L’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota (1405 – 1468) è il comandante federatore che lotta contro i turchi ottomani nel XV secolo, all’interno del sottoperiodo storico che lo scrittore arbëresh Girolamo De Rada definisce la “Grande Epoca” (“Moti i Madh”) e che spazia nei 100 anni, tra il 1379 (quando gli ottomani si sono impiantati nei Balcani e mirano alle terre abitate da albanesi) al 1479 (resa ai turchi della veneziana Scutari). Come afferma lo storico Oliver Jens Schmitt:
nella “Grande Epoca” si annodarono insieme i fili della storia medievale albanese, al termine della quale l’Albania cristiana cessò semplicemente di esistere
I fili di Schmitt
I fili ai quali Schmitt si riferisce sono costituiti dalla presenza, sulle coste adriatiche, di domini veneziani (tra i quali spiccano per importanza strategico-commerciale Scutari e Durazzo) agognati dal Regno di Napoli e dai turchi. Questi ultimi si identificavano in signorie sulle terre di vari feudatari albanesi cristiani imparentati con le casate delle nazioni limitrofe e in larga parte non intenti ad accettare passivamente il dominio ottomano, che inizia a materializzarsi in presenza di una popolazione cristiana in preda alle disgrazie di guerra, che lo porteranno a intraprendere esodi migratori interni dalle campagne verso la montagna o verso Grecia e l’Italia del Sud, in mancanza di un autorità imperial -amministrativa forte come lo erano state nell’Antichità Roma e fino al XIII secolo Bisanzio.
L’equilibrio precario della storia
Durante il “Moti”, Venezia oscillerà tra lotta contro i turchi e le tregue tattiche necessarie a riarmarsi, pagando cari i tentennamenti, con la perdita dei domini dopo la morte di Skanderbeg. Il Regno di Napoli diventa l’alleato esterno principale e di fatto unico del Castriota, i grandi feudatari rimangono divisi e in rivalità tra di loro e con il federatore e gran parte della popolazione cristiana si unisce agli sforzi dei guerrieri per impedire l’instaurazione della nuova forte autorità imperiale ottomana. Preceduta da quella di suo genero Giorgio Arianiti Topia Comneno, la rivolta di Skanderbeg (1443 – 1468) è la più lunga mai condotta dagli albanesi contro gli ottomani nell’intera storia d’Albania.
Skanderbeg, guerriero e crociato
Ritrovandosi perno intorno al quale si snodano molti “fili” della sua epoca storica, Skanderbeg è stato al contempo il guerriero dalla parte della libertà della giovane nazione albanese, il crociato cristiano contro un aggressivo impero musulmano, il punto di riferimento nei Balcani per ogni tentativo anti-ottomano intrapreso dalle potenze extrabalcaniche (Regno di Ungheria, Papato, Regno di Napoli), ma non solo. L’eroe è stato il personaggio centrale nelle alleanze matrimoniali che travalicavano i ceppi del suo gruppo etnico di appartenenza ed è entrato nel mirino di tradimenti intrafamiliari (spicca tra questi quello del nipote Hamza, ma anche quello postumo di due nipoti, figli della sorella Mamica, i quali, subito dopo la sua morte, si convertirono all’Islam nella speranza di mantenere il dominio su terre controllate).
La forza degli invasori turchi (tra i migliori eserciti dell’epoca e demolitori del millenario Impero Bizantino nel 1453) e le fragilità delle alleanze interne ed esterne rendevano eroico il tentativo di Skanderbeg di stabilire un principato albanese, che servisse da avamposto della cacciata dei turchi dai Balcani, obiettivo finale da raggiungere tramite una crociata patrocinata dal Papato e il Regno di Napoli.
Essendo cresciuto nella corte ottomana – dove si distingue come guerriero tanto da meritarsi il soprannome di Skanderbeg, in onore di Alessandro Magno – l’eroe albanese arriva a conoscere la loro amministrazione (da giovane ebbe l’incarico di governatore di Kruja) e soprattutto la forza del loro apparato militare, che sopravanza numericamente qualsiasi unità guerriera singola balcanica e tecnologicamente avvantaggiato nell’assedio delle fortezze grazie alla dotazione di cannoni.
Gli ottomani entrati in Bulgaria nel XIV secolo e poi progressivamente in Traccia, Tessaglia, Macedonia (Skopje cade nel 1392), Kosovo e Serbia, nel 1430 prendono Salonicco, Giannina e nel 1453 Costantinopoli. Tentano invano di assediare, Belgrado ma – aiutati anche da varchi nel campo albanese – sottraggono al Castriota la fortezza di Svetigrad (1448) erigendo un’altra a Elbasan (1466).
La rivolta e la resistenza
Partita da Kruja (1443) dopo aver defenestrato gli ottomani, la rivolta di Skanderbeg si svolge principalmente nell’area dell’Albania Settentrionale odierna, intorno ai fiumi Drin Nero e Mat (luogo dei domini della famiglia Castriota) e la regione storica di Dibra, (attualmente sotto i confini politici di Albania e Macedonia del Nord). La rivoluzione esprime fortemente il senso di indipendenza degli abitanti delle montagne dell’Albania del Nord, che non vogliono sottostare ai signori della pianura, tra i quali rientrano i feudatari, gli ottomani o gli albanesi convertiti all’Islam. (Questa orgogliosa tradizione di autonomia si perpetuò anche dopo la conquista ottomana e nelle rivolte anti-ottomane del XIX-XX secolo, che anticipano l’indipendenza albanese gli abitanti delle montagne avranno un ruolo cruciale nell’indebolire l’Impero.)
I sultani Murad II (1450) e Maometto II (1466, 1467) assediano la roccaforte di Kruja e ne ordinano l’assedio per tre volte, facendo intorno terra bruciata. Un tentativo non riuscito, in quanto costretti a ritirarsi sotto l’incalzare dell’astuta guerriglia condotta dal Castriota. La resistenza di Kruja possiede un che di eroico, considerando che Maometto riuscì a conquistare Costantinopoli (29 maggio 1453) dopo un assedio di due mesi, mentre nel 1462 prese Târgoviște in Romania dopo aver debilitato le forze del ribelle Vlad III di Valacchia al punto da costringerlo ad abbandonarla. Essendo pure lui cresciuto alla corte turca come Skanderbeg e conoscitore del loro apparato, Vlad III puntò a tenere gli ottomani lontani dalla sua capitale in Valacchia attaccandoli ai fianchi e tentando di schiacciarli con una guerra psicologica di terrore (gli impalamenti) e batteriologica orientata al contagio della peste. Skanderbeg, conscio della schiacciante inferiorità numerica, opta per la strenua difesa della fortezza e gli spossanti attacchi di guerriglia ai fianchi. Posizionata strategicamente su una collina rocciosa, Kruja capitola solo nel 1478, 10 anni dopo la morte del suo eroe.
La fine strategia di Skanderbeg
Contro armate numericamente superiori Skanderbeg si mostrò un fine stratega. Nel 1444 a Torvioll batta Ali Pascià, a capo di un esercito di circa 40.000 uomini, composto dai suoi uomini e da altri provenienti dalle foreste circostanti.
Nel 1457 ad Albulena deve superarsi, perché al comando dell’esercito contro di lui c’è il nipote rinnegato Hamza, suo ex-braccio destro e conoscitore delle tattiche albanesi. Skanderbeg scompare dalla vista dei turchi per mesi, (lui e il suo esercito vengono ospitati dalla fedele popolazione), per poi attaccare all’improvviso gli ottomani e schiacciarli. Nell’ultima fase della rivolta a metterlo in grandissima difficolta è Balaban Pascià, anche lui conoscitore delle tattiche guerriere albanesi. Balaban viene schiacciato e ucciso in battaglia a carissimo prezzo perché in una imboscata del 1464 riesce a catturare vivo il comandante Moisi Golemi insieme ad altri importanti capi militari, tutti giustiziati a Costantinopoli.
Avendo legami e contatti diplomatici con Ragusa, Borgogna, il Papato, il voivodato di Transilvania, Milano, Venezia e Regno di Napoli, Skanderbeg mira a ottenere cospicui finanziamenti monetari e militari per poter continuare a tenere gli ottomani lontani dall’Adriatico: il miglior alleato si rivela il Regno di Napoli. Durante il periodo della rivolta del Castriota (1443 – 1468) a capo del Regno si ritrovano Alfonso V e Ferdinando I, appartenenti alla casa reale di Trastámara d’Aragona.
Napoli mira a creare un vasto dominio mediterraneo, proposito che lo mette in rivalità con Venezia e l’Impero Ottomano, contro il quale intende condurre una crociata. Skanderbeg ha relazioni travagliate con i confinanti domini veneziani (che nel 1448 sfociano in guerra aperta) e le mire antiturche di Alfonso V rendono il re del Vesuvio un suo alleato naturale oltre Adriatico, militarmente assai più valevole di ogni altra entità italiana, Papato incluso.
Ad aiutare l’instaurazione materiale dell’alleanza è Vrana Konti, ex-mercenario dell’esercito di Alfonso V e comandante di Skanderbeg; essa risponde altresì, anche ai propositi del Papato, favoreggiatore di una crociata anti-ottomana e informato della sua gestazione dal re del Napoli nel 1451.
Il risultato formale dell’intendimento strategico tra Skanderbeg e Napoli è il Trattato di Gaeta (7 giugno 1451), il quale stabilisce l’alleanza tra le parti e obbliga Alfonso V a investire militarmente in Albania in cambio del riconoscimento della sovranità sulle terre del Castriota. Dopo il Trattato a Kruja si insediano un governatore (Ramon d’Ortafà) e un comandante della fortezza (Pere Scuderia) inviati da Alfonso V; nel 1455 una forza aragonese partecipa al fallito assedio di Berat, che è ottomano dal 1417. In virtù di quest’alleanza Skanderbeg aiuta militarmente in Italia Ferdinando I nella guerra dinastica contro Giovanni d’Angio, pretendente al trono di Napoli.
Dopo Skanderbeg
I propositi di crociata in combutta con il Papato non si materializzano e Skanderbeg continua la lotta antiturca praticamente da solo fino alla sua morte per febbre malarica (17 gennaio 1468), mentre è intento a formare una nuova coalizione tra i feudatari albanesi, con le relazioni con Venezia in fase di miglioramento.
Le conseguenze della guerra devastano l’Albania: nella zona rimasta più a lungo sotto il diretto controllo di Skanderbeg, in pochi decenni il numero di villaggi diminuisce della metà, mentre quello delle abitazioni a un quinto rispetto al periodo precedente. Venezia diventa decisamente un’alleata degli albanesi, ma Kruja si arrende ai turchi nel 1478, mentre Scutari lo fa nel 1479 e Durazzo nel 1501. Tanti albanesi fuggono dalla pianura per rifugiarsi sulle montagne, (Il nero della xhubleta, costume tradizionale albanese facente parte del patrimonio UNESCO, potrebbe riflettere il loro lutto in seguito alla morte dell’eroe.)
Tantissimi altri (tra cui la moglie Donika e il figlio minorenne di Skanderbeg Giovanni) trovano rifugio a Venezia o nei territori del Regno di Napoli, nel Mezzogiorno italiano, dove – unendosi ad altri albanesi fuggiti in seguito alla conquista ottomana della Grecia – danno vita alla comunità arbëresh, candidata anch’essa a far entrare la sua cultura immateriale tra il patrimonio universale UNESCO. Incarnazione dell’impari lotta di una piccola popolazione etnica contro l’impero più espansivo dell’epoca, la figura di Skanderbeg raffigura colui che più di nessun altro personaggio della storia ha condotto l’Albania nella storia d’Europa.
L’eroe nazionale
Skanderbeg, in realtà, raggiunge questo traguardo quando ancora è in vita. Ha vissuto nell’ultima fase dell’epoca medievale,, il periodo della genesi dell’identità territoriale ed etnica dei popoli europei e rappresenta al meglio questa fase costitutiva dell’albanesità per l’essere l’elemento imprescindibile del riconoscimento internazionale di questo paese come parte contigua del Vecchio Continente.
Così lo descriveranno le menti colte della sua terra: il prelato cattolico Marino Barlezio, il narratore quasi contemporaneo dei fatti della sua più lunga storia, scritta in latino; l’alto prelato Frang Bardhi, che nel 1636 difende in un appassionato trattato l’origine e la dimensione albanese dell’eroe. Nel XIX secolo la sua figura entra di prepotenza quale spina dorsale della narrazione identitaria del Rinascimento Nazionale anti-ottomano degli albanesi, pronti per parte della loro élite più cosmopolita ad emanciparsi dall’Impero Ottomano e perciò bisognosi di una figura unitaria storica che diventa mito. Sia raffigurato artisticamente e sia nella narrazione storico-letteraria, è la perenne ubiquità panalbanese a costituire uno dei più comuni tratti della figura storica di Skanderbeg.
Elenco libri su Giorgio Castriota Skanderbeg censiti su Albania Letteraria