Il ragazzo non aveva alcuna intenzione di andarsene. La caparbietà era una virtù che lo ripagava della scarsa attitudine allo studio, spesso rimproverata dalla madre, e dell’ignoranza dileggiata dai compagni più bravi di lui.
Quel mattino se ne stava seduto da un bel po’ sul bordo sgretolato della vecchia torre di difesa e da lassù guardava il mare. Da sotto, il cane grattava le zampe sui calcinacci impolverati nel vano tentativo di arrampicarsi come aveva fatto il suo padrone. Era troppo grosso per quel genere di scalata verticale, e tuttavia insisteva latrando per la disperazione. Fadil gli fece segno di zittire e, dopo un’ora che aspettava, decise che era venuto il momento di scendere: il convoglio corazzato italiano annunciato dalla radio era ancora lontano e tanto valeva tornare al villaggio e cercare un amico disposto a giocare ai dadi puntando una cifra che gli permettesse di comprarsi le sigarette e magari un accendino.
Aveva una fortuna sfacciata ai dadi, su dieci giocate ne perdeva due o tre dicendo che il diavolo ci aveva messo lo zampino, ma subito dopo rimediava e il diavolo doveva battere in ritirata. Allo sfortunato compagno di gioco non restava che deporre le monete sul tavolino e ritentare la fortuna con un’altra puntata. Mentre appoggiava il piede sul primo scalino, in direzione di Valona vide sollevarsi un nuvolone di polvere biancastra che saliva, allargandosi a imbuto, verso il cielo. «Eccoli!» esclamò ad alta voce, con l’emozione che gli mozzava il respiro. Aguzzò lo sguardo e sotto il nuvolone distinse i mezzi del convoglio corazzato che avanzava in direzione del villaggio, lento come una carovana. C’erano anche dei cannoni, perdio, trascinati dalle autoblinde. Avevano forse intenzione di bombardare il suo villaggio? Non aspettò un momento di più, scese, scivolò maldestramente sui calcinacci sbucciandosi le ginocchia e si mise a correre a perdifiato sul ciglio della strada costiera tallonato dal cane. In meno di dieci minuti raggiunse le prime abitazioni periferiche, casupole di calce cubiche come i suoi dadi, sparse fra lecci, ulivi e terebinti.
«Arrivano! Hanno anche i cannoni!» gridò a tutti quelli che incontrava, e la gente si affrettò a sprangare le porte e a chiudere gli scuri. Si fermò a bere a una fontana e, dato che il cane non la smetteva di lappare l’acqua che si era formata nella vasca, gli mollò una pedata. La povera bestia guaì e poi andò a rifugiarsi all’ombra di un leccio. La via principale del villaggio, dedicata al poeta Naim Frashëri, partiva dalla piazza e scendeva diritta fino alla banchina del porticciolo, dove nelle darsene oscillavano barche e pescherecci. L’abitazione del capo villaggio si trovava a mezza strada e nella piazza, vicino al mezzobusto di Giorgio Castriota Scanderbeg, si era formato un gruppetto di ragazze.
Anche a loro il ragazzo annunciò a squarciagola che i soldati italiani stavano arrivando, ma nessuna si agitò o mostrò sgomento; fu poi la volta del taverniere e dei suoi clienti. E subito ci furono i primi commenti, in genere negativi. «Italiani o tedeschi che siano, essendo alleati, sono tutti uguali e perciò bisogna riguardarsi». «Ho sentito dire alla radio che si tratta in genere di convogli disorganizzati». «A cosa ti riferisci dicendo che sono disorganizzati?»
«Alla scarsità di munizioni e di provviste. Ma Fadil ha detto di aver visto dei cannoni». «Bisogna prepararsi a ogni evenienza». «Che cosa significa prepararsi a ogni evenienza?» «Significa aspettarsi il peggio o, se siamo fortunati, gli dobbiamo apparecchiare i tavoli all’ombra dei tamarischi mettendoci sopra tutto quello che abbiamo nelle credenze e nelle cantine. Come è successo ai nostri connazionali di Selenicē che sono rimasti senza provviste nelle cantine». «Se ci chiedono dei viveri, vino, pane, formaggio, carne secca e salsicce, li avveleno con i topicidi».

La Trama
Zara Kaledi è una maestra trentacinquenne, donna di cultura e per questo molto invidiata dalle amiche e da chi le è più vicino. Siamo nel 1941, in piena guerra: l’Italia e la Germania hanno invaso l’Albania e la Grecia. Un convoglio italiano, diretto verso un villaggio greco, subisce l’attacco di un gruppo di partigiani albanesi. La colonna militare non prosegue oltre, al fine di prestare soccorso e le necessarie cure ai feriti. Una sosta che richiede molto più tempo del previsto ed è in questo lasso temporale che Irene Barzanis, amica di Zara, subisce un grave vilipendio da parte dei soldati italiani, tanto che suo padre, pervaso dalla rabbia e dal dolore, ne uccide due. Alle fucilate di Klevi Barzanis sfugge un terzo soldato, che in realtà non ha preso parte alla violenza.
Barzanis decide di consegnarsi agli italiani e mentre attende di essere giustiziato, suo figlio Josif, partigiano, attacca il palazzo comunale dove è imprigionato, liberandolo. Il convoglio, temendo altre incursioni, riprende il suo cammino. Zara incontra per caso il terzo soldato e il suo intervento si rivela provvidenziale quando l’uomo viene arrestato dai partigiani albanesi. Nasce così un sentimento carico d’amore e protezione, ma anche di grandissimo rischio.
L’opinione
È una storia ben delineata e dal profilo fortemente realistico quella che anima Il terzo soldato, il libro di Luciano Crosetto. La penna scorrevole dell’autore disegna la figura di Zara, tra i protagonisti principali del racconto , contraddistinta da una fragilità che, inizialmente, sembra privarla di carattere tanto da infondere solo tenerezza nel lettore, non offrendogli un reale coinvolgimento oggettivo. In un secondo momento, Zara emerge energicamente con tutta la sua determinazione, trasformando la sua forza nel cuore pulsante della narrazione.
Crosetto decide di collocare una donna dal libero pensiero, spogliata dalla necessità di seguire le consuetudini dell’epoca, in un momento storico difficile, in cui “regola” è la parola d’ordine. Zara è l’antitesi del pregiudizio, va contro ogni becera formalità, è una donna che desidera amare e per il suo grande amore decide di sfuggire ai dettami della legge. L’autore è un docente piemontese, coordinatore di laboratori di lettura per giovani studenti e bibliotecario in ambito scolastico, dalla scrittura corposa e concreta, che si palesa come una gradevole scoperta. In questo Il terzo soldato, Crosetto narra di guerra e dell’Albania invasa attraverso le vicende che vivono i personaggi e tramite le loro emozioni, senza angosciare il lettore, offrendo uno spaccato di Storia che fa da importante sfondo alle storie raccontate con cognizione di causa e una buona porzione di coraggio.