Con la tua voce caccia lo sbadiglio della morte/dalla sua bocca e alzati prima che lui si svegli. / Prima che muoia. Molto prima che apra gli occhi. / Sommo bene, cantagli una Canzone di Pace / e poi stagli accanto per ascoltare le sue melodie. / La sua profonda voce. Le sue profondità del cuore./Il suo pensiero. / Stai sulla sua testa con tutta la tua altezza, / con la tua superiorità, con la tua infinita bellezza: / Spirito di Pace. / Se si sveglia ruggendo come un leone / e ruminando suoni di guerra, / non permettere che l’alito della morte / sputi su di lui sangue umano, / putrefazione, invidia, odio, barbarie. / Chiudigli gli occhi e fallo dormire ancora. / Fallo ancora dormire fino a mezzogiorno. / Se si sveglia con lo stesso pensiero nella mente: / fermalo! / E se si sveglia con quell’orrore nel cuore, / ferma quell’orrore! / Spirito di avvicinamento, allontanali da lui: / loro che sono come lui loro che sono in lui, / il sommo male del mondo, / e fallo dormire ancora fino alla sera. / Spirito di Amore, è arrivata la sera perciò affrettati a svegliare lui, / e se balza con la testa della libertà / recisa in mano, facendo sanguinare / tutti i suoi misteri, tutti i suoi saperi, / tutte le sue verità: non permettere che lui / rotoli nel valzer dell’anti-parola! / Non permettere che lui in loro rumini suoni di / guerra. Patria di tutti: / Spirito della parola che sei Padre dell’Universo, / fallo dormire ancora fino all’aurora. / E se si sveglia con una testa mozzata in mano, / con l’orrore in mente, in bocca, / con lo sbadiglio della morte: / ferma quella mano per sempre! (Lo sbadiglio della morte)

L’opinione
Tutto il tormento di una vita in questo Richiamare al bene, la raccolta di poesie firmata da Valbona Jakova, i cui versi tracciano le tappe più importanti della sua esistenza e di quella delle persone a lei care, dal periodo delle persecuzioni del regime, sino alla traversata dell’Adriatico che la conduce in Italia.
Una lettura toccante fatta di versi palpitanti, dove i meandri più intimi dell’Anima si fondono con la cruda realtà di un mondo capace di vestire i panni della beltà e dell’accoglienza, così come quelli della bruttura e dell’alienazione. Le viscere sono invase e tormentate da ferite silenziose, le cui abiezioni non riescono a soffocare l’urgenza e la necessità di guardare al futuro con occhi limpidi e privi di timori.
Si evince la determinazione della Jakova nel delineare dettagliatamente il proprio percorso intimo, quello di chi si addentra nelle varie fasi della vita imbastendole sulla pelle, a seconda di quello che il destino offre nel bene e nel male, volteggiando sull’altalena della quotidianità spesso condizionata dalla cupidigia umana:
In quei tempi deliziosi, il vecchio / ancora vivo, nel suo giardino, / riempiva cesti di frutta/ mentre una donna gravida / passando nella via mostrava / la sua gentilezza con un saluto / e i bambini tornavano a casa; / ma l’avarizia della sua anima / gli corruppe il braccio teso e la donna, / che lo credeva una farnia, se ne andava / con la delusione impressa sulla pancia.
Si ricuce la vita spezzata grazie a una scelta pratica ed essenziale, che vede una donna insieme al suo essere, al suo bagaglio di vita, alle sue idee e alle sue speranze, abbandonare la terra natia. In una condizione di adrenalina mista a paura, attraversa quel mare dalla voce stridula e avvolgente, come quella di una strega buona che giura redenzione, coccolando il corpo di una figlia per poi posarlo sulla terra salvifica, seppur straniera.
Sono versi vigorosi e vibranti quelli della Jakova, che accompagnano il lettore nel mondo di chi è stato preso a schiaffi dalla vita e mai si è arreso. Sono poesie che raccontano di Storia e di storie, bramando il riscatto che il destino deve a ogni uomo sofferente. La penna, appesantita dall’angoscia e alleggerita dalla volontà, narra della condizione umana, del vuoto dell’anima bisognosa di giustizia e amore, in una poesia che anziché accasciarsi nella sofferenza del vivere, si riempie di una possente nota di positività.