L’ho incontrata a Fano, nel contesto di Passaggi Festival 2021, dove ho avuto l’onore di presentare il suo libro. Ho conosciuto una donna straordinaria, che sa sorridere di ogni cosa, dagli occhi belli, tristi e pieni di grande vitalità. Ho dialogato con la scrittrice che sa raccontare oltre i libri, ho interagito con una donna forte e la sua forza è diventata la mia.
Corre l’anno 1946, quando in quel di Tirana nasce Vera Bekteshi. Figlia del generale Sadik, ex comandante partigiano del nord, Direttore dell’Istituto di Studi Militari durante il regime, vive un’infanzia serena all’interno del cosiddetto Bllok, (Il Blocco della Dirigenza), il quartiere della nomenklatura, dove risiedono tutti coloro che sono nelle grazie del dittatore Enver Hoxha. Vera cresce, studia e ha tutte le carte in regola per essere una promettente fisica. Il suo impegno e le sue capacità le permettono di laurearsi brillantemente, proprio quando la caduta del ministro Balluku, capo di suo padre, si ripercuote su tutta la sua famiglia. Il generale Bekteshi finisce in quella che è conosciuta come “la pulizia dei generali”, attuata dalla mente paranoica di Hoxha e accusato, quindi, di essere nemico della Patria e del popolo. In seguito all’arresto di suo padre, Vera, insieme al resto della famiglia, viene condannata al confino perpetuo, in tre villaggi più poveri e isolati d’Albania. Nonostante la giovane età, è sposata e ha un bambino; suo marito non se la sente di vivere una vita di confinamento e abbandona moglie e figlio, accettando, così, un divorzio politico.
La Sigurimi, intanto, si insinua nella sua casa, attraverso la figura di un’amica di famiglia, offrendo loro la possibilità di una vita senza onore, ma da persone libere: unica condizione, abbandonare Sadik al suo destino. La risposta dei Bekteshi giunge compatta ed è un chiaro no: tutti uniti a sostegno del generale, senza alcun compromesso. Il confino dura ben sedici anni, un periodo lunghissimo, fatto di stenti, fatica, sofferenza e fame, oltre che di angherie di ogni tipo, come il soffocante controllo attraverso i microfoni nascosti nelle case, un uso limitato dell’energia elettrica e dell’acqua e il coatto lavoro nei campi. Vera è bella, ma molto magra, perché non ha da mangiare, Vera è disperata, ma forte, sempre più forte.
Finalmente nel 1991, il “Palazzo dei sogni” (così l’autrice definisce il regime albanese, ispirandosi al titolo di un libro di Kadare), crolla e può tornare con la sua famiglia a Tirana, da persona libera. Nel 1997 le viene conferito il titolo di Dottore in Fisica (in realtà, consegue la laurea nel 1967).
Vera Bekteshi non ha voluto rinunciare alla memoria storica, a costo di recare “dispiacere” a qualcuno. Ha atteso anni, ma ha poi deciso di scrivere un libro che potesse, correttamente, contenere questo suo spaccato di vita. Un volume che può essere definito storico, ma che alla base non ha lo studio e le ricerche, bensì la memoria e i ricordi della stessa autrice. Nel 2014 la casa editrice albanese Fjala pubblica il suo Vila me dy porta, tradotto, in seguito, dall’editore Livio Muci.
La villa con due porte

Un libro che nasce con il grande desiderio di scrivere e raccontare. Il primo, perché Vera ha da sempre un legame importante con la letteratura e il secondo, perché ha sempre saputo che avrebbe messo nero su bianco la sua storia, non solo per lasciarne traccia, ma anche per onorare la sua famiglia e tutte quelle persone, che come loro, hanno subito le barbarie del regime e ne hanno sopportato le sofferenze. Ha atteso tanto tempo prima di scrivere, proprio per poter raccontare i fatti con il giusto distacco e consegnare al lettore le corrette considerazioni. È così che vede la luce La villa con due porte (Besa Muci, 2021), la prima pubblicazione italiana della Bekteshi.
Il titolo prende spunto proprio da quell’edificio a tre piani e tre appartamenti, uno per ogni benemerito, dove l’autrice ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza, sino alla condanna e oggi, quella casa, rimane per lei un carissimo ricordo. Una casa in cui Enver Hoxha, nel romanzo indicato come il Dirigente, è spesso ospite insieme a sua moglie Nexhimije. È un’amicizia particolare la loro, vissuta in maniera distaccata ed è interessante la descrizione che Vera fa di una visita, in particolare, che la famiglia riceve dal dittatore, durante la quale, la giovane ha uno scambio di opinioni non gradite allo stesso, che palesa in maniera evidente le proprie contrarietà. La ferocia vista nello sguardo di Hoxha in quell’occasione, acuisce in lei l’intrinseca consapevolezza, che alla base dell’ascesa al potere di alcuni uomini ci sia chi ha taciuto. Del resto, però, chi ha parlato contro il regime ha subito conseguenze estreme.
È una testimonianza storica questo La villa con due porte, in cui l’autrice narra apertamente del crollo della sua famiglia a immagine speculare di tante altre ai tempi del regime. Suo padre è, appunto, un generale, mentre sua madre è un’affermata giudice, con un importante ruolo nella società. Nonostante questo, la dittatura non li risparmia, infliggendo loro una condanna durissima. Le vicende umane sono le indiscusse protagoniste del romanzo e i fatti storici che fanno da sfondo, sono brillantemente descritti dalla Bekteshi, che racconta, attraverso la sua storia, del ’74 e della “purga dei generali” e di come sia tutto nato dall’ossessione di accerchiamento del dittatore.
Parla delle donne confinate, che proprio come lei sono tutte belle e da qui la sua convinzione che la Sigurimi sperasse in una “competizione” tra loro, temute, sia per la bellezza, che per le capacità. Racconta di drammaticità la Bekteshi, narra di fatti spaventosi, ma lo fa con ironia, perché il suo scopo è quello di lasciare una testimonianza, senza ferire il lettore. È grande l’emozione che traspare dalla descrizione delle figure che animano il romanzo: la presenza silente del generale Bekteshi, la prudenza eccessiva (a detta di Vera) di sua madre e lo strambo fratello Guxi e le sue meravigliose nonne. Un volume carico di memoria, alla quale Vera cerca di dare una precisione certosina. Si sforza la scrittrice, di dare vita ai ricordi senza farsi prendere da eccessi di sentimentalismi, anche se la memoria emozionale ha un ruolo decisamente rilevante.
Vila me dy porta è stato accolto molto bene in Albania, pur trattando temi che hanno infastidito più persone. Un’accoglienza data da diversi motivi, tra cui la reputazione del generale Bekteshi, che pur appartenendo alla nomenklatura, ha sempre goduto della stima degli altri esiliati, per la resistenza contro la dittatura, per il tempo trascorso in carcere e ancora di più per le sue qualità di uomo. Un altro elemento fortemente apprezzato è la compattezza che l’intera famiglia ha mostrato di fronte al “corteggiamento” della Sigurimi.
Vera, nel frattempo, è diventata una fisica affermata, ricevendo diversi riconoscimenti, tra cui il Premio della Repubblica sul tema climatico e partecipando a numerosi Congressi a livello internazionale. Una carriera scientifica brillante e una vita da mamma, con un figlio al quale ha dedicato la sua esistenza. La Bekteshi è una scrittrice molto apprezzata in Albania, dove la sua produzione libraria è notevole, tanto da essere un’autrice pluripremiata. Questi sono i motivi per cui, oggi, non desidera più essere chiamata la ragazza del Blloku, bensì Vera Bekteshi.