Da alcuni anni gli immigrati albanesi in Italia con impegno e dialogo hanno cucito una nuova immagine allo stereotipo e agli aggettivi che i mezzi di informazione in modo irrealistico li avevano riservato. I recenti resoconti storici e oggettivi hanno cercato di rappresentare delle analisi attenenti ai fatti.
Tuttavia, la storia e gli avvenimenti susseguiti dalla caduto del blocco comunista hanno dato carta bianca ai media. È stata enfatizzata la cronaca nera che tanto colpisce l’attenzione del pubblico, senza badare a ciò che instaura nell’immaginario comune, al punto che i cittadini non distinguono più il reale dal casuale, tra “albanesi-criminali” di alcune prime pagine a “albanesi gente per bene” di altre indagini fatte per contrastare le prime.
Da vent’anni fa, momento in cui i primi albanesi misero piede nella coste pugliesi alla ricerca del “Lamerica”, si sono visti i destini di quelle persone spargersi come le scintille di un fuoco d’artificio in tante direzioni. Alcuni si sono trovati nel posto e nel momento giusto, mentre altri no.
È con questa intenzione che il libro Niko. Nikolin Gjeloshi, cittadino del mondo si presenta indistintamente al pubblico italiano e albanese.

La storia parte da un’infanzia-adolescenza vissuta sotto le regole di un regime liberticida, per sfoggiare in gioventù in un incontenibile desiderio di evadere dalla realtà presente. Dopo aver percorso il mare su “imbarcazioni di fortuna”, il protagonista inizia una strada in salita per costruire una vita degna di esser vissuta.
Tutta la storia pare presentarsi come un modello a cui tanti migranti di fatto si riconoscono. Una generazione questa alla quale la storia è andato contro, escludendoli. Scappati nei primi anni ’90 da una degenerazione istituzionale e dalla mancanza di stabilità politica e sociale, si trovano ancora oggi senza un’identità istituzionale a cui esprimere la loro esistenza, se non che attraverso mezzi trasversali di informazione e conoscenza.
Un protagonista emblema di molte altre storie contemporanee
Sicuramente una strada riuscita è proprio quella del protagonista del libro, Nikolin, proprietario dell’azienda Edile EDILALBO dal 1997 e rappresentante tecnico dell’Azienda Del Taglia Piscine. Lui, insieme ai circa 23 mila aziende aventi come titolari cittadini di nazionalità albanese rappresentano la parte tangibile di un sogno iniziato 20 anni fa.
Nel 1996, perspicacemente Nikolin, “straniero” ma grande lavoratore, segue l’idea di aprire una ditta per conto proprio. In un primo momento la Questura di Firenze rifiuta la variazione del Permesso di Soggiorno da “lavoro subordinato” a “lavoro autonomo”, giustificandola formalmente per “l’assenza delle condizioni di reciprocità con il Paese d’origine”, in seguito ai disordini del ’97 in Albania.
Grazie al ricorso insieme all’Ambasciata albanese a Roma alle istituzioni italiane a Tirana e al TAR di Firenze, Nikolin ottiene il via libera facendo così anche da “apripista” per tutti gli altri immigrati che vogliono sfruttare le potenzialità di conoscenze, esperienze e professionalità accumulate onestamente con il lavoro.
Per lui, come per la maggior parte degli stranieri in Italia, la più grande scuola di cultura imprenditoriale e professionale la si raggiunge con l’esperienza personale diretta. Le difficoltà di lingua, delle conoscenze legislative, di dimestichezza con le rappresentanze amministrative, con i commercialisti e con tutto il mondo del lavoro si superano con un duro e costante impegno quotidiano.
Nikolin, dalla sua testimonianza personale, sottolinea che ci vogliono almeno 10 anni di lavoro per capire pienamente i meccanismi di funzionamento e avere la cultura imprenditoriale che ti permette di mandare avanti un azienda di successo con la stessa qualità, conoscenza e professionalità di qualsiasi altro imprenditore italiano dello stesso livello.
Lo scrittore del libro Niko. Nikolin Gjeloshi, cittadino del mondo, si rivela amante della storia degli albanesi
Il libro è scritto da Paolo Seganti, conosciuto in Italia per aver interpretato Martino Ristori in “La figlia di Elisa”, e che professionalmente esibisce una valigia piena di esperienze. Attore di altri svariati film famosi in Italia, Francia, Olanda, e Stati Unite, dove ha scelto di vivere dopo aver deciso di emigrare abbandonando l’Italia. Lì, dal mondo del pugilato entra a lavorare sul set con personaggi del calibro di Paul Newman, Giulia Roberts e Woody Allen che diventano la sua più grande scuola.
Amante delle storie e delle analisi di vite, inizia a scrivere disinteressatamente una storia che sarà assunta in “Fuga dall’Ungheria”, dove protagonista è suo padre che in epoca comunista viene imprigionato per 9 mesi a Budapest per motivi politici.L’idea è quella di scrivere uno scenario per una futura serie televisiva. Scrive poi “L’imbuto di latta abbandonato”, una favola romanzata che s’intreccia con la gli affetti familiari e quotidiani.
Quando conosce Nikolin, rimane colpito dalla sua storia, che come quella di tanti altri albanesi è completamente diversa da quella raccontata dai media italiani. La percezione di contrasto tra realtà e costruzione immaginaria, lo spinge a porre nero su bianco una serie di episodi della vita di Nikolin che completano l’idea di un giusto resoconto della storia di un emigrato dall’Albania. “Il libro non è solo una vita raccontata” – dichiara lui- “è anche un accenno artistico e romantico che lo stesso autore intende realizzare”.
Si legge in sovraccoperta: “ Verso la fine del secondo millennio, un ragazzo caparbio lascia l’aspra Terra delle Aquile e navigare verso l’abbagliante benessere che immagina al di là del verde Adriatico. La storia di Niko è una storia del nostro tempo, che rispecchia un destino individuale e collettivo, senza fronzoli e senza retorica (…) Fierezza e umiltà, speranza e disillusione, gioia e dolore, voglia di affermarsi e a volte di lasciarsi andare (…) di vita vera, scandita dal passare dei giorni più duri, feriti dalle tenaglie della nostalgia per la propria terra e i propri affetti, che alimentano ancor più la sua voglia di riuscire (…)”.
