Sonila Strakosha è nata a Tirana, nel 1975 ed è laureata in Lingua e Letteratura Albanese. Per diversi anni ha lavorato nel suo paese natio come insegnante di lettere, ha poi vissuto e lavorato in Italia fino al 2021, quando per motivi di lavoro, si è nuovamente trasferita a Tirana.
Nel 2015 ha pubblicato in Albania il libro Un anno della vita di Bora, il quale è stato tradotto e pubblicato a novembre del 2017 anche in Italia con il titolo Racconto d’amore. Nel 2018 è arrivato il suo secondo libro dal titolo Corinne e nel 2020 è stato pubblicato Fuori dall’abisso.
Il racconto Buon Natale. Lo slogan della rivolta è di forte impatto e sottolinea quanto il regime di Enver Hoxha abbia fortemente limitato la libertà personale, impedendo di rivolgere un semplice pensiero alla fede. Come si può proibire a qualcuno di credere in Dio? Il credo non si può vietare, né impedire con la forza. È il pensiero di una bambina, forte e drammaticamente vero.
Buon Natale. Lo slogan della rivolta
“Allora Keti, vieni qui davanti a recitare i versi dedicati al nostro amato Partito!”.
La voce dell’insegnante suonò forte e chiara.
Keti, presa alla sprovvista, si alzò con un po’ di timore e a passo lento si diresse al centro della classe.
“Comincia!” si fece più insistente il timbro che le ordinava di iniziare la sua performance.
Non si aspettava di essere interrogata quel giorno, era sicura che non toccasse a lei. Non aveva studiato bene la poesia: la notte precedente si era addormentata con sua nonna mentre lei, con la solita tranquillità e il bel modo che aveva di descrivere, le raccontava una storia di Natale. Le era sembrato uno strano racconto ma che aveva trovato molto particolare e pieno di fantasia. Era quasi sicura che l’indomani nessun insegnante l’avrebbe interrogata. Non aveva ritenuto di grande importanza imparare a memoria quei versi.
E invece adesso toccava a lei.
“Allora…?”.
La maestra cominciava a mostrare segni di impazienza.
“Caro nostro Partito
Le tue direttive,
I tuoi insegnamenti
Nei nostri cuori rimarranno
In eternità…”.
Keti aveva iniziato a recitare con voce preoccupata e a ritmo abbastanza lento. Le parole uscivano piano. La paura che non riuscisse a ricordare bene le si rifletteva sul volto dopo ogni lettera pronunciata.
“Perché ti sei fermata? Vai avanti!”.
La professoressa non nascose il proprio disappunto. Si intuiva chiaramente che l’alunna non si fosse impegnata abbastanza.
Keti provò a ricordare il resto, la voce usciva sempre debole e senza nessuna espressione.
“Tu sei il nostro faro
Sei la guida
… …
Tu sei la via
… …
Che fa splendere
Ogni nostro passo. Tu… tu… sei…”.
Si arrese. Non si ricordava il seguito e far finta di saperlo, avrebbe contribuito soltanto a peggiorare le cose.
Provò ad alzare la testa ma ebbe l’impressione che non avrebbe avuto il coraggio di affrontare lo sguardo della maestra. Far fronte alla criticità dei suoi occhi le risultava difficile. Rimase senza fiatare, con la testa abbassata.
“Per oggi non ti metto nessun voto, vai al tuo posto e ricordati di studiare bene, la prossima volta ti interrogo ancora!”.
Keti andò via con gli occhi sempre bassi per la vergogna sedendosi silenziosa. Il suo banco si trovava vicino a una finestra rotta. Erano in pieno inverno, si contavano gli ultimi giorni di Dicembre. Sentì il freddo entrare nelle ossa e tremò leggermente.
L’insegnante continuò con il suo tono che voleva dimostrare chiari segni di rimprovero.
“Non va bene così, i tuoi lo sanno che non hai studiato? Questi versi devono fluire da dentro, con naturalezza e semplicità. Sono stati scritti per il nostro glorioso Partito, al quale dedichiamo tutto ciò che siamo, per il quale, se serve, dobbiamo sacrificare la nostra stessa vita”.
Keti osservò la bocca della maestra che si schiudeva mentre formulava senza scomporsi le sue affermazioni e cercò di capire fino a che punto l’insegnante sentisse quei concetti pienamente reali e veritieri.
Ormai aveva quasi tredici anni, faceva la seconda media ed era abbastanza grande per poter riflettere o porsi delle domande. Col tempo, aveva iniziato a intuire che tanti dei professori dicevano e ripetevano sul Partito espressioni tipicamente di circostanza, frasi fatte, come dei robot programmati a recitare a memoria un particolare spezzone, che era sempre lo stesso. Una lezione che voleva mettere in evidenza la forza del loro Partito Glorioso, l’unico nel sistema dittatoriale comunista, che da più di quarant’anni custodiva il suo indiscusso potere nel Paese. Le frasi preparate erano sempre uguali, tanto da risultare ogni anno più monotone. Affermavano che il Partito marciava orgoglioso verso infinite vittorie senza mai scontrare paure e timori, guidando invincibile il Paese, incurante degli attacchi dei nemici interni e anche da quelli che si preparavano
a possibili attacchi dall’esterno.
A Keti, questi nemici, se realmente esistevano, risultavano del tutto invisibili.
Spesso si chiedeva se fuori dai loro confini, gli altri popoli si fossero mai accorti di loro, del loro vissuto, se sapevano dell’esistenza dell’Albania. Aveva provato a domandarsi se veramente fuori da lì, qualcuno avesse mai sentito parlare di quel Partito che il regime comunista reputava una divinità terrestre. Era il potere indiscusso dello Stato e del governo che lo rappresentava, continuando a tenere alta l’attenzione su probabili minacce che potessero arrivare da nemici invidiosi della loro prosperosa Albania.
Anche quell’affermazione ormai superata le sembrava tanto ridicola. L’Albania negli anni ottanta era caduta in una crisi economica che era impossibile non constatare e ogni frase propagandistica che cercava di tenere viva una gloria ormai in agonia, le risultava ai limiti dello stucchevole.
Sempre in quegli anni, la guerra delle classi continuava ad essere rigida e ferrea. Il nome del Partito del lavoro d’Albania glielo avevano inculcato nel cervello già in tenera età, quando ancora frequentava la scuola d’infanzia. Lei, allora, non poteva assolutamente capire cosa fosse un Partito, eppure sentiva ripetere quel nome dappertutto, in ogni angolo che percorreva, sui muri della città, in ogni via.
Una volta. quando era piccolina, dopo avere visto un film con uno strano animale gigante dotato di grande forza, mentre sullo schermo scorrevano le immagini, aveva fantasticato che lui fosse il Partito. Era un enorme ciclope in grado di distruggere l’intera città con la sua forza senza paragoni. Keti aveva associato quell’essere spaventoso al suo Partito. Si ricordò che quel pensiero l’aveva travolta all’istante e ancora una volta tremò.
Che assurdità, pensò. Per un attimo un lieve sorriso conquistò il lato della sua bocca. Provò a comporsi e non esprimere nessuna emozione. L’insegnante continuava a scrutarla attentamente. Si sentì in grande disagio.
“Scusami maestra”, riuscì a pronunciare soltanto queste parole.
“Dovrai prepararti meglio per la prossima lezione, mi raccomando”, concluse lei domandando subito dopo:
“Chi vuole venire a recitare i versi?”.
Alcuni alunni impazienti alzarono le mani nella speranza di avere il permesso per conquistare la scena nei minuti a venire.
Oriana, la sua amica del banco, le rivolse uno sguardo di comprensione. Meno male che c’era lei, pensò. Era sempre stata molto più strafottente di Keti, non si curava più di tanto di un’interrogazione andata male.
Il freddo continuava ad impossessarsi di lei.
Buttò gli occhi fuori dalla finestra: si notava soltanto il buio. La giornata si presentava spenta e nuvolosa. Erano appena passate le dodici ma si creava l’idea che fosse pomeriggio inoltrato. In quell’orario la giornata avrebbe dovuto apparire bella luminosa, invece sembrava fosse più un anticipato crepuscolo, che non era affatto allettante. Niente a che vedere con i tramonti veri che spesso incantavano Keti quando nel tardo pomeriggio rimaneva ad osservare il cielo dal suo balconcino.
Distolse lo sguardo ed incrociò gli occhi di Oriana. Per un attimo ebbe l’impressione che lei stesse leggendo la sua mente.
“Manca poco ormai”, disse l’amica con un senso di sollievo. Era spesso irrequieta quando l’ora contava gli ultimi minuti.
Keti ascoltava le solite raccomandazioni della professoressa alla classe, senza più prestare attenzione. Aveva perso ogni interesse.
Al suono del campanello si alzarono ed uscirono in fretta. Fuori presero ancora contatto con il freddo tagliente ma anche col buio insolito. Sembrava che il clima si divertisse, in quei giorni, a usare su di loro il proprio potere, in modo cinico e spietato.
Era il 25 Dicembre. La maggior parte dei ragazzi sapevano che in altri Paesi quella notte veniva illuminata da tante luci che si accendevano e si spegnevano come lucciole colorate. Si festeggiava il Natale.
In Albania però non si poteva neanche nominare quella festa. Era una data proibita.
Il regime aveva infatti da anni chiuso ogni luogo di culto, dichiarando l’Albania un paese ateo. In tanti continuavano a pregare di nascosto, con il rischio di essere scoperti e di conseguenza perseguitati, imprigionati o internati nei campi di lavoro forzato. Keti aveva sentito che negli anni passati in tanti erano stati addirittura ammazzati per motivi religiosi, senza che nessuno ancora sapesse ancora dove fossero seppelliti.
Perfino colui che pregava e credeva in Dio, veniva chiamato nemico del popolo. Allora anche sua nonna, i suoi genitori, lei stessa, potevano essere considerati possibili nemici. Non erano liberi di decidere se credere o meno, non gli era permesso.
Le amiche si erano incamminate verso casa.
Avevano sentito che nel mondo proibito fuori dai confini del Paese, proprio di fronte loro, in Italia, nel periodo natalizio venivano accese milioni di luci, tanto da far trasformare la notte in un giorno splendente.
Le ragazze avevano ascoltato di nascosto anche alcune canzoni di Natale e la frustrazione di non poterle cantare liberamente, era tanta.
Keti pensò alla storia che la nonna le aveva raccontato la notte prima. Uno strano racconto di fantasmi, i quali avevano cambiato un uomo rigido e freddo facendogli credere nella magia di Natale, restituendo così a lui la voglia di festeggiare.
Era ormai grande, ma l’abitudine di addormentarsi ogni tanto con le carezze di nonna, non aveva ancora cessato di esistere, e a lei piaceva tanto.
La nonna le aveva detto che la storia l’aveva scritta Charles Dickens e si intitolava “Canto di Natale”.
Aveva già letto “Oliver Twist”, un libro che il regime permetteva di circolare liberamente, invece il racconto di Natale non si poteva pubblicare. I temi legati alla religione venivano fortemente ostacolati e proibiti. Non volle essere curiosa chiedendo alla nonna come fosse venuta a conoscenza della storia, ma fu molto piacevole
addormentarsi la sera immaginando le immagini del racconto.
Aveva immaginato un gruppo di alieni arrivato da un altro pianeta con la missione di cambiare la linea politica e liberarli dall’oppressione del regime. Le sembrava talmente impossibile che questo potesse succedere, tanto che l’unica speranza la vedeva in probabili sconosciuti alieni i quali arrivavano con lo scopo preciso di portare loro la libertà.
Prima di chiudere gli occhi aveva domandato:
“Come si può proibire a qualcuno di credere in Dio? Il credo non si può vietare, né impedire con la forza”.
“Non dire i tuoi pensieri a nessuno, te li tieni per te. Se senti il bisogno di pregare, fallo in silenzio, affinché nessuno ti possa sentire. La cosa più importante è che la tua preghiera la ascolti Dio”.
Keti non aveva avuto la forza di contraddirla. Le palpebre le si erano chiuse facendola sprofondare nel sonno, alleviando così il peso di ogni pensiero.
Oriana colse senza difficoltà lo stato riflessivo in cui Keti si era immersa e decise di parlare con un tono di voce che voleva esprimere, perlopiù, amarezza.
“Sai, mio papà ha dei cugini negli Stati Uniti, si sono trasferiti lì prima della fine della guerra e dopo la chiusura dei confini non hanno più potuto fare ritorno. Ieri ci è arrivata una loro cartolina. Mentre aprivamo la busta abbiamo notato un fatto strano. Nella parte di sotto si leggeva, Felice Anno Nuovo, ma sopra si capiva che con l’aiuto di un particolare inchiostro fosse stato cancellato un pezzo del testo. Provammo a graffiare e abbiamo scoperto che c’era scritto Buon Natale.
Per un po’ le ragazze rimasero in silenzio.
Ogni lettera che arrivava da fuori veniva letta e controllata nei minimi particolari. Se un testo o un augurio non si rivelavano in linea con gli ordini e le direttive del regime, veniva cancellato prima di essere consegnato al destinatario; ammesso che avesse avuto la fortuna di raggiungerlo.
Sembrava inverosimile, eppure era ciò che in quegli anni accadeva in Albania. Le ragazze sentirono un forte senso di privazione e solitudine.
Si sentirono tristi, frustrate, impotenti di reagire, di esprimere i propri desideri e di credere liberamente nei propri sogni.
Oriana tirò fuori un gesso bianco preso da scuola.
Si fermò e lanciò a Keti un’occhiata di complicità. Lei capì che stava pensando di combinarne una delle sue. Si era sempre distinta per la troppa vivacità. Oriana esitò un attimo per poi girarsi verso il muro del vecchio edificio accanto, dove con grandi lettere rosse c’era scritto lo slogan “Gloria eterna al Partito del Lavoro, d’Albania”.
A Keti vennero ancora in mente tutti gli insegnamenti rigidi ricevuti a scuola, quando li avevano costretti a imparare a memoria, poesie, recitare versi, cantare canzoni per glorificarlo e onorarlo fino allo sfinimento. Molte volte gli veniva addirittura ordinato di chiamarlo col nome “Madre Partito”!
Il Partito del Lavoro stava prendendo nelle loro menti le sembianze di una divinità imposta.
Suonava così assurdo ma il tutto era assolutamente, tragicamente reale!
Oriana si girò per assicurarsi che nessuno le stesse guardando e poi, con la mano che sentiva leggermente tremare, sotto lo slogan rosso sangue scrisse velocemente: “Buon Natale”, ripetendo la frase diverse volte. Per un attimo rimasero immobili ad osservare le lettere pallide scritte in bianco, ma che avevano preso forma come se volessero sostituire un’idea, un pensiero imposto con la forza, una sorta di intimazione.
Andarono via correndo, con il cuore che in contemporanea ai loro passi, accelerava i battiti.
Dopo aver corso un bel po’, capirono di non essere state scoperte. Per fortuna nessuno aveva visto ciò che avevano combinato. Stupite e impaurite si fermarono per prendere fiato. Non sentivano più freddo.
Il calore aveva pervaso ogni parte del corpo ed era salito fino ai loro volti facendo apparire rosse le guance che all’improvviso sorridevano felici. Rimasero ferme per qualche secondo respirando l’aria fredda. Erano ancora un po’ intimorite ma al tempo stesso sollevate. Si sentivano libere, forti e tutt’ad un tratto erano diventate grandi.
“Ma cosa abbiamo fatto!” domandò Keti, ancora incredula.
Oriana non disse nulla, si limitò a sorridere.
Avevano commesso una follia ma che le aveva segnato addosso un forte senso di responsabilità. Fu una ribellione costretta a far vedere finalmente il suo volto arrabbiato. Un’azione che avevano compiuto così, senza che neanche si rendessero conto, ma che aveva messo a nudo la loro protesta interiore, da tempo taciuta.
Si misero di nuovo in cammino. Oriana sembrava aver preso gusto.
Keti notò ancora una volta il suo sguardo astuto, pronto a ripetere l’azione.
“Basta Oriana, torniamo a casa! Non oso immaginare cosa ci potrebbe succedere se venissimo scoperte”.
Lei non parve prestare attenzione e si rifiutò di fermarsi. Continuò a scrivere su altri edifici lo stesso augurio proibito, che in quegli istanti diventò per loro come uno slogan del desiderio sprofondato e urlato dall’anima”; lo slogan della rivolta. Sembrava piuttosto strano associare un augurio così puro, bello, pacifico, a uno slogan, ma in
quegli attimi fu così che lo percepirono, perché per loro, “Buon Natale” voleva essere contrapposto all’oppressione, all’intolleranza e alla dittatura. Cercava di essere la risposta ad una divinità imposta dal regime.
Correndo qua e là, completarono l’opera perfino sull’asfalto freddo delle strade buie.
Non potevano smettere di scriverlo, per poi mettersi a correre con l’entusiasmo che non riusciva a rimanere del tutto nascosto.
Oriana continuava a sorridere. Keti osservava gli occhi dell’amica che d’un tratto erano stati avvolti da una strana luce, lungimirante, pensierosa e ottimista. Ignorava che lo stesso luccichio fiducioso, coglieva nei suoi anche Oriana.
Le lucciole della speranza apparvero negli occhi sconcertati delle ragazze.
Oriana alla fine tirò il braccio a Keti dicendo: “adesso torniamo a casa”, e strette per mano continuarono il tragitto.
Il ricordo di quel 25 Dicembre le avrebbe accompagnato a lungo.
Continuarono a ripetere lo stesso rituale per diversi anni, e ogni volta si rivelò una gioia segreta, un entusiasmo celato, una frustrazione liberata. Fu una piccola felicità che le esplodeva da dentro lasciando intravedere piccole tracce di una rivolta che da lì a poco sarebbe esplosa in tutto il Paese per portare nel 1991