Ideatrice e conduttrice dello storico Bibliotekë, il programma interamente dedicato ai libri e agli scrittori, Arta Marku è un’apprezzata giornalista albanese. Una produzione letteraria bistrattata quella in cui ha creduto, sottovalutata dagli stessi lettori, che per lungo tempo, non hanno apprezzato gli scrittori albanesi.
Oggi le cose sono cambiate, con una buona rivalutazione delle pubblicazioni del territorio e sicuramente un contributo notevole lo si deve al suo Bibliotekë, anche se Arta, con molta modestia, non lo ammette e preferisce continuare a parlare dei suoi amati strumenti di lavoro: i libri e la penna.
Chi è Arta Marku?
Sono una giornalista che si occupa di cultura da circa trent’anni. Ho iniziato nel 1993, scrivendo articoli culturali inerenti al mondo del teatro, della musica, dello spettacolo e dedicandomi, in maniera particolare, a quello dei libri. Diventare giornalista ha costituito la realizzazione di un sogno, provenendo io dagli studi di architettura. Nonostante la formazione fosse tecnica, il mio desiderio di realizzazione è da sempre stato rivolto verso la scrittura; una concretizzazione trovata, inizialmente, negli articoli di giornale. I miei compagni di corso, ancora oggi, mi ricordano di quanto fossi dedita alla lettura e di quanto parlassi con passione di libri. Ero una brava studentessa di architettura, ma ero molto più attratta dalla lettura e dalla scrittura.
Così, subito dopo la laurea, ho iniziato a scrivere per il giornale Koha Jone, che all’epoca era il più importante in Albania. I miei articoli venivano pubblicati su una pagina dedicata a due argomenti, lo sport e la cultura: quindi a me era riservata una mezza pagina e al mio collega l’altra metà. Il giornale era un bisettimanale, che nel tempo si è trasformato in un quotidiano, incrementando il numero delle pagine e di conseguenza lo spazio a mia disposizione.
La collaborazione con la televisione, invece, è nata per caso e diverso tempo più tardi, con il programma già esistente, Extra Tendencë, dove i personaggi più celebri venivano invitati per parlare della loro vita, delle loro passioni e del loro lavoro, presentandosi al pubblico a 360 gradi. Il giornalista presentatore dell’epoca, aveva deciso di lasciare la conduzione del programma e così hanno chiamato me. È stato questo il mio esordio televisivo, di cui ero ben felice, ma sapevo che non sarei rimasta lì per sempre. Infatti, sempre per caso, mi sono ritrovata alla conduzione del programma Biblioteca. Un’amica, Zana Çela, oggi direttrice del Teatro Nazionale dell’Opera di Tirana, era alla direzione di una piccola emittente televisiva, quando ha deciso di affidarmi la creazione di un nuovo programma: ho ritenuto interessante realizzare una trasmissione incentrata sulle interviste agli scrittori e così, nel 2004 è nato Biblioteca, che è rimasto in vita per soli due anni e mezzo. La direzione dell’emittente, a un certo punto, ha ben pensato che i libri e la televisione potessero non andare d’accordo. Ho provato, così, a cercare di collocare il programma su altre stazioni televisive, ma senza successo. Per questo, sono tornata a scrivere per i giornali e per le riviste, sempre in riferimento alla cultura e tenendo i libri come punto fermo di interesse. Finalmente nel 2014, la televisione nazionale ha deciso che Biblioteca poteva riprendere a vivere.
Intervista ad Arta Marku
Arta Marku è associata a Biblioteca: interagendo di persona o sui social, si evince questo. Un programma che hai strutturato tu e che nasce con te. Con quale obiettivo?
Sono felice di essere associata al programma. Credo che questo accada, perché in Albania, la mia è l’unica trasmissione totalmente dedicata ai libri e questo non è, certamente, un dato positivo. L’idea di Biblioteca nasce con l’obiettivo di valorizzare gli scrittori albanesi: spesso, ho sentito parlare male dei nostri autori, considerati, dai lettori, di scarsissima qualità. Molti hanno rifiutato di leggere volumi di scrittori albanesi, preferendo i libri tradotti. La scrittura veniva valutata vecchia e noiosa, tanto che gli stessi librai rifiutavano i loro testi, adducendo la scusa di non avere posto sugli scaffali.
Ho sempre pensato che non fosse corretto e che gli autori albanesi fossero bravi, come tutti gli altri colleghi e per questo, ho voluto fare qualcosa per loro; volevo lanciare un messaggio e far capire, che anche questa voce poteva essere valida. Così, è nato Bibliotekë , che da sempre ospita gli autori albanesi e anche i libri tradotti, quando ne vale la pena. L’obiettivo della trasmissione è quello di sottolineare come la letteratura albanese abbia gli stessi diritti di quella internazionale.
Da cosa nasceva questa convinzione da parte dei lettori?
Proprio oggi ho intervistato Brizida Gjikondi, la traduttrice del libro Su gli Albanesi di Vincenzo Dorsa. Egli è un arbëresh che ha vissuto nell‘800 e ha scritto libri sulla storia e la lingua albanese. In un articolo pubblicato sul giornale “Calabrese” scrive: “Lo studio delle cose proprie da taluni si prende a sprezzo. Io lo capisco – Eglino infetti da quel morbo che tanto avvilisce il volgo degli uomini, per cui non vede oltre la spanna, ad un debil bagliore delle cose straniere vengono subito affascinati, onde poi credono che ciò ch’è lontano interessa sempre più di ciò che è vicino. Il buon Diogene che filosofava per abito in ogni suo detto, dimandato quali fossero le cose migliori del mondo – quelle che vengon da fuori, rispose”.
Trovo che questo pensiero sia profondamente giusto. In verità, gli albanesi hanno sempre dato poco valore alle cose del proprio territorio e tanto a quelle provenienti dal mondo esterno. In qualche modo, si sono mostrati spesso esterofili. Inizialmente, ho pensato si trattasse di un tratto distintivo di questo popolo, ma dopo aver letto Dorsa, ho iniziato a pensare che questa sia una caratteristica universale.
L’altro mio pensiero va a noi lettori, che durante il regime siamo stati costretti a leggere libri del realismo socialista, sin troppo schematici e per ben 45 anni. In virtù di questo, quando abbiamo avuto la possibilità di fare un confronto con i grandi della letteratura estera, come gli scrittori russi, gli italiani, i francesi, gli americani e i latinoamericani, si è palesata ai nostri occhi la povertà della letteratura albanese della seconda metà del XX secolo (si dice spesso che l’eccezione confermi la regola).
Qui risiede, a mio avviso, l’inizio del divorzio dei lettori dagli scrittori albanesi.
Le cose, per fortuna, sono cambiate.
Il tuo amore per la penna, non si palesa solo con gli articoli, ma anche con i libri. Come nasce Arta scrittrice?
La parola scrittrice, secondo me, è molto grande: io sono giornalista. Una mia amica e anche tua amica, Mimoza Hysa dice sempre che “Arta ha bisogno di una storia reale per scrivere”. È vero, io non sono capace di inventare storie, di fare fiction. Del resto, ripeto, mi ritengo più una giornalista che una scrittrice. Ho sempre scritto, anche quando ero piccola scrivevo poesie, per esempio. Amo scrivere, non importa se si tratta di articoli, di saggi, o di racconti.
Due parole sul rapporto tra la letteratura e i lettori di oggi.
Io penso che la letteratura oggi sia moderna. Negli ultimi anni sono nate nuove penne come Tom Kuka, per esempio, che potrebbe essere identificato come autore internazionale, visto lo spessore della sua scrittura. Come in tutti gli altri posti, anche in Albania ci sono scrittori validi e non validi. Senza dubbio, i lettori albanesi hanno iniziato ad apprezzare anche la nostra letteratura.
Con la tua iniziativa televisiva, pensi di aver contribuito a questo cambiamento di prospettiva?
Non credo. Penso che sia cambiata la letteratura. Si è fatta più contemporanea, più interessante, superando tutti i limiti imposti dal realismo socialista, che come accennavo sopra, ha veramente operato un enorme distacco tra il lettore e lo scrittore.
Facciamo una veloce panoramica delle tue opere pubblicate in Albania?
Ho pubblicato Kthinat e kujtesës, (Gli angoli della memoria, Ombra GVG, 2014), un’antologia di racconti, che raccoglie le storie di sei personaggi pubblici albanesi. Sono sei vite che mi hanno colpito, che mi hanno lasciato un segno. Figure che ho intervistato per i giornali, come Edi Luarasi, un’attrice molto conosciuta in Albania, Margarita Kristidhi una pianista e Maks Velo, architetto e pittore, Anida Take cantante, Kel Kodheli pittore, Maja Laurasi insegnante di lingua inglese, proveniente da Rusia e spostata con celebre traduttore Skënder Luarasi. Persone singolari, ognuno con un’esistenza caratterizzata da importanti elementi. Alcuni sono stati perseguitati dal regime, come il regista Mihal Luarasi e la moglie Edi Luarasi e Maks Velo. Ho scritto le storie di questi personaggi, inventando solo poche cose.
Ho poi pubblicato un’ampia intervista a Besnik Mustafaj, Letrat e mia kredenciale (Le mie lettere credenziali, Toena 2018) e da poco Dhomat pa mure (Le camere senza muri, Toena 2021), in cui ho raccolto le interviste a diciassette scrittori albanesi contemporanei, ognuna associata a un saggio, in cui ho espresso il mio punto di vista sull’autore e la sua opera. Il libro è stato pubblicato in concomitanza con l’ultima fiera del libro di Tirana.
A proposito dell’ultima fiera, cosa ne pensi del premio dato a Virgjil Muçi come miglior autore dell’anno?
Non ho mai letto nulla di Virgjil Muçi, non saprei.
Ora vorrei scambiare due chiacchiere con Arta giornalista: com’è la tua Albania, oggi?
L’Albania di oggi, come quella di ieri è il posto dove ho deciso di vivere e dal quale non ho mai pensato di voler andare via. Ho sempre voluto vivere qui. È un Paese che amo, così com’è, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Penso che da noi, ci siano diverse cose interessanti, perché l’Albania non è mai un’acqua ferma.
Ogni giorno accade qualcosa. Purtroppo, l’importanza della cultura è sottovalutata, gli scrittori e gli artisti non vengono considerati e la tendenza è quella di dare maggiore importanza ai politici e alla politica e a tutto quello che è apparenza, come lo spettacolo e la moda. Penso, però, che questo accada ovunque, non solo in Albania.
Se oggi avessi il potere di cambiare quello che vuoi nel tuo Paese, cosa cambieresti?
Cambierei tante cose. Per esempio, in questi ultimi anni, in particolare, si sono palesati tantissimi problemi legati alla mala sanità. Infondo, la salute è la cosa più importante per un uomo e qui ci sono serie problematiche che riguardano gli ospedali, le medicine e i medici. Certo, cambierei tante cose, potrei fare l’elenco, ma la prima cosa che mi viene in mente è la sanità.
Cosa senti di non aver realizzato e che, magari, non potrai più realizzare e in cosa, invece, ti stai impegnando al fine di poterla concretizzare?
Mi viene in mente un’espressione “Noi facciamo piani e Dio ci scherza sopra”. Non so se pianificare sia giusto. A me piace fare le cose che mi fanno stare bene. Mi piace preparare un’intervista, mi piace scrivere un articolo. Quando lavoro, non penso a tutto il resto. Quando preparo l’intervista con uno scrittore, sono in quella situazione, quando leggo un libro, sono nel mondo di quel testo, sono con i suoi personaggi e con le loro storie. Sono momenti per me bellissimi. Quindi, non penso a pianificare, soprattutto a lungo termine. In questo periodo, per esempio, sto preparando la pubblicazione di un libro di mio marito e sono nel mondo che ha creato lui. Gëzim ha portato avanti uno studio sui monumenti dedicati a Scanderbeg e mi piace il lavoro che sto svolgendo ora. Non so cosa farò tra un mese.
Hai voglia di fare un accenno al mondo creato da Gëzim Qëndro?
Gëzim era uno studioso d’arte. Era un professore di lingua visuale e filosofia d’arte in diverse Università. Lui ha studiato tanto, ma è riuscito a pubblicare solo due libri. Gli altri studi sono tutti nel computer, non sono finiti. Diversi suoi articoli, invece, sono stati pubblicati su alcune riviste italiane.
Di tutte le interviste, quali sono quelle che più ti hanno colpito?
Non riesco a parlare di una sola intervista, ma sicuramente quelle agli scrittori sono le più interessanti, perché essi raccontano la storia, che gli altri desiderano leggere e comprendere. Narrano nei libri, nelle storie, nei romanzi, nei saggi e ciò che “resta” lo raccontano nelle interviste che rilasciano.