E poi mi sorprendo ancora
di quello spicchio di terra
con l’erba sfumata di ocra
che si agita nella notte
appassita più dal proprio peso
che dal brusìo circostante
Intorno al tendone del circo
cani in calore
La donna elettrica è tutta per voi
incredibile ma vero unica al mondo
una coppia di zingari discute
al vento
chissà quale antico arcano
mi duole ammettere
che tu ancora scuoti
la mia ragione
oltre ogni limite
e non te lo direi
mai te lo direi
questa volta lascio
che la notte si animi da sola
silenziosa sotto la mia pelle
per poi incrinarsi lentamente
insieme ai cappelli dei clown
ai baci degli zingari
e al tiepido guaito dei cani
Isprăvi, Isprăvi
un richiamo
dal retrogusto
di polvere
e di erba matura
L’opinione
In Dimentica chi sono, la raccolta di poesie di Griselda Doka, suddivisa in quattro sezioni, le parole giungono all’animo umano, coinvolgendolo emotivamente e permettendogli di immedesimarsi con l’immaginifico realismo. Sono versi che contrappongono la luce alle ombre, tracciando un lungo percorso che porta verso l’immobilismo delle vivide sensazioni, per poi trascinarsi negli anfratti più oscuri e delicati della coscienza. Lo sguardo rimane attento alle interrogazioni interiori di pura bellezza, alla ricerca di un futuro orientato verso una nuova vita e l’abbandono del disordine che regna nell’organizzata mente di chi si ostina a non ascoltare il cuore.
Le poesie profumano di libertà, nonostante siano tinte di rosso rabbia e assumano le sembianze di una crudele analisi della vergogna umana, che scorre naturale e fluida nelle movenze della collettività. Esse trasudano forza, determinazione e maturità appartenenti a una donna, che attraversando le onde del dolore, desidera rinascere come fosse melodia di un canto. La lente d’ingrandimento si pone sul sogno abbandonato del genuino IO, che si forma nuovamente sorgendo dalle viscere del perentorio soffio vitale.
L’incanto e la dolorosa invocazione si elevano alla stessa potenza nella lirica della Doka. Si fa forte l’urgenza della poetessa di cantare alla sofferenza ineludibile della psiche, che si fonde con l’inno all’amore, profilandosi nella fantasia esistenziale di ognuno e incarnando la benevola ragionevolezza pronta a fronteggiare le antinomie della moralità, affinché al mondo ci siano persone capaci di intrecciare sentimento e ragione, mettendoli sull’equilibrata e salvifica bilancia della rettitudine. L’autrice invita, con decisione, a guardarsi dentro, senza risparmiarsi e senza edulcorare alcunché.
È interessante l’ottica con la quale si guarda al senso della vita, fatta di contrarietà, suggestioni, di un amore talmente puro e passionale, tanto da essere rivendicato come uno dei bisogni primari dell’esistenza, angosciante, inquietante, pesante e al contempo fremente, limpida, gocce di rugiada nel deserto, linfa vitale. “Guardati dentro come nessun altro può fare e smetti di sopravvivere per iniziare a vivere!” sembra voler dire la scrittrice.
Scorre la penna della Doka, sistemando i versi su un’altalena che dona scossoni a chi è fermo nell’inattività dell’Anima, regala empatia a chi non vede più il lume guida del proprio cammino, per poi rinchiudersi in un assordante mutismo. Il canto alla vita si avvicenda con la smorfia di dolore e con il silenzio messo a protezione della coscienza.
In questa raccolta si ritrova la poetessa dell’amore, di quello mancato, alla ricerca consapevole dell’IO attraverso la profonda anamnesi dell’esistenza.
Come sempre accade con i versi della scrittrice albanese, non tutto è perduto. Esiste il risveglio, esiste un Dio al quale aggrapparsi, che non può non guardare la sofferenza degli ultimi, di chi mette i propri figli in mare, considerandolo più sicuro della terra; esiste la consapevolezza della nostra espressione di persona, che non può e non deve fallire. È intensa e tesa la poesia della Doka, un travaglio che si snoda tra il bisbiglio dell’Anima, l’urlo della ragione, tra la soavità e la severità, in un’inchiesta sul vorticoso accasciarsi della speranza e del suo lento peregrinare verso una nuova forma di salvezza.