Grigor Banushi è nato a Tirana nel 1948, dove si è laureato in Lingua e Letteratura presso la Facoltà di Storia e Filologia dell’Università di Tirana. Giornalista di Radio Tirana fino al 2013, ha svolto la professione di insegnante nel distretto di Puka.
Banushi è uno scrittore prolifico in Albania, che a breve potremo leggere anche in italiano, grazie alla traduzione del suo libro Simfonia e pambaruar (Sinfonia incompiuta), la cui pubblicazione sarà curata dalla casa editrice Besa Muci.
Ho incontrato l’autore in occasione della Fiera del libro di Tirana e abbiamo chiacchierato sulla sua produzione libraria.
Grigor, parliamo del suoi libri?
Ho scritto il mio primo libro, Vdkeja e Narcisit (La morte di Narcisio) nel 1990, quando i movimenti democratici albanesi erano agli albori, ma ha visto la luce solo nel 1997 a causa di tutte le dinamiche instauratesi in Albania in quel periodo. Farlo uscire prima è stato impossibile.
Non ha pubblicato nulla durante la dittatura?
Poca roba perché avevo un gran timore della censura applicata dal regime e delle sue conseguenze; tutto quello che avrei scritto sarebbe stato censurato.
Di cosa tratta il libro Vdkeja e Narcisit?
La storia si snoda intorno alla guerra di classe, che non va intesa come potrebbe essere percepita in Italia, bensì è in riferimento alla strategia adottata dal regime contro chi aveva idee differenti. La politica di annientamento dell’altro era frequentemente usata dal sistema dittatoriale.
Il protagonista è un pittore, restauratore di statue sacre, che a causa della decisione presa dal dittatore nel 1967, che vedeva l’abolizione delle religioni in Albania, dichiarate fuori legge, rimane senza lavoro e come lui tanti altri.
La dittatura riesce a internarlo, a causa dei suoi legami con i luoghi di culto dovuti alla sua professione. La storia è frutto della fantasia, è un romanzo di pura fiction, che vuole parlare della dura sorte toccata a molti intellettuali dell’epoca, incarcerati e nelle situazioni più tragiche, giustiziati.
Fytyra e djallit (Il volto del diavolo) è il suo secondo romanzo.
Esatto, anch’esso scritto in un determinato periodo e pubblicato diversi anni più tardi; ho terminato la stesura del libro nel 1997 ed è stato dato alle stampe nel 2009. La tematica è la stessa del primo: la lotta di classe.
La storia si svolge nel Nord dell’Albania, dove ho vissuto per circa sei anni e racconta di un giudice che, in base alle leggi vigenti in quel periodo, condanna il parente di un funzionario politico della zona. La narrazione si impernia sulla vendetta del funzionario nei confronti del giudice: l’uomo, offeso per la condanna inflitta al suo familiare, riesce a imbastire un’accusa nei confronti del magistrato, tanto da farlo incarcerare e condannare dal regime dittatoriale.
Nel romanzo si fa un netto riferimento a funzionari, ex personaggi politici del regime, che per motivi diversi furono imprigionati e abbandonati dalle rispettive famiglie, costrette a farlo per ottenere in cambio la propria salvezza.
Una delle sue opere è ispirata a una storia vera, giusto?
Esatto, è il mio terzo libro che si intitola Mëria e zanave (L’ira delle fate), in cui una storia realmente accaduta si intreccia alla finzione.
Nel 2001 sono scomparsi tre turisti provenienti dalla Repubblica Ceca: un caso intricato, sul quale si è indagato approfonditamente senza alcun esito. Così, l’accusa è ricaduta su tutti gli abitanti della zona. Ho voluto riprendere questa storia, per tentare di discolpare i cittadini ingiustamente accusati, collegandola, in qualche modo, a una vecchia leggenda albanese.
Non l’ho ripresa pari pari, naturalmente. Intanto, ho modificato la provenienza dei turisti, non più Cechi, ma un tedesco, un polacco e un ungherese. L’investigatore, a capo delle indagini, è un appassionato di letteratura e incappando in questa leggenda, inizia a fantasticare, decidendo di utilizzarla con lo scopo di risolvere il caso.
Protagoniste del racconto sono tre fate: quella della montagna, quella dell’acqua e l’ultima della foresta. Si dice che la fata della montagna riduca l’uomo in sasso, quella dell’acqua lo risucchi e la fata della foresta lo trasformi in legno.
Il libro prende il titolo dalla forte gelosia che subentra tra le fate, che crea scompiglio e ira, tanto che l’ispettore si rende conto che non è il modo migliore per tentare di risolvere il caso. Consegna il fascicolo e si dimette.
Quale di questi libri sarà tradotto in italiano?
Non ne abbiamo ancora parlato. Si intitola Simfonia e pambaruar (Sinfonia incompiuta) e ha come protagonista un giovane compositore albanese, che considera una disgrazia essere nato da una madre italiana. Il musicista ha regolarmente frequentato la Scuola di musica, ha composto a suo avviso una bellissima sinfonia, ma non viene guardato di buon occhio dal regime e per questo incolpa le sue radici italiane.
Decide così di scappare dall’Albania e di rifugiarsi in Francia: nel frattempo rimane vedovo e si innamora di un soprano. In terra francese decide di ricominciare a vivere e di tentare la composizione di una sinfonia, non considerando l’occhio lungo della Sigurimi, la polizia segreta del regime.
Un giorno, si ritrova a guardare una sorta di documentario che mostra il dittatore mentre suona il piano. Questa visione irrita fortemente il compositore, perché è consapevole che Hoxha non sa suonare il pianoforte e che al suo posto c’è un vero pianista che gli assomiglia moltissimo. La sua deduzione gli costerà molto cara.
I suoi libri hanno un filo conduttore?
Certo, è la musica l’elemento che congiunge tutte le storie che scrivo. L’ultimo mio lavoro è la trilogia composta da tre romanzi: Aromat e vjeshtës, Vals në shkretëtirë e Zërat e natës, pubblicati dalla casa editrice Dituria.