Avevo 11 anni quando durante una lezione di catechismo è entrato in stanza don Lucio Ciardo, viceparroco del mio paese e direttore della Caritas diocesana di Ugento-Santa Maria di Leuca, accompagnato da tre uomini che nessuno di noi aveva mai visto. Magari, con i volti segnati da rughe profonde, difficile capirne l’età, si guardavano intorno spaesati e intimoriti. Seduti in silenzio davanti a noi, non parlavano la nostra lingua; don Lucio ci teneva a farceli conoscere e a raccontarci le loro vicende. Erano albanesi da poco sbarcati a Otranto, scappati dalla miseria e dalla sofferenza.
Era il 1991 e questo è stato il mio primo approccio con la storia dell’Albania e della sua gente. Alcuni degli uomini arrivati a Presicce vi sarebbero rimasti, diventando parte integrante della popolazione, altri avrebbero cercato fortuna in città diverse. Il ricordo di quella lezione particolare è ancora vivido, non avevo idea di quanto stava accadendo in tutto il Salento e in Puglia, ma era certo che la maggior parte dei comuni salentini viveva le stesse esperienze di accoglienza verso i profughi, e che in ogni luogo ci si stava prodigando per dare loro tutto ciò di cui avevano bisogno: un tetto sotto cui vivere, vestiti, cibo e poi anche un lavoro. Quello scatto di solidarietà è diventato un tratto comune nel passato dei pugliesi.
Da quel momento abbiamo iniziato a familiarizzare con parole come profughi, aiuti umanitari, accoglienza e il diverso non ci fa più paura. Avevamo riconosciuto il suo bisogno e lo stavamo aiutando come se fosse un fratello. Ricordo alcune iniziative di raccolta fondi e i racconti dei viaggi di chi, più grande di me in Azione Cattolica, partiva in Albania per i campi estivi, esperienze formative molto intense e allo stesso tempo imperdibili. Circolava in quel periodo anche la voce di chi avrebbe voluto il Salento, da Brindisi in giù, candidato al premio Nobel per la Pace. L’idea mi inorgogliva, ma non riuscivo a capire la vera portata di quella proposta, la motivazione di fondo.
Quel premio non è stato mai assegnato e, col tempo, nessuno ci ha più pensato; nel corso degli anni, ogni volta che si è fatto riferimento allo sbarco degli albanesi, le immagini usate sono rimaste appiattite sul molo di Bari al momento dello sbarco della Vlora, l’8 agosto 1991. Evento eccezionale, certo (in realtà prevedibile dopo i numero si arrivi al porto di Brindisi, nel mese di marzo), ma che non rende la complessità del momento storico e che non dà il giusto merito a chi è stato protagonista della solidarietà in quel periodo, così lontano e irripetibile.
Quegli sbarchi hanno costretto l’Italia a ripensare se stessa, scoprendosi paese d’immigrazione oltre che d’emigrazione, in un momento in cui si registravano tensioni politiche interne, con l’instabilità del governo Andreotti, con la Lega Nord di Umberto Bossi pronta a scalare il potere ripetendo il mantra “prima il Nord” e mostrando in nuce i segni d’intolleranza verso gli stranieri, mentre in politica estera si registrava l’intervento militare italiano nella Guerra del Golfo. Ma soprattutto sono serviti a mostrare il grande cuore degli italiani, che hanno accolto e aiutato senza remore quanti avevano bisogno, sia i profughi che gli albanesi rimasti nel loro paese. Nonostante le prese di posizione e le mancanze del Governo.
A Brindisi è rimasto latitante ed è stato il giovane sindaco Giuseppe Marchionna a gestire l’emergenza, aiutato dai cittadini che senza paura hanno aperto le proprie case e hanno condiviso quanto avevano. A distanza di pochi mesi, invece, in occasione dello sbarco dell’8 agosto a Bari, il Governo è intervenuto a gamba tesa, emendando la prima legge sull’immigrazione e trasformando di colpo in clandestini le migliaia di profughi arrivati; stipandoli nello stadio della Vittoria e imponendo loro il rimpatrio con l’inganno.

L’opinione
La solidarietà umana è l’indiscussa protagonista di questo Albania Italia andata e ritorno. La storia che sfocia nei grandi esodi, il legame solidale promosso dopo gli sbarchi di Ilaria Lia, pubblicato nel 2021 in occasione del trentennale dello sbarco della Vlora (8 agosto 1991) sulle coste pugliesi. L’autrice e giornalista ricostruisce anche la storia contemporanea albanese, concentrandosi soprattutto sul resoconto delle azioni di solidarietà messe in atto nei primi anni Novanta, in seguito agli sbarchi dei profughi, da alcuni gruppi di volontari che hanno coinvolto l’intera penisola italiana, cercando di riservare una buona accoglienza a chi scappava dalla miseria albanese.
Durante le iniziative del 2021, a celebrazione e ricordo del più grande sbarco di migranti giunto in Italia, sovente sono state ricordate alcune pagine tristi caratterizzanti quegli eventi, che non sono però le sole. La Lia richiama alla mente quanto di buono è accaduto in quel periodo, come Il legame solidale promosso dopo gli sbarchi, quando i primi aiuti sono arrivati dalle comunità arbëreshë calabresi e la Caritas si è attivata, sia per chi è rimasto sul suolo italiano, che per coloro che sono passati dalle nostre terre per proseguire verso altri territori.
Quello dell’8 agosto è stato il grande esodo, ma non il primo: la Lia racconta di come gli sbarchi degli albanesi sulle nostre coste siano iniziati tempo indietro. A tal proposito, una delle testimonianze più importanti è quella dell’allora sindaco di Brindisi Giuseppe Marchionna, che con una buona dose di sangue freddo ha saputo gestire una città in preda al caos (già qualche mese prima di agosto 1991), con più di diecimila albanesi sbarcati, affamati e stanchi, attivando una rete di accoglienza locale.
I brindisini accolgono l’appello del sindaco con prontezza, ma le strutture per ospitare i profughi non risultano sufficienti; si requisiscono perciò anche le scuole, decisione presa dopo la consultazione dei responsabili scolastici. Le parole del sindaco contro il governo fanno scalpore, ma producono risultati: alcuni parlamentari arrivano in città per rendersi conto della situazione e per mostrare solidarietà.
Un libro composto da storie, con un sfondo storico importante che presenta il bel volto dell’Italia, sin troppo spesso oscurato dagli errori commessi in quei frangenti. Le associazioni, la Chiesa e la Caritas, oltre ad alcune riuscite operazioni governative si sono rese protagoniste di molte iniziative favorevoli all’accoglienza dei profughi albanesi, ma le vere figure predominanti sono state quelle degli uomini e delle donne che si sono spesi in nome della fratellanza. Il volume, redatto con cognizione di causa, è il frutto evidente di studi e approfondimenti ed è arricchito da diverse foto che ritraggono i momenti più salienti di quegli avvenimenti.