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Intervista a Gentiana Minga, la narratrice di poesie

Anna Lattanzi Anna Lattanzi
30 Agosto 2022
Proposta 4 (2)

Laureata in Letteratura e Lingua Albanese presso la Facoltà di Storia e Filologia dell’Università di Tirana, è stata insegnante di lingua e letteratura albanese e per diversi anni bibliotecaria presso la Biblioteca Pubblica di Durazzo.

Ha collaborato come corrispondente per la testata albanese “Koha Jone”. Ha tradotto e pubblicato testi di diversi autori, tra cui Pier Paolo Pasolini, Corrado Alvaro, Luis Sepulvelda, Norbert K. Caser. Oggi è un’apprezzata voce della poesia e i suoi contributi si trovano sulle riviste culturali più lette.

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Pubblicazioni

Autopsia e shkatërrimit / Autopsia del disastro ( genere -narrazione), Europa, Tirana , 1993; Zonja e Shkodrës / La signora di Scutari (genere – poesie), Florimont, Tirana, 2003; Ciao mamma, un saluto da Bolzano (genere-poesie), Terra d’Ulivi, Lecce, 2017 : Tempi che sono/ Zeiten wie/ Kohe qe jane -(genere – poesia trilingue italiano-albanese-tedesco), Terra d’Ulivi, Lecce, 2021. Spaziergänge, Der Gang der Autochtonen, Eine Platz für die, die plötzlich liegen, in “Lichtungen- Zeitschrift fur Literatur Kunst und Zeitkritik”, nr 157/2019, pp. 74-77; Pais remoto/ un lugar para los reclinados repentinas/ Hola mamà un saludo desde Bolzano in Aerea,(Pais remoto, muestra de poesìa albanese), Ril editores, Santiago de Cile, 2020,pp. 189-192. Ky është cepi që dua më shumë in AA.VV., Lyrischer Wille, poesie einer multilingualen Gesellschaft”, Foglio Verlag 2018, pp.74; Se fossi Narin, Finchè arriva il giorno, in AA.VV., Sotto il cielo di Lampedusa II, Nessun uomo è un isola, nota introduttiva di Gino Strada, Rayela,
2015, pp. 53 e pp. 109; Donne combattive e solitarie (reportage) in AA.VV., Donne d’Albania- tra migrazione, tradizione e modernità, a cura di Rando Devole e Claudio Paravati, Com Nuovi Tempi, 2017; Ciao mamma…, in AA.VV., Matrilineare, Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta a oggi, La Vita Felice, 2018, pp.78; Il tuo naso, nel suo giallo Giulio in AA.VV., Poesia (urgente) per Giulio Regeni, Rayela, 2019, pp.88; Sie beide allein in AA.VV, “ Literatur sichten: Sudtirol Alto Adige ‘ alto fragile’, Eine Anthologie. Jahrbuch 15, Literaturhaus Liechtenstein” (Foglio Verlag,2021); Un grembo di fiore tra le crepe in AA.VV “Confine Donna: Poesie e storie di emigrazione”, ed. Vita attiva nuova Poien, 2022; Emozioni in versi in AA.VV “Donne d’Albania in Italia: Riflessioni, testimonianze, emozioni”, ed. Com nuovi tempi, 2022.

Intervista a Gentiana Minga

Vivi e lavori a Bolzano. Come e perché dall’Albania arrivi in Italia?

Suppongo che dopo il grande cambiamento del 1991, in pochi siano rimasti immuni all’incanto di oltrepassare la gabbia. Qualsiasi cosa che venisse da fuori ci incuriosiva freneticamente; abbiamo trascorso la nostra adolescenza collezionando le figurine dei cantanti di Sanremo, dei Beatles, i cartoncini delle saponette Lux, i testi tradotti di Arthur Rimbaud, le musicassette di allora con le canzoni di Battisti e di Dalla.

Per noi tutto questo arrivava da un paradiso terrestre. Lo ha spiegato molto bene Ardian Vehbiu nel suo libro Cose portate dal mare.  Chi non vorrebbe andare a vedere il paradiso, anche se questo significasse lavori umili, pregiudizi assurdi e  sberleffi alle nostre spalle? L’emigrazione albanese degli anni Novanta e in particolare quella femminile è stata questo, soprattutto a livello culturale. La maggior parte delle donne che saliva sulle navi in preda a emozioni contrastanti, colme di ansia ma altrettanto determinate, aveva un livello d’istruzione medio-alto e in questa fuga, più che agganci economici, vedeva la possibilità di un miglioramento del suo background, l’opportunità di conoscere e acquisire quella che veniva considerata la vera libertà. Vi era la necessità altrettanto forte di assaporare altre culture, altri valori.

In Italia sbarcai un giorno d’estate, da clandestina. Mio padre, il capitano della nave, mi mise dentro la sua camera appena prima del calare della notte. Per ben due volte fui costretta a rifugiarmi in un nascondiglio, un buco triangolare situato subito dietro il suo armadio: prima di partire e appena prima di avvicinarci al porto di Gallipoli. Verso mezzanotte uscii dal mio nascondiglio per cenare, per poi tornare a dormire un paio di ore. Mi sedetti sul letto di mio padre, davanti a un piatto bianco appoggiato su un tavolo minuscolo. Masticavo lentamente e guardavo fuori dall’oblò: non si vedeva niente. Si udiva solo il rumore della nave che avanzava e un leggero soffio, come un mormorio.

Ricordo di aver mangiato riso bianco e salsicce: avrei descritto la pietanza molti anni dopo :”Bocche fragranti di gigli salati.” da (“Ciao mamma, un saluto da Bolzano” ; ed. Terra d’Ulivi, 2017). Oggi, il ricordo di mio padre che passeggiava agitato per tutta la notte senza chiudere occhio, mi infonde un senso di colpa bruciante. Mi pare che non camminasse, ma traballasse, funereo come un corvo, tra l’albero della nave e la camera. Ogni chilometro di mare l’allontanava da me e io non riuscivo a essere triste per lui. Scesi a Gallipoli, come se stessi andando a fare una breve passeggiata per sgranchirmi le gambe. Per non destare sospetti non abbiamo potuto abbracciarci, cosa che abbiamo fatto a distanza di due anni.

Quando nasce il tuo amore per la scrittura e perché la tua vena letteraria è orientata prevalentemente verso la poesia?

Quando scoprii l’esistenza della morte: credo sia accaduto dopo aver visto per prima volta L’Ulisse, la mia produzione preferita tutt’ora, quella del 1968. Vi è un passaggio in cui appare la bella e pallida figura di Bekim Fehmiu (Ulisse) mentre scende nel regno sotterraneo dell’Ade, alla ricerca dello spirito dell’oracolo Tiresia. Noi moriamo, mi sono detta. Io morirò! Ai tempi, questo mi sconvolse assai ed ero già una bambina impaurita dallo stesso vivere. Da allora, mi sono interrogata spesso sul perché della scelta dei miei genitori di scaraventarmi, con l’inganno (pensavo), in questo mondo insicuro.

La scrittura diventò un forma per scongiurare o ingannare la morte. Col passare del tempo diventò un bisogno per raccontare altre possibilità di vita, per testimoniare il momento che sfugge e non si ripete, per narrare lo sforzo cieco del cuore di comprendere l’anima. Infondo, ho capito che senza il ricordo della morte non avrebbe senso nessun passaggio della vita. In merito alla domanda circa la mia vena letteraria poetica, credo che abbia a che fare con la lingua italiana, in quanto per me lingua straniera. Prevalentemente, amo scrivere romanzi; la mia prima pubblicazione (1993) è stata una raccolta di racconti e la stragrande maggioranza dei miei contributi pubblicati in varie riviste letterari albanesi, sono racconti.

Ho sperimentato qualche pubblicazione in prosa in varie antologie di narrativa italiana, ma l’autore straniero spesso non viene preso sul serio dalle case editrici piccole e medie. Per poter scrivere tranquilli, senza il peso della lingua seconda, dobbiamo avere la certezza che qualcuno della redazione prenda sul serio le correzioni, dedicandosi all’editing dei testi.

Mi riferisco naturalmente, a quei testi laddove si intravedono la bravura, la bellezza e la qualità. Solo una minoranza ha la possibilità di vedere pubblicato il proprio testo dalle casi editrici note, ma questo non dovrebbe essere un ostacolo alla pubblicazione con editori minori, senza scalfire la dignità della scrittura. Con la poesia il problema si presenta in maniera più flebile; ironicamente, potrei definirmi una narratrice di poesie.

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Parliamo della tua ultima pubblicazione Tempi che sono… Hai fatto delle scelte ben precise: ti sei ispirata a un delicato fatto di cronaca, hai suddiviso il testo in quattro sezioni inserendo la doppia traduzione. Perché?

Anthony, il bambino di cinque anni della Sierra Leone, è stato ritrovato solo e semi-assiderato in un freddo lunedì mattina, sotto il vagone di un treno merci in sosta al Brennero e a salvarlo è stato il suo pianto disperato. È una storia quasi personale: il piccolo vive a Bolzano, lo vedo, ogni tanto, recarsi a scuola con il suo zainetto sulle spalle nere e magre. La seconda mamma, quella che lo ha adottato, è una mia cara amica e si chiama Antonella. La sua sopravvivenza è stata per me una boccata d’aria, in un periodo in cui vivevo in uno di quei soliti buchi neri, che arrivano quando metti in dubbio te stesso, l’umanità, il senso della resilienza. Oggi, penso che niente succeda per caso e che tutto giri attorno a un disegno ben preciso.

Una mia amica mi diceva una volta, ridendo: “Anche la mia insignificante vita sicuramente avrà un senso. Il fatto che all’incrocio con Via Palermo e Via Milano, io scelga quest’ultima, può darsi che sia per cambiare il destino a un qualche altra forma di vita. Tipo, non dover schiacciare accidentalmente una fila di formiche!”.

La pubblicazione in doppia traduzione è stata una scelta mirata: quella in albanese, per dare la possibilità agli studenti di lingua albanese di godere la loro lingua e mettere in gioco le traduzioni con i loro amici di altre lingue. Per quanto riguarda la scelta del tedesco, certamente ha prevalso il normale desiderio di essere letta anche dai miei concittadini e autori di lingua tedesca. Negli ultimi anni, alcune poesie e un racconto sono stati pubblicati in tedesco da un paio di riviste austriache: pare che siano piaciuti, e come si sa, a noi artisti basta anche una piuma per farci credere di volare.

La poesia è spesso identificata come una delle più alte espressioni letterarie, custode di memoria e sentimento. Nei tuoi versi le emozioni corrono a briglie sciolte, cosa che non sembra valere anche per la memoria o quanto meno non si coglie in maniera così evidente. Perché?

Che bella domanda! Ma è un quesito al quale non so rispondere. Può darsi che la mia memoria sia solo emotiva, che “discrimini” quello che il cuore trova futile, togliendo quello che ritiene dannoso. Non lo so. Un caro amico, l’autore Arian Leka, definisce i miei versi una forma di Jazz. Io non amo il Jazz, mi sembra una musica senza musica. Credo che sia per tutti così, almeno per chi si impegna a scrivere testi poetici, facendosi trascinare da emozioni scaturite da memorie senza viso.

Come si relazionano il poeta e la poesia nella moderna società, dove sembra esserci costante comunicazione, in realtà, molto spesso effimera?

Le società di oggi, che più che moderna definirei traballante e instabile, ha poco tempo per leggere e ancor meno per leggere poesie. In tanti scrivono i propri versi e leggono poco o niente quelli degli altri; sono tempi che svalutano crudelmente tutto ciò che non produce liquidità e consumo. La poesia, peggio dei romanzi, viene considerata infruttuosa: eppure un bel componimento poetico può avere un elevato significato sociale, può puntare il dito, può proporre “battaglie” nuove e strade innovative da percorrere.

Sono stati i testi delle canzoni di Sixto Rodrigues ad aver cambiato la vita di migliaia di giovani del Sudafrica; i suoi canti hanno spinto, mentre Mandela era in prigione, alla formazione di un gruppo rock anti-sistema ispirato proprio a lui. Ho letto casualmente una poesia assai graziosa di Manolis Anaghnostakis e ho messo da parte questi versi : se credi che io non sia giunto tardi ancora una volta/ mostrami una strada. Tu che almeno sai com’io cerchi un nulla per avere fede e morire.

Cosa puoi dirci di Mahmudu, il tuo racconto breve? Mi sembra ci sia tanta poesia anche qui.

Il racconto di Mahmudu l’avevo totalmente dimenticato: grazie per averlo menzionato. Credo di averlo scritto molti anni fa, dieci forse. Mi sono molto divertita a provare a narrare in italiano, considerandolo come un esercizio. Rileggendo il racconto, dopo tanto tempo, mi sono accorta di aver commesso svariati errori grammaticali: purtroppo, è stato pubblicato così.

Mahmudu è un amico, oltre che essere il presidente dell’associazione dei mediatori culturali “Porte Aperte” di Bolzano. Una sera, dopo aver sentito una storia terrificante, per un secondo ho avuto il dubbio, che sì, forse sì, pur essendo un mio amico, Mahmudu in un giorno maledetto, o perché stanco, arrabbiato, o semplicemente affamato, mi avrebbe potuto spellare per bene, facendomi a pezzi: una coscia qui, un seno là, un dito, il naso!

Dopodiché, in tempo record li avrebbe stipati in sacchettini di plastica, per poi, quando negli uffici non ci fosse stata anima viva, portarli a casa per infilarli dentro il congelatore, per consumarli nei giorni festivi. Il pensiero mi ha fatto ridere e mi sono divertita quando ho scritto la storia, che però mi ha fatto molto riflettere.

Puntiamo a cuor leggero il dito contro i nostri simili accusandoli di sentimenti razzisti, ma in tutti noi giace l’assopita paura dell’altro e a volte basta poco, un pelo, un pensiero grezzo di un signore al bar, un fatto banale di cronaca nera, per far sì che si desti. Nessuno è immune. Mi dici che anche qui c’è tanta poesia, il che mi fa pensare che forse è questo il mio stile.

Ti pongo una domanda di rito: ti manca l’Albania?

Mi manca l’Albania che non c’è mai stata: romanticizzata dall’infanzia, dai racconti dei vecchi, abbellita in lontananza dalla nostalgia.

Due parole sul futuro della poesia, secondo te

Negli ultimi tempi sto rileggendo poeti che amo. Pasolini, Neruda, Montale, Darwish, Hikmet e attualmente sto leggendo a tratti Handke. Ogni volta che mi immergo nella buona poesia, sento di poter essere migliore. Ora, dico, tale poesia può cambiare l’attimo, l’attimo cambia altri attimi, diventando ore, tempo. Il tempo così modificato spinge a diventare umili e curiosi, intuitivi come bambini. E mai come oggi, c’è bisogno della purezza e l’energia della fanciullezza per le nostre anime invecchiate e le menti consumate da un ritmo feroce. Il futuro della poesia deve essere il futuro del vincitore, del bambino che: “Quando era bambino, non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un’anima e tutte le anime erano un tutt’uno” (Pater Handke “Elogio dell’infanzia”).

Argomenti: Gentiana Minga
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