Shpëtim Selmani, scrittore e attore albanese del Kosovo, nasce il 16 maggio 1986. Consegue la laurea magistrale presso l’Accademia delle Arti dell’Università di Prishtina. Recita in spettacoli teatrali in patria e all’estero e riceve premi per la sua attività di attore. È un contributore regolare del blog alternativo S’bunker.
Ospite della residenza letteraria “Crocodile” a Belgrado nel 2014 e tre anni dopo accolto da quella albanese “Poeteka, Tirana in Between” a Tirana, partecipa alla Fiera del libro di Lipsia nel 2017. Scrive prosa e poesia: pubblica il libro Shënimet e një Grindaveci (Note arrabbiate) nel 2015 e una raccolta di poesie Poesie Scelte 2010-2017 – Poetry in Time of Blood and Despair (Multimedia, Prishtina) nel 2017.
Il suo romanzo Libërthi i dashurisë (Opuscolo d’amore) vede la luce nel 2019. Con quest’ultimo libro, tradotto in francese, tedesco e bulgaro, si aggiudica il Premio della Letteratura dell’Unione Europea 2020.
Nel 2023 Crocetti Editore traduce e pubblica Ballata dello scarafaggio.
Ho incontrato e intervistato l’autore in occasione della sua partecipazione alla XXXV Edizione del Salone del libro di Torino. L’interpretazione è stata di Anna Giulia Buonanno.
Perché decidi di scrivere Ballata dello scarafaggio?
Non esiste una ragione precisa. Forse, la motivazione è da ricercare in quello che da tempo si muove dentro di me. Vedo la letteratura come il mezzo per comunicare quello che mi porto dentro. Ci sono molte cose che mi agitano, che mi preoccupano e che ho trasferito nel libro. Scrivere mi ha aiutato a comunicare le angosce che albergano dentro di me.
Alcuni brani del libro sono molto forti, come quello in cui narri dell’umiliazione subita da tua padre per mano dei militi serbi. In realtà, si avverte un grande dolore in tutta la sezione dedicata alla tua infanzia e alla guerra del Kosovo. Hai fatto pace con il tuo passato?
No, non ho fatto pace. Non può accadere che io mi riappacifichi con il mio passato. Non posso essere in pace, perché è successo qualcosa che ha potentemente influenzato la mia vita e quella del mio popolo. Se devo essere sincero, io ancora adesso ho degli incubi relativi alla guerra, cosa che gestisco come parte della mia esistenza.
Noi non abbiamo avuto la possibilità di fare un percorso riabilitativo che potesse aiutarci a guarire dal trauma. Questo è il motivo per cui, per molto tempo, abbiamo avuto una maniera di comunicare aggressiva, della quale si faceva fatica a comprendere le origini. Io sono fortunato, ho la letteratura, un luogo in cui cercare e trovare la pace.
Narri, mantenendo un certo equilibrio, sia del Genocidio di Srebrenica, che delle vendicative violenze degli albanesi contro i serbi.
Non c’è nessun equilibrio in guerra. La guerra distrugge tutto quello che trova davanti. Il male non ha nazionalità. Oggi, i diplomatici e i politici si pongono in una posizione fatta di vittimismo. La nuova generazione serba non ha la più pallida idea di cosa sia accaduto veramente, perché i loro politici non dicono la verità.
Vorrei invitare i giovani serbi a parlare con me, per sapere cosa è successo realmente, cos’è veramente stato. Per questo, nel libro, ho raccontato del conflitto del Kosovo, guardandolo con gli occhi di bambino, privo di giudizio. Desidero precisare che non voglio fare la guerra a nessuno attraverso il mio testo.
Esatto, volevo dire questo. Esponi i fatti senza istigare a giudizi violenti.
Giusto, sì.
Pensi che i Balcani troveranno mai pace?
Sono molto scettico a riguardo. La vedo tanto difficile, considerati gli ultimi sviluppi dal punto di vista politico; inoltre è un conflitto che viene dai tempi della Jugoslavia, portando solo distruzione. Ancora oggi, in Serbia, si soffre per le conseguenze di quanto accaduto.
Una parte della comunità serba vuole la pace e capisce la realtà vera del Kosovo. I Balcani, però, continuano a essere una bomba a orologeria, che attende solo di esplodere, da un momento all’altro. Il problema più grosso è legato alla politica, la grande manipolatrice.
La gente è stanca, soprattutto la gente normale, anche se oggi è difficile essere tali. Si fa urgenza la necessità di superare tutto questo; sarebbe opportuno, che tutti gli stati appartenuti alla ex Jugoslavia trovassero il modo di vivere in pace tra di loro.
I confini sono un’idea assurda in tutto il mondo e anche gli stati, sotto un certo punto di vista, costituiscono un’assurdità. La gente è gente, le persone sono persone e dovrebbero essere tutte uguali: sono consapevole del fatto che la mia sia un’idea utopica, un pensiero illusorio, ma ci spero sempre. È il mondo la madre del terrore.
Nella prima parte di Ballata dello scarafaggio racconti il tuo essere marito, il matrimonio e la paternità. Parli di pura oggettività o esiste un riferimento al tuo percorso interiore?
È una parte di me, è la mia realtà. Non vedo la letteratura in altro modo.
Descrivi una quotidianità molto complessa…
Sì, è molto difficile essere marito e padre. Mi ha cambiato la vita e ne sono felice, però è ovvio che il tempo che riesco a dedicare alla scrittura è ridotto. Il bambino ha bisogno, ha tante necessità.
Il libro è costituito da tre sezioni, che racchiudono le mie tre identità: quella personale, quella di scrittore nei Balcani e l’individualità in una visione europea. Le persone non hanno solo una personalità e ho voluto farle emergere tutte, dando loro dei tratti distintivi differenti. Alla fine, solo l’identità nazionale risulta quella più problematica.
Hai più sentito Rudmilla?
Sì, certo. Quando abbiamo avuto la discussione su zoom, di cui parlo nel libro, lei ha pensato a un fraintendimento e ha sempre cercato un altro confronto, proponendo degli argomenti che per me non avevano alcun senso. Sono convinto che il Genocidio di Srebrenica non abbia bisogno di una discussione. Non c’è nulla di cui parlare.
Specifico che non ho mai avuto nulla contro Rudmilla come singola persona. Il mio disappunto è sempre stato nei confronti del fenomeno collettivo. Non è solo la mia amica a non comprendere, è tutta la gioventù serba che non capisce. Non è colpa loro, perché vivono in un regime di propaganda molto negativa. Ancora oggi leggono le notizie, totalmente folli, che arrivano da Aleksandar Vučić, in cui credono.
Quest’ultima è una cosa, purtroppo, normale: se uno straniero, per esempio un italiano, leggesse tali dichiarazioni su un giornale, potrebbe pensare che siano vere. Sono talmente costruite bene, che difficilmente si capirebbe che si tratta del prodotto della propaganda.
Cosa speri che rimanga dopo la lettura del tuo libro?
Felicità, serenità. Dolore? Dolore bello, se ne esiste uno. L’importante è che nessuno pensi che sia stata una perdita di tempo e che se ne possa sempre trarre qualcosa.