La professoressa Klodeta Dibra ha ricoperto importanti incarichi in ambito universitario, nelle funzioni di Decano della Facoltà di Lingue Straniere e in qualità di Componente del Senato Accademico dell’Università di Tirana. È stata Presidente del Consiglio di Facoltà di Lingue Straniere, nonché Preside del Dipartimento di Lingua Italiana e della Facoltà di Lingue Straniere.
Molti dei suoi articoli sono stati pubblicati su riviste scientifiche: è autrice di diversi testi accademici, di monografie e di dizionari. Ha dato e continua a dare un grande contributo alla letteratura, traducendo, in lingua albanese, noti autori italiani come Carmine Abate, Dacia Maraini, Oriana Fallaci, Mario Luzi e tanti altri. È coinvolta in numerose attività inerenti progetti nazionali e internazionali.
Ho incontrato Klodeta Dibra in occasione della Fiera del libro di Tirana 2023 e abbiamo dialogato sulle recenti traduzioni, sull’amore per il suo lavoro e per le grandi autrici italiane. Buona lettura.
La traduzione del romanzo di Grazia Deledda è uno dei tuoi ultimi lavori…
Sì, ho tradotto Marianna Sirca, recentemente pubblicato dalla casa editrice Albas. L’anno scorso, invece, mi sono occupata di un altro bel volume della Deledda, La Madre, mentre due anni fa ho portato in Albania due raccolte di Alda Merini, Confusione di stelle e La Terra Santa. Quest’ultima è considerata, dalla critica italiana, l’opera più importante della poetessa milanese.
In realtà, è da un po’ di anni che mi occupo di traduzioni. È mia, anche, la trasposizione in albanese de L’età del malessere di Dacia Maraini, come quella de La moto di Scanderbeg di Carmine Abate o Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci. Vorrei ricordare anche la traduzione di racconti e novelle di Luigi Pirandello e di altri autori italiani. Negli ultimi tempi, esattamente negli ultimi tre anni, mi sono dedicata a Deledda e a Merini, delle quali sono profondamente innamorata.
Conoscevo già la scrittrice meneghina quando ho tradotto alcune sue poesie, che ho pubblicato sui miei canali social. I lettori albanesi hanno amato leggere quei versi carichi di sofferenza. Sappiamo che avvicinarsi alla poetica di Merini significa soffrire, sia che la si legga, sia che la si traduca.
L’approccio con l’opera di Grazia Deledda è avvenuto durante il mio percorso di studi universitario: a dire il vero, avevo letto molto poco di questa autrice, perché era stato tradotto un solo suo romanzo, Canne al vento e per giunta tanti anni fa. Pertanto, è (ancora) un’autrice poco conosciuta in Albania, come, sfortunatamente, non è molto amata dalla critica italiana. Il fatto che sia stata l’unica scrittrice a essersi aggiudicata il Nobel per la Letteratura, ha stimolato la mia curiosità nei suoi confronti.
In Italia, purtroppo, Grazia Deledda rientra nella rosa delle scrittrici dimenticate…
Infatti. Ottenere il Premio Nobel nel 1926, dieci anni prima di Luigi Pirandello che, a quei tempi, era il sommo scrittore della letteratura italiana, mi ha spronata a voler capire cosa ci fosse di speciale in Deledda. Sin dalle prime letture, mi ha affascinata il suo stile e la dovizia di particolari che lo caratterizza: quando la sua penna delinea le scene, sembra quasi che disegni un quadro, utilizzando le parole.
Di fronte a un realismo così forte, il desiderio di tradurre è sorto spontaneo. Non è stato un lavoro semplice, perché non si tratta di un’autrice facile, tenuto conto che parliamo di opere scritte più di un secolo fa. Come è naturale che sia, la lingua si evolve e con essa le preferenze dei lettori: quella che non cambia, è la bravura di una scrittrice autodidatta, che ha avuto la maestria della scrittura, in storie sempre attuali, come quella che anima La Madre. I grandi scrittori e le grandi scrittrici non hanno tempo. Sono certa che Grazia Deledda e Alda Merini, come altre grandi letterate, (sono appassionata della letteratura di fattura femminile), sicuramente riacquisteranno quello che meritano nel panorama della letteratura italiana.
In base a quali criteri scegli le opere da leggere e di conseguenza da tradurre?
Ho tradotto la Deledda perché ho voluto far conoscere, al pubblico di lettori albanese, una scrittrice grande di per sé e il messaggio trasmesso tramite i suoi scritti.
Non scelgo a caso le letture e le opere sulle quali lavorare. Intanto, mi rifaccio allo scrittore, al successo che ha più o meno avuto negli altri Paesi e nel suo di origine; cerco di capire come è stato accolto dal mondo culturale. Quello che, però, mi interessa, sopra ogni cosa, è il messaggio che il suo libro contiene, a partire da quello linguistico, perché, in qualità di traduttrice, sento il dovere di arricchire la lingua albanese. Sicuramente la traduzione di un’opera nuova, che entra a far parte del nostro patrimonio culturale, non solo fa conoscere uno scrittore o una scrittrice italiani, ma dona qualcosa che la nostra letteratura non è riuscita a produrre. Questo vuoto andrebbe riempito anche con la cultura proveniente da altre nazioni.
Quanto è stato difficile tradurre le poesie di Alda Merini?
Tradurre la poesia comporta una sfida per qualunque traduttore e io sono un’amante delle prove più ardue. Come ho anticipato, non ho tradotto subito la raccolta, ma alcuni singoli pezzi appartenenti ad antologie diverse. Questa esperienza mi ha fatto capire che la Merini va compresa prima come donna e poi come poetessa, per essere ben tradotta.
Se non ne conosci la storia, se non fai tua la sua sofferenza, se non sai quello che ha dovuto sopportare, non puoi capire la sua poesia. Motivo per cui, ho letto e riletto i suoi libri, per comprendere al meglio il lessico, le metafore, (i suoi componimenti sono ricchi di simbolismi), e se sarei stata in grado di trasmettere, in albanese, i contenuti espressi così bene in italiano.
Mi sono subito resa conto di essere di fronte una prova difficile, ma non impossibile da superare. Per la decisione finale mi sono affidata molto alle impressioni dei lettori. A quei tempi, avevo pubblicato due mie raccolte di poesie, o meglio dire, di versi metafisici: ci tengo a precisare che non mi giudico una poetessa, bensì una persona che ama mettere nero su bianco quello che ha dentro. Il riscontro, da parte dei lettori, mi ha illuminato su tutto quello che, scrivendo, non sapevo di aver lasciato nelle mie parole. Così ho fatto anche per queste prime poesie tradotte: ho dato credito alle opinioni di chi le ha lette.
Voler arricchire la nostra lingua, che, come sta succedendo per gli altri idiomi nel mondo, sta perdendo parte del suo valore a causa della globalizzazione, per me è passione e rappresenta un obiettivo da raggiungere: amo molto giocare con i termini per abbellirla e renderla ben strutturata.
Mi ha molto aiutata, nel percorso di comprensione della Merini, la brava poetessa albanese Ermina Ymeraj, che ha effettuato il lavoro di redazione del testo: penso che l’occhio e la mano di chi ha a che fare quotidianamente con i versi, permettano alla lirica di conservare la forma originale, anche se tradotta. Non è stato semplice, ma mi sono divertita tantissimo e sono molto felice, perché le opere, in Albania, sono state accolte benissimo. L’antologia La Terra Santa, edita dalla casa editrice Ombra GVG, è stata tradotta in dialetto ghego, una lingua molto elaborata.
Come mai questa scelta?
Il ghego, per eccellenza, è una parlata molto melodiosa, armonica e dona una tonalità e una musicalità che non si ritrovano nella lingua standard. Sono stati i lettori, con i loro feedback, a darmi l’imput di tradurre in dialekti gegë.
Da quanto tempo traduci?
Da tantissimi anni, ormai. Sono una docente universitaria da trentacinque anni, oltre che linguista e autrice di testi accademici e di monografie. Mi occupo di lessicografia, ho scritto articoli, ho elaborato dizionari (anche in questo periodo sto lavorando su un vocabolario) e la traduzione è uno dei lavori che svolgo parallelamente alla mia professione. Mi dà una grande soddisfazione e sono felice per il contributo che posso offrire alla cultura albanese, attraverso quella italiana che mi sta particolarmente a cuore. Il mio mestiere si è sempre più legato, negli anni, alla cultura e alla lingua d’Italia e quindi, sento maggiormente il dovere di diffondere e di trasmette il messaggio agli albanesi, con particolare attenzione ai giovani, affinché possano amare il patrimonio culturale del Bel Paese.
Quale autrice italiana non hai ancora tradotto e ti piacerebbe portare in lingua albanese?
Sicuramente Elsa Morante. Ho già tradotto alcune sue poesie e la ritengo una grande voce della letteratura. Mi piacerebbe tradurre scrittrici classiche: esistono nomi che non muoiono mai. Interessante, per me, rimane Carmine Abate, sui cui libri vorrei ancora lavorare, in quanto è uno dei pochi arbëreshë che scrive e come lui stesso dice: “esiste la lingua del cuore e quella del pane.” Quest’ultima è l’italiano, quella del cuore è l’arbëreshe. Ritengo sia un autore che meriti più attenzione. Mi piacerebbe riprendere Pirandello, nonostante sia tra i più tradotti. A me piace la bella letteratura, quella che trasmette messaggi. Non basta saper tradurre: bisogna avere la capacità di cogliere il senso dell’opera e di portarlo nell’altra lingua.