Gazmend Kapllani, nato a Lushnje, Albania, nel 1967, immigrato in Grecia dal 1991, oggi è uno degli scrittori albanesi di maggiore spessore internazionale. Come ogni altro immigrato anche Kapllani si è trovato ad affrontare le difficoltà dell’immigrazione.
Ciò che lo caratterizza è la sua caparbietà, la sua determinazione di non lasciarsi vincere, di conoscere e di dare il proprio contributo in una realtà decisamente chiusa e carica di pregiudizi come quella ellenica
Laureatosi all’Università di Atene, dove è stato professore di cultura moderna albanese, è stato l’unico giornalista albanese che pubblicava i suoi articoli in una delle testate più conosciute della Grecia, Ta Nea.
Kapllani oggi vive a Boston, ed è professore alla prestigiosa Università di Boston.
Il lavoro dell’intellettuale è più impegnativo di quanto si pensi. Poiché l’intellettuale ha l’obbligo non solo di argomentare il suo pensiero ma anche di renderlo comprensibile a tutti senza offendere nessuno; il suo lavoro si fortifica anche con le offese che spesso gli giungono e dalle quali deve trovare la forza per andare avanti per la sua strada, per la sua missione di far parte in quella forza chiamata “comunicazione” che influenza il pubblico.
Una delle ragioni per le quali oggi Kapllani si trova negli USA è la violenza psicologica, verbale e fisica con la quale si è trovato a confrontarsi in Grecia, soprattutto da quando fu fondato il partito nazifascista “Alba Dorata”
Durante il suo tour in Europa, Kapllani si è fermato in Francia, Italia ed Albania. Dopo aver vinto il Premio letterario internazionale Città di Cassino , Kapllani ha partecipato al primo ciclo letterario “Autunno d’autore” organizzato dall’associazione Scanderbeg Parma presentando il suo ultimo libro “Breve diario di frontiera” edito da Del Vecchio Editore.

Kapllani ha conquistato l’attenzione della sala gremita di pubblico, con cui ha intrapreso una piacevole conversazione analizzando l’Europa di oggi senza tralasciare la parte psicologica che influisce nella società europea.
Una società sempre più in sviluppo e in trasformazione, ma che oggi appare non riconoscere le sue radici, la sua forza a livello internazionale ed il suo valore aggiunto che deriva dalla diversità di culture.
Sono riuscita a realizzare una breve intervista dove parlare non solo del suo libro ma anche della figura intellettuale e amichevole di Gazi.
Quando ci si trova davanti a figure di tale spessore ci si aspetta che siano chiuse nella loro realtà culturale. Si immagina sia impensabile creare un rapporto alla pari dove potersi rivolgersi con il confidenziale ‘tu’.
Ma Gazmend Kapllani (Gazi, come preferisce essere chiamato e firmarsi) è una persona determinata a portare avanti i suoi obiettivi nei quali ha investito tutto il suo credo su le sue potenzialità. Oggi è un professore universitario, uno scrittore, un giornalista e uno storico.
Nonostante la sua capacità di metterti a tuo agio, nel formulare le domande per questa intervista, il mio ruolo e la sua figura mi impongono di usare il cordiale ‘lei”.
Intervista con Gazmend Kapllani
La ringrazio sig. Kapllani per aver accettato di rilasciare questa intervista. Poche domande sulla sua figura e sul suo ruolo nella odierna società.
Un migrante che ce l’ha fatta. Ci sono altri progetti tra i suoi obiettivi?
Solone, uno dei saggi dell’antica Grecia, quando gli chiesero chi era l’uomo più di successo in questo mondo rispose: «Non cantiate lodi a nessuno prima che lasci questa terra».
Vi è una sorta di fatalismo mediterraneo in questa risposta. Se il successo di uno scrittore si misura con il successo dei suoi libri allora posso dire, soprattutto con il mio primo libro, di aver avuto un successo incredibile.
Per quanto riguarda invece l’immigrato non so proprio come rispondere. Tanti di loro ce la fanno, altri no, come capita a tutte le persone. La verità è che io ancora prima di emigrare avevo un forte credo, un po’ come quelle persone che si sentono eletti.
Sapevo che sarei diventato uno scrittore tradotto in più lingue. Su questo devo dire che almeno in parte ci sono riuscito. Ma, d’altra parte, soprattutto dopo il mio trasferimento negli Usa, sento di essere ancora agli inizi.
Non ho solo uno, ma tanti altri progetti nel cassetto. L’esperienza mi dice che alcuni non si realizzeranno e altri riuscirò a portarli a compimento.
Ho appena finito di scrivere il mio ultimo romanzo, questa volta scritto in albanese, si intitolerà “I keqi i vetes” (La terra sbagliata)

Le ragioni e l’occasione che hanno portato Gazmend oltre oceano gli hanno offerto anche la possibilità di conoscere una realtà, quale quella degli USA dove, indipendentemente dal passaporto che la persona possiede, la società premia i meritevoli.
Il passaporto è uno dei punti cruciali nel suo libro per la sensazione di (non) libertà che investe l’immigrato albanese. Potesse scegliere, il passaporto di quale Stato terrebbe con sé volentieri? Quello greco dove si è formato, quello albanese dove è nato ed ha nutrito i suoi sogni o quello USA dove vive oggi?
Il tema del passaporto è il tema dolente nella mia vita. Ovvio che, dopo 25 anni in Grecia, sarebbe stato logico che io fossi in possesso del passaporto greco. Ma non sono mai riuscito ad ottenerlo poiché sono nella lista nera dello Stato ellenico.
Negli ultimi dieci anni in Grecia ho subito sistematicamente minacce da parte delle strutture parastatali greche e neonaziste. Era diventata una situazione schizofrenica. Da una parte avevo un ampio consenso dal pubblico essendo praticamente l’unico giornalista straniero in Grecia con firma sulla maggiore testata nazionale, dall’altra mi sentivo persona non desiderata.
La ragione per la quale ho deciso di fermarmi negli Stati Uniti è stato soprattutto un segno di protesta contro la situazione che si era creata intorno a me. E poi un gesto di difesa, perché l’ascesa dei neonazisti di “Alba Dorata” fortemente correlati con lo Stato greco diventava sempre più minacciosa. Nel 2010 essi si sono espressi pubblicamente minacciando di liberarsi di me.
Tornando sul passaporto che sceglierei, debbo dire che in questo viaggio in Europa, l’unico passaporto che non mi ha tradito è quello albanese. Da questo punto di vista provo riconoscenza e sono felice di come negli ultimi anni sia diventato sempre più dignitoso, soprattutto da quando vi è la libertà di viaggiare senza l’obbligo del visto in Europa.
Sarebbe un grave sbaglio se dovessimo tornare indietro.
Ma, probabilmente il passaporto albanese non basta. Cosicché, tra qualche tempo, se tutto procederà come dovrebbe, avrò il passaporto USA.
È così che il passaporto degli Stati Uniti d’America sarà per Gazmend Kapllani, almeno per viaggiare, “il passaporto buono”.
Questa distinzione infatti lui la riporta nel suo libro come basilare. Poiché, per quanto un individuo sia bravo, rispettoso delle regole, sia volenteroso e carico d’affetto per il Paese in cui tenta di entrare, ai controlli doganali avrà l’attenzione rivolta a seconda del suo passaporto. Per chi ha quella albanese, nonostante le qualità della persona, il passaporto del Paese delle Aquile non ha ancora guadagnato l’aggettivo “Buono” Con quello USA Gazi vivrà sulla pelle la differenza ai controlli della polizia doganale.
Lei chiude il suo romanzo “Breve diario di frontiera” con una riflessione sul suo desiderio di vedere un giorno il mondo senza emigrazione. E nella stessa riflessione aggiunge che lo trova impossibile, poiché significherebbe aver vinto la fame.
Cosa pensa allora sia possibile fare per avvicinarsi al suo desiderio?
In effetti io vedo nell’immigrazione una parte fondamentale dell’avventura umana. Finché esisterà l’uomo esisterà anche il fenomeno dell’emigrazione. Non si potrebbe comprendere il mondo di oggi senza i millenni dell’immigrazione.
Ma dall’altra parte, se partiamo dall’esperienza albanese, le persone continuano a viaggiare perché credono di più nella bontà dei Paesi che scelgono piuttosto che in quella del loro stato d’origine.
È scioccante per me notare, ogni qualvolta ritorno in Albania, come tra dieci persone incontrate otto di loro vorrebbero emigrare.
E questo ha poco a che fare con la povertà ma piuttosto con l’ingiustizia che regna in molti casi.
Ciò che vorrei è che giunga un giorno in cui gli albanesi riescano a vedere il loro futuro nella loro terra. Ma questo non può accadere in un Paese dove le persone sentono che regna in ogni cellula della società e dello Stato l’ingiustizia e la furberia.
In questo tour europeo di presentazione dei suoi libri, lei ha parlato molto dell’Albania, della sua società ed anche di quella europea in relazione con l’immigrazione. Quali sono le riflessioni che si è portato con sé?
Quest’anno ho presentato i miei libri in Francia e in Italia. In Italia è stato un incontro unico poiché, ho ritirato il prestigioso premio letterario della Città di Cassino. Prima di me, questo premio è stato dato a scrittori molto famosi, come al premio Nobel Imre Kertetz .
Per mia fortuna conosco l’italiano e il francese, e la comunicazione con il pubblico è stata veramente gratificante.
I lettori di ogni Paese, o addirittura di ogni regione e paese, si diversificano tra di loro.
Questo arricchisce moltissimo uno scrittore, poiché scriviamo sempre immaginando il pubblico che ci legge.
Sono stato anche in Albania e sono rimasto veramente contento.
La presentazione del mio libro è stata organizzata a Kamëz, periferia di Tirana, dove un gruppo di giovani ha dato vita al Centro Culturale “ATA”. Lì ho capito che l’attenzione delle persone in Albania è monopolizzata dal centro delle città, che sia Tirana o meno, ed il resto pare non esista.
A Kamëz però ho trovato giovani affamati di lettura, di confronto, di creare. E questo mi ha riempito di gioia. Per me la vita vera è lontano dalle apparenze del centro.
Come immaginavo, Gazmend non manca a darmi risposte per niente banali.
La sua ultima risposta e il suo augurio per una società albanese che inizi a vivere anche nelle periferie, dimostra ampiamente i suoi valori di valutazione dell’emancipazione.
Ringrazio Gazmend Kapllani per l’intervista con un invito a rivederlo su Albania News, non solo come intervistato ma anche con la sua firma. Figure come le sue rappresentano appieno la missione che il nostro giornale prova a trasmettere.