“I garofani che ci si trovano a Shkodra per me son’ così belli.” (da Karajfilat qi m’ka Shkodra, vecchia canzone albanese)
A Scutari si possono trovare tutte le stagioni. All’ingresso, lì alla rotonda e nelle zone circostanti, risiede un rigido inverno. Anche a metà agosto. Inverno dentro le persone, inverno fuori di esse. Soprattutto l’inverno è negli occhi e nel cuore delle anime e sui marciapiedi, dove i contadini vendono i loro raccolti e i mendicanti le loro facce.
È agosto quando visito Scutari per la seconda volta. Trovo l’estate sulla Pedonale, vestita di garofani e di bucaneve. Ogni due passi incontro giovani che pedalano biciclette. Rotolano fino alla fine della passerella, per poi tornare al punto di partenza.
È sempre primavera presso il lago. Il pesce ha il sapore della terra e la brezza quello dell’infanzia. Da lì si vede una collina. In quel posto cresce la vegetazione autunnale, sempre umida, piena di pioggia, come le lacrime di Rozafa e il latte che bagna le mura del castello e le strade che scendono in città.
Quando ero piccola, ogni volta che venivamo qui in gita, tutti ridevano e giocavano vicino alle mura del castello. Io mi sedevo sempre di fronte a lei. Non so se mi ascoltasse e se mi rispondesse, ma so che le raccontavo tutti i miei problemi. Ero spaventata e in ansia. All’epoca pensai che sarei diventata una donna e pregai molto che Dio mi desse un figlio maschio. In quei pensieri e in quelle preghiere fatti a Scutari, ritrovo l’autunno di questa incantevole e aspra città.