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La Tirana del conte Max

Arben Imeri Arben Imeri
5 Ottobre 2020
Conte Max Tirana

La voce femminile della segreteria mi avvisa che la telefonata sarà registrata e che rispondono in modalità smart working.

– Buona sera, sono Massimiliano. Come posso aiutarla?

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Più che un dialetto capitolino, il suo accento è proprio una parlata di quelle delle borgate periferiche di Roma: timbro caldo, molto comunicativo, che sa il fatto suo.

Mi piace, perché di competenza e per di più, di speranza, ne ho proprio bisogno.

– Buona sera, signor Massimiliano, – dico emozionatissimo. – Avrei bisogno di una informazione. Un amico mi ha passato il vostro numero…

– Mi dica tutto quello che vuole, – continua, con la sua voce per niente distante. – Sono qui per aiutarla.

La sua “ospitalità” mi rende felice e mi incoraggia, pertanto, amichevolmente, tra me e me, decido che, in segno di fratellanza italo-albanese, senza farglielo sapere, lo chiamerò Max. Max è più cool di Massimiliano, no? E poi, tutti i Massimiliano famosi, vengono chiamati Max, in versione anglosassone: Biaggi; Giusti; Allegri, etc.

Il mio di Max, se non è medico di carriera, sarà un psicologo o cosa del genere, conosciuto nel loro albo professionale. Non tutti sono bravi ad ascoltare con pazienza la gente, capire le loro esigenze e i loro problemi e, la cosa più importante, sostenerli a trovare la soluzione più giusta.

– Ecco, io dovrei andare a Tirana, da Bologna. Sarò meno di due giorni laggiù e tornerò di nuovo a Bologna. Devo andare per forza, questioni urgenti… Vorrei sapere se al ritorno in Italia sarò costretto a fare la quarantena di 14 giorni. Non posso esentarmi dal lavoro, signor Max… upsss… scusa, signor Massimiliano, volevo dire.

– Un attimo, per favore. Facciamo una alla volta.

– Va bene.

Il suo “facciamo una alla volta” mi conforta per il seguito. Questo Max mi sa che risolverà il mio problema, penso. Sennò, perché dovremo fare “una alla volta” e non “tutto insieme”.

– Da che regione chiama lei? – mi chiede.

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– Emilia Romagna.

– Emiglia Romagna?

– Si. Sono trent’ anni che abito quà.

– Più precisamente? La città?

Le sue domande mi confortano. Capisco che Max è un tipo minuzioso, che svolge le sue mansioni con senso di responsabilità verso il prossimo e non soltanto per questioni economiche. Le sue domande, fatte con una certa confidenza che percepisco attraverso il suo modo di esprimersi, mi mettono a mio agio. Ho fatto bene a telefonare.

– Abito a … , – e gli dico il nome del paese.- Provincia di Reggio Emilia. Via Trieste 64, interno 10.

– Reggio Emilia. E dove deve andare?

– A Tirana. Ho i miei genitori là e vorrei andarci a trovarli.

Di fronte a me, mia moglie che segue con apprensione la telefonata, prende una scatolina di medicine e me lo mette davanti ai miei occhi. Sfrega il pollice con l’indice facendomi il segno dei soldi. Capisco tutto.

– Devo portarli delle medicine, – mento con tanto di zelo. – Sa, sono medicine che costano, non mi fido della posta. Quella albanese, naturalmente.

Sento che Max, dall’altra parte del telefono, scuote la testa dandomi ragione. Almeno, mi piace immaginare che faccia cosi.

– Allora lei parte da…?

– Da Bologna. In aereo verso Tirana. Quelli della compagnia aerea mi hanno detto che non devo fare nessuna quarantena, ma non voglio rischiare. Per questa ragione ho deciso di telefonare a voi, che siete competenti in matteria.

Questa della compagnia aerea era la seconda bugia che gli dicevo. Di me, alla compagnia interessano solo i soldi del biglietto e nient’altro. Ti chiedo scusa, Max, ma che devo fare, sono costretto a dichiarare il falso.

– Ha detto che lei va a Tirana?

– Si.

– Più precisamente?

Come più precisamente!? Te “Vorri i Bomit” vado, nel mio quartiere, nella mia casa. Come cavolo posso tradurre Vorri i Bomit? Il cimitero di Bomi!? Mah!

– A Tirana, in Albania. L’indirizzo esatto non me lo ricordo, ma posso chiedere ai miei genitori e richiamare di nuovo.

– No, signore, non si preoccupi, facciamo a meno. Allora vola da Bologna?

– Si. Ma solo se lei mi dirà che al ritorno non dovrei stare 14 giorni chiuso in casa. Spero che lei mi dica di si, cioè che non sarò in isolamento fiduciario.

Daje, Max, dimmi di si, per amor del cielo! Siamo diventati quasi amici… devo andare per forza a Tirana, ho un servizio urgente da fare. Mi devi capire e farmi partire, te ne sarò grato…

– Ma questa Tirana, come si scrive?

Cosa!? Ha parlato Max o Gerry Scotti dalla tv!? Non è possibile!

– Cosa? – rispondo. – Non ho capito bene.

– Tirana, come si scrive?

La voce non è di Gerry, ma di Max. Conosco la sua voce innocente, quasi naiff.

Apro la bocca, sgrano gli occhi. In un nano secondo il film della mia vita si ferma nella sequenza delle domande e battute più strane che ho sentito in 30 anni che vivo in Italia: c’è il mare in Albania; perché Israele vi vuol invadere; conosci Luccio Dalla; ha giocato basket re Leka, etc. La lista e troppo lunga, ma tale domanda non l’avevo mai sentito.

Come si scrive Tirana! Ma stai scherzando, Max? Mi prendi in giro? Mi chiedi a me come si scrive Tirana, proprio a me, che sono nato, cresciuto e vissuto là. Ma cos’è, un’umiliazione, questa domanda!? Ma se hai mai scritto Torino, cosa serve a saper’ scrive Tirana! O mamma mia! A me che ho scritto anche un libro su Tirana! Mica si scrive Katmandu, N’Djamena o altro nome difficile!

No Max, no, mi devi scusare ma questa non te la perdono. Sai, noi albanesi siamo vendicativi e io te lo servo calda, la mia vendetta. Hai capito? Al diavolo il volo, la quarantena, i soldi del biglietto. Ho un onore da difendere, non posso non difendermi dalla tua sberla, non voglio avere rimorsi di coscienza.

– Allora, Torino.

– Si.

– Imola.

– Si.

– Roma.

– Si.

– Ainstein. Noi albanesi Einstein lo scriviamo con la lettera a.

– Si.

– Napoli.

– Si.

– Anstein secondo.

– Ah, ecco. Tiranas, no? C’è anche una esse in fondo?

– No, no. Ho detto Ainstein secondo per non confonderlo con l’ Ainstein primo. Ti- ra- na. E facile…

Non faccio in tempo di fare un sospiro di sollievo e vantarmi con me stesso per la vendetta, perché Max, torna in vantaggio di nuovo.

– Ho già capito, – mi fa. – Adesso lei stia in linea, perché le passo un collega di rango inferiore che le saprà dare tutte le informazioni nel merito. Intanto, io la saluto e la ringrazio.

Cosaaa!? Ma allora ho ragione, tu non sei strano, tu mi prendi per i fondelli! Ma com’è possibile che ci sia un altro come te, e per di più, di rango inferiore! O diooo! Vuol dire che tu, sei di rango superiore. Abbi pietà, Max! Uffaaa!

E il bell’ Max, prima che lo saluti, mi mette una melodia in pausa e mi passa quello che deve essere il collega del rango inferiore.

Non sbatto il telefono per terra, perché, anche se mi sento sconfitto e umiliato, nutro una vaga speranza che il tipo del rango inferiore mi risponda…

Cosa che, naturalmente, non fece.

A Tirana non andai. Non potevo fare altrimenti. Decisi che avrei scritto la storia di Max.

Pardon, del conte Max…

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