Sono piccole storie di uomini e donne, quelle che compongono questo Bevete cacao Van Houten! di Ornela Vorpsi, contenenti l’immensità dell’esperienza umana in tutte le sue forme; racconti sospesi tra le due sponde rocciose dello stesso mare, su cui i sogni e le illusioni sembrano destinati a infrangersi.
La fotografia del racconto
Sono stati definiti ritratti, quelli dei personaggi che animano la raccolta di racconti firmati dalla Vorpsi e data alle stampe nel 2010; fin dall’immagine di copertina, l’autrice sembra volerci invitare a scorrere tra le dita alcune istantanee, degli attimi straordinari di vite apparentemente ordinarie, delle immersioni tra i pensieri di un’umanità a tratti tragica, altre volte comica, descritta con la minuzia e la delicatezza che caratterizzano tutte le sue opere.
Lo sguardo è spesso quello di una narratrice appena affacciata sull’adolescenza, una giovane che si muove tra le strade della sua città, cogliendo storie che sembrano compiere il loro corso e giungere a conclusione nella frazione di un secondo, nel tempo necessario, affinché il dito della giovane donna in copertina prema sul pulsante della sua macchina fotografica e l’otturatore si chiuda, congelando per sempre quell’attimo nel quale si sviluppano intere esistenze.
Ogni fotografia contiene sia l’immortalità di un momento che viene fermato e consegnato alla storia, che la morte; come scrive Susan Sontag nel suo saggio Sulla fotografia, ogni fotografia è un memento mori e tra le pagine di questo libro, la morte è compagna costante: quella che non vuole venire a prendere la bisnonna della narratrice e che invece si porta via un giovane il giorno prima della sue nozze, quella violenta che colpisce il pittore Petraq, il quale dipinge solo in bianco e nero e a cui i ragazzi del quartiere lanciano le pietre.
Nei racconti ambientati in Italia, esiste anche un requiem per la fine della vita come la si conosce: il costo esorbitante di una borsa di firma o di una scatola di tè, o il colore chiassoso di un paio di scarpe gialle, sono codici e simboli che la protagonista non sa decifrare.
In molte delle storie ambientate fuori dall’Albania emerge, infatti, una tendenza a valutare, a tradurre in una lingua conosciuta, immagini e codici che sono estranei, stranieri. Perché c’è una grande differenza tra l’altrove sognato, immaginato su misura tra le strade dei quartieri di Tirana, e la realtà di luoghi profondamente diversi da quello di origine, luoghi che inghiottono chi osa credere che le meraviglie lontane stiano ad aspettare loro.
È ciò che accade a Gazi nel racconto Piccola vita d’uomo, quando viene inghiottito dal mare tra il suo paese, troppo arido per lui, e l’altrove dove sarebbe fiorito come si deve.
I racconti dei sogni infranti
Ognuna delle istantanee che compongono il libro, i quattordici racconti che offrono un’immagine e poi ne squarciano il velo per narrarci cosa c’è oltre, sono preziosi sogni infranti, solitudini infrangibili, ironici quanto delicati commenti alle ossessioni, alle pulsioni e ai dolori dell’umanità. Ognuno di essi, anche quelli ambientati in Albania, si muovono sul filo della difficoltà di guardare davvero l’altro, di ascoltarlo e di capirlo: lo sguardo curioso della narratrice adolescente prova a farlo, con una lingua che è quella di chi seziona l’esperienza umana, di chi come un esploratore, cerca tra le pieghe dei pensieri, dei sentimenti, delle aspettative e delle delusioni sue e altrui.
Il confronto tra i racconti ambientati nella terra natia, l’Albania, e quelli che hanno come sfondo l’Italia, mette allo specchio due mondi e due età profondamente diversi. Lo sguardo cambia, e così anche le parole che tracciano il confine tra un mondo conosciuto, dove è possibile fantasticare su ciò che sarà e la cupezza di un futuro che è ormai presente e che non ha mantenuto le sue promesse.
Come commenta la narratrice nel primo racconto, quello che dà il titolo all’opera, il mondo procede così, a passi falsi, con la speranza che si muta in disfatta e l’amore che si fa assenza. Questa raccolta racconta anche un percorso di crescita, un cambio di sguardo sulla vita propria e su quelle degli altri, narrate in tutta la loro crudele poesia.
