Liljana Qafa è nata in Albania, a Tirana. Dopo una prima laurea, conseguita presso l’Università Aleksandër Xhuvani in Lingua e Letteratura Albanese, ha proseguito la sua formazione in Italia, in ambito pedagogico. All’Università degli Studi del Salento si è laureata presso il Corso di Laurea in Esperti della Formazione, specializzandosi poi in Scienze Pedagogiche.
Per un decennio ha lavorato in Albania, in campo editoriale, acquisendo una grande conoscenza del panorama culturale e letterario albanese, specie contemporaneo. La sua variegata formazione e la sua esperienza professionale, nonché le competenze maturate nell’ambito delle metodologie didattiche, le hanno consentito di mettere in atto percorsi di insegnamento e apprendimento della lingua e della cultura albanese nei contesti universitari italiani.
Grazie a una permanenza in Italia di oltre vent’anni, compone, con profonda naturalezza ed efficacia, sia in italiano che nella lingua madre. Liljana Qafa ha, inoltre, operato costantemente come mediatrice e ponte di scambi tra le sponde dell’Adriatico, agevolando la reciproca esplorazione delle due civiltà letterarie e culturali.
È autrice di numerosi saggi, scritti e poesie, è socia dell’Associazione dei Formatori Salentini “Ampiamente”, è iscritta all’Albo dei Consulenti Tecnici d’Ufficio, è membro del Comitato Scientifico della Fondazione Terra d’Otranto, nonché collaboratrice e componente della redazione della rivista “Amaltea. Trimestrale di cultura”. Per quest’ultima, cura la rubrica Dintorni, interamente dedicata alla promozione dei migliori artisti e scrittori albanesi contemporanei, le cui opere, inedite in Italia, vengono da lei selezionate, tradotte e proposte al pubblico, in collaborazione con gli stessi autori.
Nel 2023, Aletti Editore ha pubblicato la raccolta poetica La poesia veste bianco. L’interessante intervista che segue, parte dalla silloge, per affrontare tematiche di elevata sensibilità. Buona lettura.
La poesia veste bianco è il frutto di una stesura sofferta e fortemente voluta. Quanto si è fatta guidare dal dolore e quanto dalla forza della poesia e dalla magia della parola?
Questo libro nasce durante la pandemia, in un periodo sofferto per tutta l’umanità. Era inevitabile che la sofferenza in generale, considerando il modo in cui si conduceva la vita, il cui ricordo è ancora fresco nelle nostre menti, influisse anche sul mio stato d’animo.
Di natura sono ottimista e ho scritto diverse poesie in quel periodo che, nonostante tutto, trasmettevano un po’ di speranza. Mi facevano sentire bene i feedback entusiasti dei miei amici sui social, i loro apprezzamenti rivolti al lato ottimistico dei versi: era come far entrare un po’ d’aria da una fessura della finestra. In fondo, penso che la scrittura, di qualsiasi genere letterario, debba essere un dono alla comunità.
In ogni caso, credo che in una dimensione che sia di dolore o di gioia, la magia stia nello stato d’animo del poeta, l’artefice delle parole. Prendo in prestito un pensiero di Ungaretti, (peraltro il mio poeta preferito), che riguarda proprio la parola.
La parola deve nascere nella tensione espressiva che la colmi della pienezza del suo significato.
Non sono una poeta dai canoni classici, con una determinata metrica, una sintassi rigida che segue necessariamente la ripartizione dei versi in strofe. Il lessico è semplice, ma la semplicità non significa che debba condurre a una decifrazione facile del pensiero profondo del poeta. La poesia, anche quando sembra avere una struttura sobria, nasconde sempre qualche segreto. Per cui, una volta scritta, la sua interpretazione è a discrezione dei lettori. Un po’ come accade per un quadro: non si riesce mai ad arrivare a ciò che il pittore ha pensato quando lo ha dipinto.
Le sue poesie riflettono lacrime di puro dolore, ma sono anche un inno all’amore, tanto da sembrare un invito a illuminarsi d’immenso attraverso la sofferenza. Pensa che le due emozioni (amore e dolore) siano strettamente connesse?
Assolutamente si! C’è un forte intreccio tra entrambi, tra amore e dolore. È proprio così, come ha perfettamente percepito lei; le mie poesie sono un inno all’amore; esso è il fil rouge che conduce tutte la silloge. Anche attraverso le lacrime e la sofferenza, l’amore inevitabilmente diventa un canto poetico.
Da tutta la silloge emerge il legame profondo con la sua mamma. Le va di parlarne? O di esprimere quello che più sente?
La devo ringraziare per questa domanda così diretta. Parlerei di mia mamma senza sosta e non basterebbe un libro intero, ma so che in un’intervista dovrò limitarmi. Dal giorno in cui lei è venuta a mancare, io sono diventata molto silenziosa, nutro il mio dolore col silenzio, mi chiudo e la scrittura è il mio unico sollievo. È come se il dispiacere mi tenesse stretta a lei.
Normalmente evito la parola “morte”, anche quando scrivo. Sarà che nella letteratura albanese è molto presente, sarà che io non riesco a far pace con essa: è difficile da spiegare. Ho perso mio padre nel 1986 e tuttora non ho fatto pace con la sua scomparsa, ma l’ho accettata. Lui, sfortunatamente, è stato ucciso da una malattia grave: aveva il cancro ai polmoni. Dopo la sua prematura dipartita, in giovane età, la mamma è diventata l’unico punto di riferimento in tutti i sensi.
Ho sempre vissuto con lei fino a settembre 1995, l’anno in cui ho deciso di lasciare la mia Patria per stabilirmi definitivamente in Italia, per l’esattezza nella città barocca di Lecce. In poco meno di due anni sono riuscita a portarla in Italia: era il 1997. Da allora non ci siamo più separate fino ad agosto 2021, periodo in cui lei ha deciso di ritornare a casa sua, a Tirana. Per me, il suo rientro nel Paese natio è stato molto sofferto. La sua decisione era dovuta al peggioramento del suo stato di salute dopo la vaccinazione. Un lungo calvario di dolore, con miglioramenti e peggioramenti, durato circa un anno e mezzo, fino al giorno in cui si è spenta. Era la mattina del 6 marzo, ore 10.30. Ovviamente, tutta quella situazione ha cambiato anche il percorso del mio libro.
Lei lo ha letto e nella sua recensione cita una delle mie prime poesie, quella intitolata Mamma. Quei versi costituiscono un viaggio della memoria; quando ero piccola, la mamma stava bene e ricordo che, quando gliel’ho letta, (voleva sempre leggere le mie poesie), si è messa a ridere, perché risvegliava in lei lo stesso mio ricordo di come si prendeva cura dei suoi figli. Forse quella poesia è tra le poche spensierate di quel periodo, nel senso che volevo rievocare qualcosa di bello, a dimostrazione del suo amore e del cammino che ho intrapreso nella mia vita, grazie ai suoi preziosi insegnamenti.
“Mi hai bagnato la testa
come se fosse un fiore assetato,
mi hai pettinato i capelli
come se fossero un prato,
me li hai legati
come se fossero spighe di grano,
dopo mi hai fatto vedere il sole
e le tue mani morbide
mi hanno accarezzato il volto
facendomi vedere la strada attraverso il tuo verde sguardo”.
In seguito alla sua partenza per Tirana, sono stata un’anima travagliata, divisa tra Lecce e l’Albania, per stare il più vicino possibile a mia madre. Ella era il mio raggio di sole in tutti i sensi. La sento tuttora come tale, ma mi manca terribilmente. Penso che una madre sia una grande figura per chiunque e quando viene a mancare, ti senti completamente persa, come se fossi affogata in mare, senza alcuna guida, anche nelle cose più piccole. A volte, mentre faccio qualcosa, mi chiedo: “Come mi diceva la mamma?”. Ecco, così è quando perdi la bussola della tua vita.
Ci parla dell’amore, in tutte le sue forme, che si ritrova nella raccolta?
L’amore dovrebbe essere l’orientamento dell’uomo in ogni senso. Uso il condizionale poiché, purtroppo, oggi anche questa emozione è mutata, direi in peggio. Quando parlo d’amore non mi riferisco solo e strettamente al rapporto tra un uomo e una donna, ma all’amore in generale e in tutte le sue sfumature, verso l’uomo, la natura, la famiglia, verso tutto ciò che è inevitabilmente connesso a un sentimento di rispetto reciproco. Viviamo in una realtà in cui, per l’umanità d’oggi, quel che più conta è il denaro, il guadagno, il consumismo, la superficialità. Gli affetti si sono spostati su un altro piano.
Si percepisce un senso di incontentabilità dell’uomo, che per me è dato dalla sensazione di paura che nasce di fronte alla bellezza offerta dalla vita. Potrei parlare, per esempio, dei rapporti tra vicini di casa, oppure tra colleghi di lavoro e fare riferimento a tante altre interazioni, che fanno parte della quotidianità, in cui, senza un vero motivo, sempre di più si creano delle situazioni poco piacevoli; in questo modo, si fa solo un torto alla propria vita. Parlando in generale, si può affermare che esista un egoismo sfrenato nell’uomo, un’insensibilità notevole. Non si va oltre la propria porta di casa, anche di fronte ai dolori altrui.
Ho l’impressione che si stia perdendo la cosa più bella del mondo: l’umanità. Ricordo, che quando ero piccola, i vicini di casa erano parte della famiglia e nel bene o nel male, erano loro i primi a trovarsi per qualsiasi cosa.
Questo si può dire anche dei colleghi di lavoro. Quando ho perso mio padre, lavoravo per la casa editrice “Naim Frashëri” a Tirana; i miei colleghi sono stati il mio sostegno più forte, ed è difficile dimenticare quell’affetto sincero e sentito. È stato così anche per i momenti gioiosi, come quando nacque il mio primo nipote. Quell’affetto e quella sensibilità, oggi, sono diventati quasi un sogno.
A volte, in estate, mi tuffo nei paesini del Salento. Mi sembra che qualcosa sia rimasto di quel passato, soprattutto negli anziani, che non hanno dimenticato le buone maniere. Li vedo sulla porta di casa, oppure nell’unico bar della piazza del paese, che si salutano con affetto e anche senza conoscersi, hanno voglia di scambiare due parole, rendendosi disponibili per qualsiasi cosa, senza mai perdere il sorriso. Mi fanno davvero molta tenerezza. Son queste cose che porto con me e tengo strette strette, rare ricchezze della vita odierna.
Come e quando nasce il suo percorso di poetessa?
Posso definirmi “poetessa giovane” nella creatività. Non so spiegare come è nata in me la poesia, forse è sempre stata dentro di me e probabilmente me ne sono accorta solo a un certo punto. In precedenza, ho scritto brevi racconti, articoli, ho fatto diverse interviste, mi sono occupata di traduzione dalla lingua albanese in italiano, ma non avevo mai scritto poesie. Ho iniziato solo qualche mese prima della pandemia. Un’amica giornalista, che ha letto alcuni dei miei primi componimenti, oltre a qualche articolo e racconto, un giorno, entusiasta, mi ha detto: “Lo sai che tu hai il dono della scrittura? Non lo trascurare!”.
Durante la pandemia, scrivere poesie, per me, era diventata una cosa naturale; era come sfornare il pane di continuo. Ma se non fosse stato per Aletti Editore, che ha voluto fortemente lanciarmi e che ringrazio per questo, sinceramente non avrei fatto nulla per pubblicarle. Avrei continuato a scrivere, come faccio normalmente, senza l’ambizione di pubblicare un libro tutto mio.
Quest’avventura ha avuto inizio con la partecipazione a un concorso di poesia, organizzato da Aletti. Ho partecipato con una poesia intitolata Vento del mare e nel marzo 2021, la stessa venne pubblicata nell’antologia La panchina dei versi. Questa fu la prima edizione della collana Orizzonti.
Dopo, l’editore mi ha selezionato per inserirmi nell’Enciclopedia dei poeti italiani contemporanei, che è stata pubblicata nell’agosto 2021. Non nascondo l’emozione che ho vissuto quando ho ricevuto quella comunicazione. Ricordo di aver fatto un pensiero tra me e me, che poi ho trascritto in un post sui social:
La cultura unisce, l’uomo divide.
Per me era davvero una grande gioia essere stata selezionata e inserita in un tale contesto, considerando che, nonostante io abbia da anni la cittadinanza italiana, non lo sono di origini.
La mia piccola raccolta di versi intitolata Chiamami poesia è stata inserita in Shamal 2021, un’antologia comprendente le pubblicazioni di sei autori. Inoltre, molte altre mie liriche sono presenti in diverse raccolte di Aletti Editore. A tutto questo si aggiunge un altro progetto con il grande Maestro Quasimodo, poeta, regista, attore, nonché figlio del Premio Nobel Salvatore Quasimodo, il quale legge sette delle mie poesie, tra le altre, anche quella dedicata a mia madre Quanto sei bella mamma!
È stato un gran onore, per me, essere letta dal Maestro. Spesso vedo il video della poesia dedicata a mia madre, ma ogni volta mi emoziono come se fosse la prima volta. Esprimendomi nella mia lingua, chiamavo la mamma ‘mam’ e ho lasciato questa parola anche nel testo in italiano, consapevole che non fosse corretta, ma mi creda, il modo con cui il Maestro la pronuncia, mi fa venire brividi, me la fa arrivare dritta al cuore; sembra sia io a chiamare la mamma. È una sensazione bellissima.
Nel frattempo l’editore mi ha invitato diverse volte a pubblicare un libro. Per carattere sono molto ponderata nel prendere le decisioni. Così, dopo un bel po’, è arrivato il volume La poesia veste bianco, che ha visto la luce nel giugno 2023, con la prefazione del Maestro Alessandro Quasimodo.
Cosa c’è al centro del mondo per lei, poetessa?
Sono cresciuta in una famiglia semplice, con due genitori molto devoti ai figli, con l’amore, che è stato il loro motore di vita, nonostante i grandi sacrifici fatti da entrambi. I miei genitori erano tutti e due orfani, cresciuti sotto la protezione dei parenti vicini e per questo, forse, siamo stati ancora più uniti.
Ambedue hanno riversato sui figli l’amore ricevuto dagli altri e quello nato da quanto è mancato nella loro vita di bambini, fino a quando sono diventati maggiorenni. Sono stata circondata da grande affetto; a quei tempi ci mancavano delle cose, ma mai il bene e la premura dei miei genitori, compreso il grande impegno nel crescere dei figli sani, rispettosi e ben educati e di trasmettere loro i veri valori e i principi della vita. Sono fiera di mio padre e di mia madre e della scelta di aver investito l’intera esistenza sulla famiglia.
La mamma ha sofferto molto quando, dopo la caduta della dittatura, ci siamo sparsi come uccelli fuori dalla nostra terra. Ci voleva tutti là, a Tirana. Papà se n’è andato prima della disfatta del comunismo e non è riuscito a vivere gli stessi pensieri della mamma. Sono molto legata al mio passato. Quanta nostalgia…Rimango sempre del parere che dove c’è l’amore e il buon senso per la vita, c’è tutto il mondo intorno a te.
Ecco cosa c’è al centro del mondo per me: semplicemente l’amore. Saper donare anche un sentito e sincero sorriso a chi magari, per un motivo o per un altro, l’ha perso, è un gran segno d’amore.