Volete conoscere un paese straniero, un paese non reclamizzato dalle Agenzie di viaggio, poco frequentato dal turismo e dalla fama incerta? Passate qualche giorno nell’accettazione del Pronto soccorso chirurgico della sua capitale.
Da questo punto di osservazione estremo, posto al confine fra la vita e la morte, Arben Dedja nel suo Trattato di medicina in 19 racconti e ½ ci rende spettatori della vita offesa nell’Albania degli anni ’90 senza mai perdere un sorriso surreale.

Il lettore osserva chi arriva ma soprattutto cosa viene fatto sul lettino di una sala chirurgica scalcinata, dove i pezzi si guastano e sono rimpiazzati con utensili di fortuna, l’elettricità va e viene, i parenti dei pazienti talvolta minacciano manu armata il chirurgo e il suo staff, ma possono anche collaborare alla buona riuscita dell’operazione. Rare le escursioni al di fuori del perimetro ospedaliero e legate per lo più ai ricordi d’infanzia o a qualche cammeo di un illustre, quanto improbabile medico, come il Dottor Achille Botti che fa uscire una tenia intestinale dalla bocca del suo piccolo paziente al suono del flauto.
I malati sono feriti da oggetti contundenti o trapassati da proiettili, ma la loro storia non sfocia mai nel dramma perché procede a ritmo di giostra diventando un pezzo di quel carosello dell’assurdo in cui un regime politico, feroce quanto ottuso, ha fatto sprofondare il paese.
La visceralità d’altra parte è il trait d’union dei racconti, come recita la citazione iniziale di un apocrifo Trattato di medicina antico: “C’è un muscolo chiamato cuore da qualche parte nella periferia della pancia”. Se la pancia è centro e motore dell’umanità, la letteratura ne registra i pieni e i vuoti, i desideri e le repulse riassestando il suo piano di osservazione verso il basso.
Ed è forse per questo che la materia umana sofferente è spesso contaminata dai liquidi e dalle sostanze impuri: nella descrizione degli interventi i gas intestinali, capaci di produrre a contatto con l’elettro-bisturi prodigiose esplosioni, le feci da rimuovere, lo sperma, l’urina prevalgono sul sangue, liquido nobile e drammatico, e concorrono a disegnare una natura umana dominata da bisogni primordiali. I corpi dei singoli pazienti riproducono infatti con la loro singolare concretezza lo stato di salute di un’astrazione -il grande corpo malato dello stato- che viene messo a nudo nella sua brutale oscenità nella sala operatoria dello scrittore. Si tratta di un corpo ingordo di piaceri, vorace nella sua volontà di dominio ma anche grottescamente messo sotto scacco dalle sue stesse passioni che gli procurano con i loro eccessi sofferenze assai poco dignitose.
Bellissime poi le pagine dedicate alle Esercitazioni di anatomia per la loro capacità di creare una sorta di magia del disfacimento. In un pozzo di formalina nuotano, sotto forma di cadaveri, esistenze ignote che ogni tanto un infermiere recupera alla luce pescando con un rampino nelle profondità acquatiche della morte. Pur non risparmiando niente in quanto a materia e fisicità, le descrizioni conservano un’atmosfera onirica e lo sguardo del lettore può indugiare sulla carne dei suoi simili mantenendo intera la sua umanità.
Nel libro la resistenza all’orrore – della morte ma anche del potere che vìola i corpi e impone alle menti una museruola- viene messa in atto attraverso un costante registro ironico che sfocia spesso nel surreale. La violenza dei funzionari di partito, dei gangster a capo dei clan familiari, di un sesso sull’altro è data senza un fremito di indignazione, assunta come un dato di fatto e descritta con la stessa bonaria impassibilità con cui si descriverebbe un qualsiasi evento della vita quotidiana. Allo stesso modo sono descritte le operazioni più rischiose e sulle parti più intime del corpo umano. Ma è proprio questo scarto fra materia narrata e registro della narrazione che provoca uno stato di costante allerta nel lettore.
A fronte dei violenti si parano una serie di figure -il nonno medico, il chirurgo Fatosh, alcuni colleghi- che rappresentano in modo inedito la parte dei buoni. Non attendetevi da loro gesti di insurrezione o dichiarazioni di principio, ma una costante resilienza fatta di umorismo, di pietà per i loro simili e capacità di depistaggio dei sopraffattori.
Piccole virtù da rivalutare.