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Eravamo e non in quattro

Mimoza Hysa Mimoza Hysa
18 Luglio 2022
Mimoza Hysa

Mimoza Hysa

In quattro a tavola. Una tavola semplice, da duemila lek, del tempo di Hoxha, con sopra una tovaglia di pizzo e quattro sedie. No, una tavola di lusso, mi pare, con delle sedie pesanti di legno, arricchite di filigrana in alto.

Con schienali intarsiati, stile barocco, come il trono dei re. Con raffigurazioni divine, sedili in seta color rosa. Oppure erano moderne, color azzurro? Non so. Una tavola di cristallo come il mare ceruleo, con delle sedie eleganti, di un turchese come quello delle onde. Non so bene, in ogni modo c’erano quattro sedie e quattro persone che vi sedevano a cerchio. Io, la Moglie e i miei due figli: Maschio e Femmina, per intendersi. Io capotavola, la Moglie alla mia destra e alla sinistra la Figlia. Il Figlio sedeva di fronte, come il capo di un fante a rovescio. Non si sapeva mai chi lasciasse e chi prendesse il comando. Ahimè, solo gli uomini, ovviamente. Quando ero di buon umore, egli piangeva.

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Quando sbraitavo, egli sghignazzava in fondo al tavolo. Le donne…nulla le donne. Vi erano sempre. Senza di loro non si poteva apparecchiare il tavolo. Neanche si poteva pranzare. La Moglie, infatti, stava più in piedi che seduta. La figlia lagnosa si puliva sempre il naso sotto il tavolo. Si lamentava. Non so di che, ma aveva sempre qualcosa di cui lamentarsi. Il Figlio obiettava. La Moglie, ah, la Moglie c’era sempre, naturalmente. Eravamo in quattro. Poiché eravamo abituati a sentirsi famiglia solo se in quattro.

(Sono una persona che Pensa e Ragiona esagerando con avverbi come sempre, ogni volta, continuamente, costantemente…tempo indefinito, collegato ciclicamente a certe congiunzioni che mi si attorcigliano alla gola con dei perché, poiché, giacché, siccome, basate sulla logica materialista di causa effetto…frutto della scolarizzazione, senza dubbio). Dunque…ero a tavola ogni qualvolta veniva apparecchiata, siccome non sapevo chi mi avesse caricato l’orologio del tempo in modo tale che io non mancassi mai e fossi sempre puntuale. Per pranzare in famiglia. Ciò, a quanto pare, piaceva alla Moglie. Ed era proprio grazie a questa mia puntualità non coltivata, ma innata, che lei mi ammirava. Se ne doveva vantare con le sue amiche. Era soddisfatta. Lo si vedeva dai suoi occhi.

Capitava che si facesse viva Lei, dagli occhi azzurri e capelli lunghi, elegante e sempre giovane. Era riluttante a sedersi a tavola giacché non le piaceva attenersi alla regola. Anche quando la facevo sedere lì, rovesciava qualche bicchiere e il vino, o l’acqua versata, non so bene, perché succedeva di non avere del vino in casa, inzuppava cosi la tovaglia. Ed era lo scompiglio. La Moglie correva ad asciugare l’acqua per impedire che il pane si bagnasse. Un bel ceffone alla Figlia che reclamava di non essere stata lei e il Figlio…sghignazzava. Quando Lei pranzava alla mia destra…ma che a destra? Non le piaceva il lato destro, né quello sinistro, né quello di fronte…voleva essere dappertutto…odore o profumo, e quando lei era lì, la lunga ora di pranzo era sopportabile. Mi nutriva con le sue mani e la tovaglia bianca di pizzo della vecchia tavola…e quella azzurra della tavola moderna diventava(no)
unta.

La Moglie sentiva il sangue bollire dalla rabbia, ma rimaneva composta come la regola dettava, impegnandosi per tutto il tempo a raccogliere e pulire i rifiuti sparsi sulla tovaglia, senza toccare neanche un po’ di cibo per sé. Mia Moglie aveva un cuore grande ed era paziente. Il Figlio, lui sì mi dava sui nervi perché colpiva con il pugno sul tavolo, inavvertitamente, così che lei si spaventava e spariva per un bel po’. Infatti, me l’ero dimenticata da tempo quando conobbi mia moglie. Si era trattato di un normale flirt. Breve amore destinato a finire poiché lei era una donna che non soddisfaceva le mie esigenze per diventare mia consorte. L’ordine non faceva per lei, ovviamente. Anche se era piacevole e mi faceva felice. Fosse vero che lo svago e l’annebbiamento della mente procurassero la felicità! Per me, no.

Perché stai con me? – le chiesi. Mi hai bevuto gli occhi– mi disse. Il momento del nostro incontro è stato folgorante. Borbottava frasi romantiche di ogni sorta o peggio ancora masticava poesie. Era un po’ frivola, capiamoci. Lo sarò stato anch’io in qualche modo se mi piaceva ascoltarla. Non riusciva ad individuare l’anello principale della lezione e la catena causa effetto andava confondendosi nella sua mente con quel famoso istante irripetibile ricercato anche nella battaglia di Waterloo, in cui, secondo lei, Napoleone sarebbe stato distratto da qualche piccioncina dai capelli d’oro.

Proprio in quella tavola dove io sedevo come mio padre e il padre di mio padre, in quella che era la famiglia, Lei, santo diavolo, fa tintinnare il bicchiere con la forchetta. Da maleducata, si capisce. E non ci arriva affatto con il suo cervello che non si canta a squarciagola “il cuore è uno zingaro e va…” mentre manda giù gli spaghetti a salsa di pomodoro cucinati come al solito a meraviglia da mia moglie.
Ti rimangono in gola. Poi la brutta abitudine di leccarsi le dita rumorosamente, da far sgranare gli occhi a mia Moglie, invece il figlio, quel birbo, sganascia dalle risate. Alla figlia Lei fa paura ed è per quello che nasconde la testa sotto il tavolo.

Con mia Moglie era stato bello. Eravamo uguali. Odiava i ritardi e non impazziva intrattenendosi a lungo con le amiche nei bar. Figuriamoci, con il fumo e le bevande alcoliche, neanche per sogno.
Appunto, come me. Mentre Lei si accendeva una sigaretta ogni tanto. Quando si presentava l’occasione. Quando le saltava in mente, ovunque ella si trovasse. Bisognava aspettarla per ore. Il suo orologio non era mai uguale al mio, uguale a quello di tutto il mondo, se è per quello. O avanti, o indietro oppure del tutto fermo.

Mia Moglie era un angelo. Come me. L’arrivo della bambina aveva esaudito il nostro desiderio di avere una creatura sana. C’era gioia in casa. Allora non ricordo che Lei venisse a pranzo da noi, perché non potevamo permettercelo di stare a tavola con comodo. Se fossimo rimasti così, Lei non sarebbe mai venuta. Ma mia moglie non poteva fare a meno del suo erede. Nemmeno io, si capisce. Ci volevano due bambini per essere al completo. Una famiglia. Per chiudere il cerchio. Diventammo in quattro.

La prima notte, Lei venne quando eravamo tutti addormentati. I bambini erano grandicelli ormai così da dormire da soli. In soggiorno, siccome lo spazio è stretto. No, che dico, ognuno ha la sua stanza, una color rosa e l’altra blu. Conforme al genere. Quella notte piangevano i poeti, mi disse lei appena apparsa. Non riuscivo a dormire e la luna mi derideva in faccia con il suo sguardo impallidito, come se fosse malata.

“Eccomi, come l’onda irruenta che incombe sulla quiete beata” disse appena la sua testa apparve sul davanzale della finestra. Si distese accanto a me incurante della presenza di mia moglie che dormiva come una principessa. Era rimasta uguale a una volta, con gli occhi azzurri che brillano e i capelli folti. Non so perché il suo seno sporgesse insù anche se era più piccolo di quello di mia Moglie. Accese anche una sigaretta dopo aver fatto sesso e mi fece stare in timore per il risveglio della Moglie a causa del fumo. Alla mattina, mia Moglie aprì i battenti della finestra inspirando l’aria con stupore.

Divenne un’abitudine venire poi. Non solo di notte quando dormivano tutti, ma anche di giorno. Le piaceva soprattutto pranzare con noi. E ubriacarsi davanti agli occhi sbalorditi della mia Famiglia. Con del vino. Ma che vino? Non servivamo del vino, solo dell’acqua. Si ubriacava con l’acqua. La moglie si tratteneva e dava un ceffone alla Figlia, come sempre, lagnosa. Bella questa, super…ah…ah…ah sghignazzava il mio omologo di fronte. O non pronunciava parole del genere? Non so bene, questa generazione usa un altro linguaggio.

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Fu lei a lasciarmi allora e non io. La poesia si esaurì. Adesso le è saltato il grillo di non lasciarmi in pace. Ha sempre fatto cosi, a colpi di testa. Dava sempre nell’occhio al liceo per quello che era di moda all’epoca: per i pantaloni stretti e la minigonna, per organizzatrice di festicciole di compleanno nelle case fino a tardi…o mi confondo…era conosciuta per le tarde ore in discoteca, mi pare, e per il fatto che sniffasse un po’…non so bene nominare quella roba, mio figlio lo saprà meglio. So che si notava e si considerava bella e creativa. In altre parole, faceva arte, in qualche modo.

Cosi le sembrava, che facesse arte. Scriveva poesie orrende con foglie d’autunno e il vento d’inverno. Squallide. Sbagliava anche le virgole e le parole. Ma erano sciocchezze per lei, insignificanti. Lei si comportava diversamente. Faceva teatro anche. A scuola. Recitazione o canto, questo non me lo ricordo bene. Perché in realtà, non combinava nulla come si deve. Ma si illudeva di essere particolare e che sarebbe diventata famosa per qualcosa. Non importava cosa. Il cambiamento del mondo, dice (o diceva?) inizia da persone come me che sembrano dispersivi, distratti…ma è nella loro distrazione che germoglia il nuovo attimo, quello che scombussola l’ordine delle cose e da vita ad un altro seme…quello del diavolo, dico io.

Comunque sia, genera. Mia moglie aveva un impiego da contabile in una ditta statale le cui pianificazioni erano le medesime e i bilanci si chiudevano da soli…no, mi confondo…si tratta di una ditta straniera dove fa la contabile di cifre con tanti zeri. E’ molto pignola e sa guadagnare bene. Ho lo stress dei numeri mi dice, ma i numeri non si possono esprimere in parole, dunque lo stress è codificato nel suo cervello e a casa parla dei figli. La loro educazione sta in primo piano. Invece Lei non ha figli. O ne ha solo uno, per essere originale. Non ha neanche un uomo. Che dico, non sono io il suo?

A mia Moglie piace la musica soft, la mette in sottofondo quando pranziamo. Trova romantico che i bambini si ricordino di quanto sono stati cresciuti nella tranquillità. Ma il figlio, a sorpresa, ha cominciato ad occupare il mio posto da capotavola, perché non si ricorda più il suo e io mi sento in imbarazzo. Non so dove prendere posto. Intanto ha già cominciato a pranzare senza aspettarci. O anche quando ci aspetta spara qualche parola come Coglione quello e Stronzo quell’altro da costringere mia moglie a spegnere il registratore e iniziare con i richiami per le gravi infrazioni, si capisce…lo fa alzare dal tavolo e lo punisce impedendogli di pranzare con noi.

Viene espulso dal cerchio. Egli sghignazza …questo gli sembra una liberazione, tale da renderlo assente per settimane intere a tavola, perfino in casa. La Moglie si lamenta, invece la figlia è diventata taciturna. Impartisce consigli da psicologa sul comportamento corretto. E’ brava, secondo la moglie. Invece Lei, la sfacciata, va dietro al figlio quando egli si alza dal tavolo. Civetta con lui, davanti ai miei occhi! Senza ritegno. E canta a voce rauca “il cuore è uno zingaro e va” o no, mi confondo, canta qualcosa come pop con fuck it.

Voglio pranzare tranquillo con la mia famiglia. Con la Moglie, il Figlio e la Figlia. In quattro come sempre, per sempre, ogni volta….costantemente…un cerchio chiuso senza crepe come l’universo rimpicciolito nella rotondità della tavola da pranzo, ma Lei ha cominciato ad ubriacarsi di brutto e rovescia il vino rosso sul tavolo. La Moglie alza la mano per colpire la figlia…lagnosa…

Penso di sostituirla alla moglie. Esaudire per una volta il vecchio desiderio di farla prendere posto alla mia destra. Ma lei è estasi, accerchiarla è impossibile. L’errore iniziale sta nella verità di Galileo – urla.
Non sa parlare da signora, si capisce. Non può essere solo come dice Galileo. La terra è rotonda. E il magma che esplode e cambia la forma, e la screpolatura dello strato di carbone che innalza una montagna e appiana le apici? E’ e non è rotonda. Nulla può essere in pieno rotondo, perfettamente chiuso. Capisci? Cosi gli altri a tavola sono costretti a lasciare il pranzo a metà. Ha esagerato. E’ diventata insopportabile.

Il Figlio è da settimane che non si fa vedere, invece la Figlia è diventata suora, o psicologa, non so bene, ma fa qualcosa attenendosi alle regole. E’ appunto brava, dice la moglie. Cosi dovrei dire anch’io. Ma mi manca la voce. E non lo dico. Ma lo penso comunque. O quando voglio credere che cosi è, mi addormento. E non riesco più a pensarci. Perché Lei mi ha rubato il sonno.

Terribile, nel più bello dell’esistenza, in Famiglia, ti senti confondere, istigare da non sapere più se sei diventato cerchio oppure sei rimasto un atomo. Terribile davvero. E a chi, a me, bah, a me che non ho mai commesso errori. Sono un medico e come tale gli errori li pago con la vita. So bene cos’è il cuore.
Invece lei crede che il cuore parli…o pianga…e diventi vagabondo come lo zingaro…
Ho deciso di ucciderla o avvelenarla con il calice del vino. Il veleno è la mia specialità. Lo preparo
lentamente e lo butto nella caraffa del vino, in verità non serviamo mai il vino a pranzo, sicché l’avrei
buttato nella brocca d’acqua. Lo bevve?

Ah, senz’altro, che lo bevve, come può resistere lei senza bere. Tutto d’un fiato… Lo inghiottì, lo leccò, lo prosciugò con la lingua rosea e mordicchiò le stille sulle labbra infuocate, le piacque cosi tanto da … esplodere. Si coricò sul tavolo a gambe divaricate …sui piatti e tutta nuda…agli occhi sgranati della moglie e la bramosia di mio figlio. La figlia si nascose sotto il tavolo. Avevano trasgredito la regola.
Lei era insaziabile di veleno e ne voleva ancora. Si mostrava ingorda dei nostri aliti e cantava nuda “il
cuore è uno zingaro e va..” insultava poi con fuck it…

Mi accasciai per terra e rovesciai il tavolo… …verdure saltate al burro fuso crostoni di pane speziato spaghetti spadellati peperoni piccanti lingua salmistrata minestrone di gambe nude voragine fugace visione confusa cedimento cerebrale cumulo di controversie vortice furioso rigetto compulsivo pianto strillante unico istante in cui non possiamo mai santo diavolo essere perfettamente in quattro.

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