“Yàtaghan, dov’è mia madre? Dov’è mio padre? Quando vengono a portarmi via? Tu lo sai, yàtaghan?” Il piccolo orfanello stava con il viso incollato a una teca del museo. “Nessuno lo sa, nessuno mi risponde. Lo chiedo a te, ma le mie parole non passano per questo vetro”. La spada non poteva sentirlo. Si trovava rinchiusa in un’ermetica lastra di vetro, come una mummia millenaria nel suo sarcofago. Era meravigliosa sotto il fascio di luce. L’arma che un tempo aveva visto migliaia di soli e di lune, che era stata battuta dal vento e dalla pioggia di innumerevoli battaglie, bagnata di sangue e conficcata nelle carni dei nemici, ora stava confinata nella sua bara di vetro, come se stesse espiando i suoi peccati. “Via da lì, che sporchi il vetro!” lo sgridò la donna delle pulizie. “Quante volte te lo devo dire? È sempre la stessa storia con te”. Il bambino fece un passo indietro. Girò lo sguardo su un giornale aperto a mezz’aria, dietro al quale stava l’uomo che lo accompagnava tutte le settimane a far visita al suo yàtaghan. Il giornale si abbassò, e comparve la faccia rugosa dell’uomo. Un paio di occhi vigili, come quelli di un’aquila, misero a fuoco la sala. La donna lo riconobbe. E chi non conosceva il vecchio Jace in città? Era l’eterno custode dell’orfanotrofio, saggio come uno sciamano, astuto come un vecchio lupo. L’uomo parlò. La sua voce era composta e tagliente, come la sua mente. “Lascialo fare quel bambino. Lui si addormenta con quella spada e si sveglia con quella spada. Non ha niente al mondo, soltanto i suoi sogni. Lascialo che sazi la vista e si riempia l’anima, perché ne ha bisogno”. Così disse Jace e tacque. La sua saggezza, che lasciava a bocca aperta il più sapiente dei sapienti, fece ammutolire la donna, che si allontanò in silenzio.
L’opinione
Una penna albanese molto occidentale: sembra una sorta di cliché, privo di alcuna originalità, ma è una frase che rispecchia egregiamente quanto si legge in questo Lo yàtaghan di Anthony J. Latiffi. Si chiama Mark Barleti il protagonista, assetato di vendetta, di un desiderio di punizione umanamente comprensibile. La narrazione di Latiffi spazza via ogni apertura ai falsi buonismi, perché quando ti ammazzano un figlio e la moglie, non esiste più alcuna necessità, se non quella di avere giustizia. Uno sterminio degli affetti e dell’anima avvenuto nel 1999, durante l’attentato alla metropolitana di Mosca; una tragedia per mano assassina, un dolore per il quale l’autore non vede soluzione nei tribunali, ma nel riflesso dello yàtaghan, la nota sciabola ricurva, usata anche dall’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota. Un personaggio poliedrico, Barleti, che si muove adeguatamente in un racconto ben strutturato, incastonato in uno stile amabile e sinuoso. Latiffi propone una storia di vendetta e di giustizia, attraverso le vicende di un uomo mosso dalla sofferenza e dai valori in cui crede. Lo scrittore, però, riesce a creare un equilibrio che rasenta la perfezione, tra il ritmo incalzante della narrazione e le tematiche trattate. La strategia operativa porta l’ispettore negli ambienti malfamati della mafia russa e del terrorismo islamico, fino a far conoscere la New York lacerata dagli attentati dell’11 settembre. Il lettore si ritrova catapultato in ambientazioni che portano alla luce concetti che vanno ben oltre il racconto: l’olezzo della paura si fa tangibile, quello del sospetto reale e poi come non sentirsi riportati indietro nel tempo, sino ad arrivare alle Torri Gemelle? Leggere questo libro non significa solo entrare in una storia avvincente e coinvolgente, ma introdursi in quei spazi angusti e temibili, di cui spesso sentiamo parlare, e guardare a una città straziata dalla crudeltà. I dialoghi ben strutturati, una storia di spessore e la suspense che corre ad alta velocità, fanno di questo libro uno scritto differente, quasi a immagine speculare dello yàtaghan.
Definizione di yàtaghan secondo Wikipedia: Ha la lama ricurva affilata solo sul lato concavo, con punta comunque robusta, probabilmente utilizzata per delle stoccate.
La storia, nel suo svolgimento, sembra ricalcare proprio la forma della sciabola. Le vicende corrono come se fossero su una corda tagliente, pronta o a squarciarle qualora mollassero quel filo indelebile e adrenalinico, che le porta verso il vortice corpulento degli eventi. La penna di Latiffi ha creato un thriller spogliato dai luoghi comuni tipici del genere, conferendogli l’originalità della scrittura che, sempre, ritrovo sempre nella più valida produzione albanese.
