Anche questo 8 marzo, come ogni anno da un secolo a questa parte, si celebra la Giornata Internazionale della Donna. Una ricorrenza nata dal movimento operaio, per poi diventare un evento annuale riconosciuto dalle Nazioni Unite.Nel 1908, circa quindicimila donne marciarono per le strade di New York, chiedendo orari di lavoro più brevi, una paga più consona e il diritto di voto. Fu il Partito Socialista d’America a dichiarare la prima Giornata Internazionale della Donna, esattamente a un anno di distanza dalla marcia, su suggerimento dell’attivista Clara Zetkin, che nel 1910 espose portò questo suo desiderio alla Conferenza Internazionale delle donne lavoratrici a Copenaghen e le cento donne presenti, accettarono la sua idea senza esprimere dubbio alcuno.
La Giornata fu celebrata per la prima volta nel 1911 in Austria, Danimarca, Germania e Svizzera, per essere poi resa ufficiale dalle Nazioni Unite nel 1975. Inizialmente, la ricorrenza non aveva una data fissa, fino a quando le donne russe, nel 1917, non scesero in piazza, scioperando nonostante i tempi di guerra, chiedendo “pane e pace”. Quattro giorni dopo la manifestazione, lo zar fu costretto ad abdicare e le donne riuscirono a ottenere il diritto di voto.
Le origini di questa festa vengono (per tradizione) rimandate all’incendio di una fabbrica di camicie, nel 1908, durante il quale persero la vita moltissime operaie. La leggenda racconta che accanto alla fabbrica ci fosse un albero di mimose, motivo per cui la pianta è stata scelta come simbolo della giornata.
Si regalano mimose; e se invece si regalassero libri? Oggi, abbiamo pensato di darvi qualche suggerimento e consigliarvi testi di autrici albanesi da regalare o da regalarvi in occasione di questa speciale giornata:
1 La mia vita universitaria di Musine Kokolari
(Viella Libreria Editrice, 2016)
Musine Kokalari (1917-1983) è stata la prima, grande scrittrice e poetessa albanese del Novecento, sensibile alla nascente “questione femminile” e alla miseria delle società rurali da lei denunciata in intensi, partecipati racconti. Nel 1941 proprio presso La Sapienza Kokalari aveva conseguito la laurea; ma terminati gli studi scelse di rientrare in patria, battendosi negli anni della guerra, della resistenza e del conflitto civile per la costruzione di un’Albania democratica. Musine Kokolari è la prima dissidente donna in tutto l’impero comunista, fondatrice di un partito di opposizione, prigioniera politica, che, dopo 20 anni di galera, avrebbe chiuso gli occhi in esilio, mentre 10 anni dopo, nel 1993, quando la dittatura comunista era caduta, è stata decorata dal Presidente con la medaglia “Martire della democrazia” e infine “Onore delle Nazione”.

2 Il mio grido di Mimoza Ahmeti
(Besa Muci, 2020)
Candore e sensualità costruiscono la mappa emozionale di queste poesie di Mimoza Ahmeti, scandite da quel linguaggio fluido e cristallino che ha già fatto dell’autrice un “classico moderno”. Altro aspetto intrigante dei versi di questa poetessa albanese è l’ambiguità sessuale che pervade molti componimenti: un’ambivalenza, un’offuscazione poetica del maschio e della femmina che rende la scrittura ancor più seducente e carica di significati nascosti tra le righe.

3 Antipastorale di Luljeta Lleshanaku
(Lietocolle, 2016)
Luljeta Lleshanaku è una poetessa albanese nata a Elbasan nel 1968. Ha studiato presso l’Università di Tirana ed è stata capo redattrice del settimanale Zëri i rinisë. Fra i numerosi traduttori che in questi anni l’hanno fatta conoscere al pubblico di lingua inglese c’è anche la sorella di Luljeta, l’architetto Albana Lleshanaku. Qui una nota del celebre scrittore e critico letterario Peter Costantine:
Luljeta Lleshanaku è una pioniera della poesia albanese. Parla con una voce del tutto originale, il suo immaginario e il suo linguaggio sempre inaspettati e innovativi. La sua poesia ha pochi legami con gli stili poetici passati o presenti in America, in Europa o nel resto del mondo. E non è nemmeno collegato a nulla nella poesia albanese. Abbiamo in Lleshanaku un poeta del tutto originale.

4 Tempi che sono di Gentiana Minga
(Terra d’Ulivi, 2021)
Il 13 novembre del 2017, sotto il pianale di un vagone di un treno-merci fermatosi a Brennero e diretto in Austria, agenti della polizia ferroviaria trovarono in stato di ipotermia un piccolo bambino di 5 anni. Intontito e raggomitolato se ne stava aggrappato ad una grande borsa piena di oggetti femminili. Ricoverato in ospedale, il bambino disse di chiamarsi Anthony e di venire dalla Sierra Leone. E’ da questo fatto di cronaca che trae ispirazione la prima parte dell’ultima uscita di Gentiana Minga, edizione Terra D’Ulivi (collana Granati) :
“ Oh, Anthony, piccolo Anthony, sei trai i salvati!/ Cristallo dell’alba novembrina e pistillo di papavero, sei tra i salvati!”
Il bisogno indispensabile che l’essere umano osservi con diligenza e onestà dentro di se pare che sia il filo conduttore dell’intero volume, giacché:
In verità (…)
nessuno e niente sa di essere mai stato
tutto quello che è nato,
e tutto quello che è morto.
Il volume, articolato in 4 parti, ( Ad Anthony, Il camino degli autoctoni/ Der Gang der Autochthonen, L’eco del pargolo, “ Tempi che sono…/Zeiten wie…) è costituito dalla presenza, accanto ai testi in italiano, di quelli in albanese e in tedesco, con traduzione di Werner Menapace, traduttore e autore sudtirolese, e di Ilir Ferra, autore e traduttore albanese.

5 Luce che sgorga dall’abisso di Drita Como
(Rubbettino, 2016)
In un freddo giorno di fine febbraio, un carro conduceva al cimitero una poetessa di ventitre anni, una ragazza bella, di quelle che questo popolo generava così facilmente e altrettanto facilmente distruggeva. Dietro il carro, su cui oscillava il corpo senza vita della giovane, procedeva una sola persona: sua madre”, così Ismail Kadare nel presentarci questo libro che raccoglie le confessioni di un’anima inquieta. Un’anima che, seppure oppressa dallo Stato e dalla malattia, mantenne in tutte le circostanze la sua classe raffinata.
Drita Çomo, poetessa albanese, visse sotto la dittatura di Enver Hoxha. La sua famiglia, considerata dal regime “nemico del popolo”, fu perseguitata aspramente nelle carceri e nei campi d’internamento dalla dittatura comunista. Drita morì il 19 febbraio 1981, completamente sola, in un letto dell’Ospedale Oncologico di Tirana. Scrisse per sé il diario e le poesie, senza sapere che un giorno sarebbero stati pubblicati. Le sue annotazioni e i suoi versi, creati sotto la minaccia del controllo improvviso della polizia, giungono oggi al lettore italiano nella traduzione dall’albanese di Klara Kodra e con la prefazione di Ismail Kadare.
