte a noi, spiccano le due teste femminili della controparte.
– Allora, Genti? – chiede mia madre.
Il ragazzo è tutto nero.
– Volevo solo farti vedere il mio pranzo di oggi!- dice, porgendole una fetta di pane nero e metà pomodoro a cuor’ di bue, tagliato in due.- Si può vivere così!?

Mia madre rimane zitta.
– Lavoro tutto il giorno caricando e scaricando legna – continua. Dallo sguardo arrabbiato e il tono infuriato della voce, si capisce quanto sia nervoso e che sta quasi per piangere. Non ha niente in comune con quel ragazzo, quasi genuino, che, poco fa, aveva promesso di rifletterci sulla sua decisione di scappare.

– Mi sento stanco tutto il giorno a causa del lavoro pesante, mai al riparo dalla pioggia o dal sole, non protesto mai! Come posso riprendere le forze, mangiando solo un pezzo di pane e metà pomodoro!? Sono giovane, non mi basta una pagnotta intera, cosa ci faccio con una fetta di pane? È giusto questo calvario? Che colpe ho io che voglio andarmene!?

Nessuno replica, non c’è niente da dire. Sua madre e sua sorella piangono di nuovo. Questa volta, non perché Genti vuole scappare, ma perché si sentono in colpa per la loro povertà. Il loro cuore gronda di sangue per il figlio e il fratello, che mai si alza dal tavolo abbastanza sazio.
– Se mi dici che posso vivere con metà pomodoro al giorno, – si rivolge ancora all’ex presidente della giuria, – non entrerò in ambasciata.

Non parla lui, parla la sua anima. Le ferite di Genci sono così profonde, il sangue che le attraversa tutti i giorni, non permetterà mai che si cicatrizzino. Siamo tutti commossi dalle sue parole. Non c’è nessuna consolazione per quello che abbiamo sentito. Siamo spiacenti. Sapevamo che i vicini non fossero messi bene, ma non fino a questo punto.
– Neanche mi sono lavato, oggi,- il ragazzo è un fiume di parole.- Non c’è acqua. L’ acqua del fusto, l’hanno finita gli altri…
Mio fratello è il primo a riprendersi.
– Sei ancora qui!? Vattene, vattene, per favore, prima che la polizia blocchi le strade che portano alle ambasciate. Domani non si sa…
Genti se ne va. Da quel pomeriggio, non l’abbiamo più rivisto…

* * *
Pochi giorni dopo, sempre di pomeriggio, sentiamo una voce maschile che dall’esterno chiama per nome i fratelli di Genti. È Andon, un uomo che abita nell’altra scala del condominio. Fa l’autista municipale, su uno di quegli autobot che lavano le strade.
– Venite giù,- urla il tipo con la voce emozionata.- Ho incontrato vostro fratello nell’ambasciata tedesca.
Le finestre sono aperte e le sue urla entrano dentro le case di tutti. Ci precipitiamo fuori: i più piccoli si improvvisano messaggeri, scendono le scale facendo gara tra loro, mentre avvisino la gente che Genti ha mandato sue notizie.
Andon, prima di parlare, aspetta che arrivino tutti. Nella mano destra tiene un paio di sandali usati. Sembra felice, l’impressione è che porti belle notizie. Si forma un mezzo cerchio, prima i famigliari e dopo gli altri.

– Genti sta bene e vi saluta tutti,- esordisce.- L’ho visto stamattina…
Non può più continuare: le donne iniziano a piangere, gli uomini lo abbracciano, ringraziandolo. Uno dei fratelli gli offre una sigaretta Partizan, senza filtro, un altro trova nella sua tasca la scatola dei fiammiferi e gliela accende. Andon ringrazia mettendo la mano sul cuore.

– Raccontarci,- dice il padre del fuggiasco.
– Shtshtsht,- fa la gente.- Silenzio!
L’autista dà un tiro alla sigaretta, manda il fumo nei polmoni, se lo gusta e dopo lo soffia con tanto di piacere.
– Stamattina ho portato l’acqua nell’ambasciata tedesca, per i rifugiati,- dice. – È un gran casino là dentro, ci saranno in due-tre mila persone. Genti mi ha visto e mi ha chiesto di voi…
– Amore di mamma!
– Che errore abbiamo fatto a non entrarci tutti,- dice un altro.
– Voleva scrivervi due righe,- continua Andon.- Ma gli ho detto di no, altrimenti sarei stato costretto a fare il corriere per molti altri. Avevo paura che all’uscita i nostri sbirri mi controllassero. Ecco, ho solo potuto prendere i suoi sandali.
Con tanto di legittimo patetismo, consegna i sandali alla madre del ragazzo. Lei non si trattiene più: stringe i vecchi sandali nel petto e li annusa. Dopo, li bacia.
– A lui non servono più, – continua Andon. – Che li usino i miei fratelli, mi ha detto…
* * *
1993. Da due anni sono in Italia.
Entro in una cabina telefonica e compongo un numero: è quello dell’ unico vicino che, nel nostro quartiere a Tirana, possiede un telefono. La sua casa è diventata una sorta di ufficio postale, dove chiamano tutti gli emigranti che se sono andati all’estero.
– Puoi chiamarmi i miei genitori per parlarci, tra mezz’ora?- chiedo all’uomo. Si chiama Resul, è un pensionato che adesso lavora più di prima, facendo avanti e indietro per le case dei giovani che chiamano i loro genitori da tutto il mondo.

– Meglio un altro giorno, oggi non possono…
Ringrazio Resul e attacco il telefono.
Ricompongo il numero.
– Xhaxhi* Resul, perdonami se te lo chiedo: non possono o non puoi avvisarli? Sono preoccupato…
– Loro non possono, non io! Oggi, c’è molta confusione nella vostra casa.
– Confusione da noi!? E perché, cos’è successo?
– Come, cos’è successo!? Non sai ancora niente?
– Cosa dovrei sapere!?
– Genti, il tuo vicino, è morto in un incidente.
– Cosaaa!?
– Ieri hanno portato la salma dalla Germania. I tuoi hanno lasciato libero il loro soggiorno, per le condoglianze degli uomini. Sono in disordine…

* titolo rispettoso verso gli anziani

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