Il soldato albanese di F.P. Santori, è un romanzo scritto come parafrasi di una ballata che fa parte della letteratura orale arbëreshe tramandassi per secoli nelle recitazioni al focolare, nei canti degli aedi nelle fiere o nelle Valia che rallegravano le ricorrenze nelle festività religiose o nelle cerimonie familiari, come battesimi e matrimoni.
In queste composizioni scritte in versi e adornate con il canto corale erano ricordati gli avvenimenti più rimarchevoli della cronaca locale o rievocano le lunghe lotte contro gli invasori turchi e le vicissitudini dell’esodo cui erano stati costretti dopo l’occupazione ottomana dei propri territori.
È lo stesso autore a dichiarare esplicitamente il suo intento nel ricostruire gli eventi che formano l’oggetto della ballata ricostruendo l’episodio ivi ricordato. lo spazio geografico–temporale è sospeso tra la terra ospitante e una dimensione onirica di un mondo lontano ancora presente nella memoria collettiva dopo i circa tre secoli passati da quel tragico momento.
Scrive lo stesso Santori alla fine del romanzo: «Io qui la registro per comodo maggiore dei curiosi, e per maggiore chiarezza degli antecedenti, e per uso di qualche antiquario, e per utilità soprattutto degli albanesi.
Eccola dunque scritta in linguaggio indigeno, e tale quale essa và per le bocche di tutti i popoli albanesi; non che tradotta di parola, a parola; senza neppur curare qualche sgrammaticatura, per conservare la fedeltà della traduzione».