Frederik Rreshpja, uno dei poeti albanesi considerati tra i più grandi del ventesimo secolo, era un convinto oppositore del sanguinario regime comunista, tanto da scontare in totale circa diciassette anni di carcere e vivere da emarginato per quasi tutta la sua esistenza. Le poesie erano la sua arma: si opponeva fermamente al realismo socialista e tramite la sua penna dava voce a un popolo oppresso e privo delle più elementari condizioni di libertà.
Attraverso la poesia, carica di vita e disperazione, Rreshpja manifestava la caparbia volontà di non voler rinunciare alla sua condizione di uomo libero.
Si definiva scandaloso e come tale il regime considerava la sua poesia, tanto da imprigionarlo. La sua era una lirica coraggiosa, che nasceva in un mondo ingiusto e crudele.
Nel 2022 è stato pubblicato il libro Liriche dalla casa editrice A&B.
Di seguito, otto poesie di Frederik Rreshpja per la traduzione di Astrit Cani
(fonte: http://letteraturaalbanese.blogspot.com)
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Vignetta
Un salice ermo, coperto d’inverno
Spoglio da uccelli e foglie:
Come scoiattolo balza il vento per i tronchi
Col boccio di pioggia tra i denti
Le notti felici, da campanellini
Trillano sui rami della memoria…
Si profilano sullo sfondo dei lampi
Le lune che si sono mangiate le greggi
Cascato dal vetro infranto del cielo
Il cristallo di giaccio albeggia le notti
E sui pastelli di neve infreddolisce
Il salice triste, quale tragico Serembe .
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Autunno 1990
Piange il cervo in radura e le lacrime si fan pioggia
Si rattrista il vento sulla roccia
Non ci sono più foglie verdi. Stanno cadendo
I sogni dei boschi ad uno ad uno
Fuggono gli uccelli lo spogliarsi dei tronchi:
Addio, o boschi dei Balcani!
Solo un cespuglio azzurreggia ancora
L’ultima viola del canto d’usignolo
Ah, venga l’autunno senza migrazione d’uccelli!
Che venga il buon Dio, a prender in mano le stagioni!
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Preludio
O aria della sera avvolgimi, è ora che io muoia di nuovo.
Quando si chiuderanno i miei occhi, non ci sarà più mare
Per le imbarcazioni di lacrime.
Vado e lascio chiuse tutte le piogge.
Ma tornerò ancora ad ogni stagione che vorrò.
Sono stato la tristezza del mondo.
O aria della sera avvolgimi, è ora che io muoia di nuovo.
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Ritorno alla città natia
Eccomi di nuovo tornato nella Scutari dei re
Eretta pietra su pietra
Sulle nude spalle
Di una donna
Dai fratelli traditori.
Sui rami della pioggia cantano gli uccelli
Sotto il grande albero del mezzodì
Le foglie cadono a ingiallire la mia anima.
Poi,
Io le scaravento al cielo per fare un autunno
Ma tu non ci sei più…
Ora
sei negli albori delle stagioni
per ciò non ti tocca più il gioco d’aria e di sole
che assurge sulle nubi come su un altare pagano.
Appaiono
Nel vespro le rose tessute di sole
Ahi ora persino le rose mi ricordano i camion con i ragazzi uccisi
Com’erano belli e giovani mio Dio!
Arrivederci ragazzi su un pianeta senza dittatura
Nell’aria
Appaiono i patriarchi della poesia albanese
Bogdani, Fishta, Mjeda e Migjeni
I miei padri vagano per l’aria perché hanno i sepolcri infranti.
Ora
Pure il marmo della mia voce è infranto
Ora
Che è scesa la sera e la statua della notte bussa sulla vecchia finestra
Dai vetri franti.
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Ave, madre mia!
Sto sotto la pioggia. È questa l’unica cosa che voglio.
Che è questo? Chiedono le stille di pioggia sulla mia fronte
Così ho udito la voce della pioggia
Un giorno d’estate accanto alla vecchia quercia
Alla porta spalancata per gli uccelli.
Ahi, quand’ero giovane e bello credevo
Che tutte le piogge del mondo cadessero per me
Ma ora che tanti anni sono trascorsi
So che non fa senso alcuno che piova.
Ecco andata anche mia madre sotto una pioggia di marmo
Nell’archeologia degli dei che cadevano
Ave, madre mia!
Solo in te ho creduto
Altro Dio non ebbi mai. Amen!
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Torso
Assurgi dal regno di pietra!
È da così tanto che busso sui marmi.
Mille anni e duemila.
Ci siamo baciati tra illiadi venerande
Quando gli Omeri suonavano la lira
O luna della pioggia, cieca maestosa!
Fai un Iliade per me
Quando sarà caduta anche l’ultima Ilion…
Sta chiuso nella pietra il mio cuore
Mille anni e duemila.
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La morte di Lora
Giaci nell’ora vespertina come se i tempi ti fossero crollati addosso,
Pronta per l’eternità.
Non mi parli. Hai dato la tua parola alla morte, lo capisco.
Ma tu a questo mondo venuta sei per me, non per i cieli.
Siamo sempre stati insieme, fin da giovani,
E ora m’hai lasciato!
Mi fanno tristezza le stagioni. Tu lo sapevi
E dal mondo mi separa una via di miglia solitarie
Abbiamo detto cose che non saranno capite mai.
Abbiamo camminato per i secoli, davanti alle piramidi,
I nostri nomi erano scolpiti
Anche quando non avevamo la roccia.
Ma queste cose non saranno mai capite.
Come i vangeli.
Siamo stati belli entrambi, ma tu ora
Sei ancor più bella, con un poco di morte sugli occhi.
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Shiroka in inverno
Non vi sono più uccelli. I voli sono cancellati.
Nulla fuorché la primitiva aura della pioggia.
La riva rimugina ai piedi delle acque
Sognando l’estate passata.
Nella sabbia dell’oblio io raccolgo
La ceramica del tuo ritratto.
Che breve questa estate, mio Dio!
Un pugno di sabbia e un pugno di sole.
Tutto il calendario dell’estate con un solo sabato
E tutto il sabato con un bacio soltanto.
Rimani, stasera da me
La luna sul fiume disegna
Un ponte per i sogni delle stelle;
Nube grigia, l’obliata nostalgia
Rimette il capo nelle mani della selva.
Venisti per la via della luna,
Sbocciarono ai portici le rose.
Rimani stasera da me
Il tempo che le rose dei tronchi morti siano mature.