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Live, il giorno di mia madre

Mimoza Hysa Mimoza Hysa
27 Gennaio 2023
Mimoza Hysa

Mimoza Hysa

Il mio più grande cruccio di quella mattina era quello che proprio mia madre mi aveva tradito. Chi se lo aspetta il tradimento della propria madre? Non doveva fare quella idiozia quella mattina. Era fuori luogo. E pensare che spesso mi aveva aiutato e salvato nei momenti difficili. Ma eccola qui, oggi aveva perso tutti i punti. Come se non li avesse mai guadagnati.

Oggi il cellulare squillava in continuazione, dovevo correre trattenendo il fiato e contemporaneamente fingere di essere serena e riposata. Dunque, una contraddizione per la quale serviva un supporto. Una sottile mediazione che andava costruita. Il mio supporto era lei. Colei che, quando a me stava crollando il mondo addosso, aveva trovato il giorno per MORIRE!

L’ho trovata in cucina, adagiata sulla poltrona, con gli occhi chiusi. Sembrava che dormisse. L’ho strattonata perché non mi aveva stirato l’abito per l’edizione mattutina. Lei non si riprendeva. L’ho strattonata di nuovo con più forza e impazienza. Ma lei aveva scelto, ahimè, di morire! Con nessun preavviso! Aveva scelto di lasciarmi nei pasticci. Non avevo nemmeno il tempo di pensare a lungo.

Quel giorno arrivava il presidente di un paese grande, in uno studio come il nostro, dove al massimo era entrata gente come il proprietario panciuto e politici vicini di casa, compagni dalle scuole elementari e analisti. Le notizie, che avrei dato, avrebbero sconfinato il quartiere, la città, il paese…si sarebbero sparse nell’aria per poi raggiungere un cerchio più ampio e io sarei stata considerata Realizzata!

Così, ho fatto in fretta l’unica cosa che potevo fare in quel momento, prima che si svegliassero i figli, prima delle urla, prima che l’avvilimento salisse le scale, prima delle telefonate impazzite, prima che la notizia si diffondesse, come quelle che io stessa stavo per trasmettere. E se la notizia si diffonde, non c’è più ritorno. È un ciclone che ti travolge. E io quel giorno l’avevo atteso da molto! L’ho avvolta velocemente in una coperta. Non l’aveva usata la notte.

Aveva atteso l’alba lì. Non aveva dormito proprio. Ma io dovevo fermare il pensiero e il ragionamento per qualcosa che non trovava il suo tempo adesso: dovevo spazzare via quel vortice melanconico che ti porta guai. In fondo, moriremo tutti un giorno. Da sempre avevo saputo scegliere quello che serviva e il momento adatto. Avevo saputo cogliere l’occasione. Ciò era considerato l’intelligenza del tempo. E io ero una donna moderna. L’occasione va presa per i capelli in questo mondo che ruota su se stesso vertiginosamente. Per questo non potevo perderla. L’ho avvolta tutta, colei che in quel momento mi disturbava, che all’improvviso si era trasformata in un ostacolo e ho aperto il divano lì vicino. Non dovevo fare rumore, non dovevo far uscire la notizia più lontano di un metro di pavimento e delle quattro mura della stanza e l’ho messa a dormire nel cassetto inferiore dove tenevo le trapunte.

Lì sarebbe stata comoda e al caldo e mi avrebbe aspettata. Lo aveva fatto per una vita intera, perché non avrebbe dovuto farlo anche oggi che era più che indispensabile? Dopo essermi liberata dell’ostacolo, mi precipitai verso il ferro da stiro, quando in cucina spuntò la figlia piccola. E la nonna dov’è? È andata a incontrare il destino. Come il destino? Non è tempo di domande, le ho detto.

Glielo dicevo ogni mattina prima di imbacuccarla, di riempirle la bocca di cibo, di farla pisciare, di lavarla, di appenderle lo zaino sulla schiena e quando sentivo il clacson dello scuolabus, di spingerla per le scale, ah, di darle anche il bacio: buon ritorno, buona giornata, in bocca al lupo e cose di questo genere…a memoria, nella mia vita a memoria, fino a quando avrei tolto anche quel disagio e di occuparmene velocemente con la scelta dell’abito per uscire. Di gettare tutte le possibilità dentro la macchina e di portarmi anche la testa con me, insieme al pettine, suonando il clacson con tutte le forze e finalmente, di schiantarmi sulla porta della sede televisiva.

Lì si trovavano persone che avrebbero preso la mia testa e l’avrebbero resa degna di luci, avrebbero assestato il mio corpo con la selezione dell’ordine, l’avrebbero bombardato con parole che filavano, che avrei dovuto pronunciare in una catena logica inarrestabile, e alla fine la mia macchina si sarebbe messa a funzionare, come doveva, dove doveva, e, perbacco, nessuna pecca sarebbe rimasta scoperta, in nessuna falla si poteva intrufolare l’anima umana.

E oggi è un giorno di primo piano, dove la perfezione tuonerà dallo schermo, farà incollare gli occhi dei vagabondi, dei dormiglioni, degli impreparati, dei curiosi, degli ignoranti e degli esperti oltre il limite richiesto, perché è importante il limite, non devi essere né inferiore e né superiore…non si deve lasciare aperta nessuna falla dove si può aggrappare il lurido tonfo della critica, soprattutto oggi, quando porgo la mano prima al ministro della difesa, e non posso stringerla a lungo, perché ci sono altri più importanti di lui che vengono nel mio studio dalla cima del mondo, con luminosità estera, gente estera, mondo estero, che scavano politica dentro la mia mente e il mio corpo, interni.

Non mi è rimasto neanche un briciolo di forza per riuscire a sentire al di fuori di questo evento e del mio giorno fino alle ultime notizie, fino a quando si chiuderanno tutti gli occhi curiosi e il mio occhio un po’ rugoso ai lati, stanco di osservare lo getteranno nella macchina aziendale, mi appoggeranno la testa sul sedile posteriore per poter sonnecchiare e per non avere tempo di pensare al riposo, perché sarà il riposo a pensare a me. Così tutto a casa è stato fatto grazie al denaro. Mia figlia ha scritto, ha studiato, ha cantato, ha pianto sotto i miei ordini dal cellulare e ora le sto facendo l’ultimo servizio che mi tocca, avvolgerla nella trapunta e schiantarmi di fronte a lei russando, perché ce l’ho fatta.

Nella tarda cena degli uomini di stato, di sfuggita ci sarà posto anche per la mia faccia nella memoria e negli occhi di tutti. Ci saranno rimasti angoli delle mie labbra nel fiume delle notizie. Il riposo come la fatica sono indispensabili per potere appianare le rughettine incoscienti attorno agli occhi e il ripiegamento della bocca. E quando nel buio furtivo della notte la mente si precipita a tornare indietro e a occuparsi di LEI, persona o memoria, è già domani…ma che si svuota della notizia già durante la notte…con schiamazzi e chiamate al telefono tanto che si sono ribaltati tutti, anche quelli del piano di sopra, anche quelli del piano di sotto, anche la montagna affianco e quella di fronte e dai miei occhi gorgheggia tutto ciò che accadde, con lo stesso ritmo del ciclone.

Io canalizzo l’accaduto e lo metto in ordine: all’inizio la notizia della politica, interna ed estera, segue la cultura e per concludere lo sport. Io assetto l’ammasso aggrovigliato che prende a sassi la mia mente. E in questo ordine non c’entra la vicenda personale con mia madre. Per questo rifiuto categoricamente di pensare a lei, decido con risolutezza che lei deve attendere, perché è la persona a me più vicina e si può sacrificare anche dopo la morte, mi può capire, perché, in fondo, nessuno ha il diritto di interrompere il mio allineamento, questo diritto lo posso esercitare soltanto io.

Io deciderò il tempo della sua morte e il giorno del suo funerale. Quando mia madre diventerà per me notizia. Ma quel giorno non ci sono a casa nemmeno io. Essa è invasa da poliziotti, vigili del fuoco e medici. A me questa volta tocca di dare la notizia più strana e straordinaria, quella che a volte viene trasmessa prima della politica, prima della marcia dei ministri alle cerimonie e delle riunioni parlamentari per le leggi.

Così come l’ho già pensato, mia madre è diventata notizia, ora sì che può morire e io trasmetterò apertamente, con quattrocento possibilità il modo come qualcuno è morto, con quel tale nome, in un giorno che solo il medico legale potrà sapere e scoprire, come marcì da qualche parte all’interno di un divano, con lo stupore di tutto il mondo scaraventato e come lo ha scoperto il traditore Gim, il bulldog ficcanaso del vicino, che non conosceva il tempo della notizia ed entrò furtivamente nella mia casa.

Tuttavia, questa volta altri, più importanti e più esperti di me si occuperanno di lei, la madre, che voleva scavalcare tutti e decidere da sola, all’improvviso e di punto in bianco, in un giorno decisivo per me, così fuori luogo lei, di MORIRE. Ora sì, ora è il suo turno e io posso occuparmi di lei.

Il racconto, tradotto da Griselda Doka, è stato originariamente pubblicato sulla rivista Fare voci di Gorizia di Giovanni Fierro.

Argomenti: Griselda DokaMimoza Hysa
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