Sono poesie cariche di speranza e di amore per la vita quelle che compongono Luce che sgorga dall’abisso (Rubbettino, 2012) di Drita Çomo, per la traduzione di Klara Kodra. I versi della scrittrice, che guarda al mondo con sofferenza e delizia, sono un inno alla fede, quella umana, pura, lucida e un tripudio alla bellezza degli attimi quotidiani, di cui avrebbe voluto riempire la sua esistenza.
Tra fiducia e sofferenza
Attraverso i componimenti, frutto della sua penna vigorosamente matura, Drita ripercorre la sua vita, consegnando al lettore il disegno di una realtà appesantita e soffocata, inquietante e terribilmente drammatica. La leggerezza giovanile, frenata dalle vicissitudini familiari, non è totalmente spenta e non sfuggono al lettore attento le parole e i versi che ne evidenziano la presenza, accanto al filo del dolore. Un filo nero come la pece, bagnato di lacrime e indelebilmente legato alla vita, dura e maligna, che non spegne la sua profonda vivacità. Un’anima bella quella della Çomo, che la malattia e l’ingiustizia lacerano ora dopo ora, ma che non smette mai di perdersi dietro la gioia delle piccole cose, i colori della natura e dell’animo speranzoso, tanto quanto inquieto.
Non evita Drita di trasferire nella sua poesia la mestizia data da un’esistenza buia, che spegne la luce del futuro, vissuta in povertà, tra carcere e ospedale. Scrive la giovane, pensando di dare solo sfogo ai suoi pensieri: mai avrebbe immaginato, che un giorno, le sue poesie avrebbero visto la luce, non solo nella sua Albania che tanto l’ha martoriata, ma nel mondo, oltre i muri del totalitarismo.
La vita
Drita nasce nel 1958 a Tirana, figlia di una famiglia che vive in opposizione al regime dittatoriale di Enver Hoxha. La madre, Liri Belishova, è uno degli esponenti di spicco del Movimento di Liberazione Nazionale albanese, mentre il padre Maqo Çomo è un leader partigiano. La piccola non ha ancora compiuto due anni, quando i suoi genitori vengono entrambi arrestati e condannati con l’accusa di propaganda contro il regime, finendo, così, internata con sua madre a Kuç vicino Valona, poi a Progonat e infine a Cërrik. Suo padre, invece, rimane in carcere per ben trent’anni. In verità, l’intera famiglia Belishova viene condannata con l’accusa di aver commesso crimini contro il Partito e per questo, incarcerata, deportata e perseguitata negli anni. Drita è giovanissima quando scopre di essere malata di cancro; la sua vita, già martoriata dall’oppressione del totalitarismo, diventa ancora più difficile a causa della malattia.
Leggetelo
Trova conforto nella scrittura Drita, attraverso la stesura di diari, per sfuggire alle duplici pugnalate inferte dalla malattia e dalla prigionia. Muore all’età di ventitré anni, presso l’ospedale oncologico di Tirana e come si legge nella prefazione di Ismail Kadare a Luce che sgorga dall’abisso
“In un freddo giorno di fine febbraio, un carro conduceva al cimitero una poetessa di ventitre anni, una ragazza bella, di quelle che questo popolo generava così facilmente e altrettanto facilmente distruggeva. Dietro il carro, su cui oscillava il corpo senza vita della giovane, procedeva una sola persona: sua madre”.
La dittatura ha voluto così, la malattia ha voluto così, ma quel filo indelebile che l’ha legata alla vita, ha voluto che Drita fosse conosciuta e i suoi versi letti e amati, a immagine speculare di un’anima incantevole.
Leggete la sua opera e vi troverete davanti a una realtà spaventosa e a una donna incredibilmente forte, che presenta uno scenario raccapricciante del tempo in cui ha tentato di vivere. Leggete le sue poesie, che cantano l’amore e inneggiano alla vita, preziosa, sempre, anche nella disperazione più nera.
