“Il mare è rotondo” (Rizzoli 2020) è un romanzo di Elvis Malaj. La lettura di questo romanzo ha scattato un misto di emozioni che vanno da quelli “ma che cavolo è questa roba” per poi adorarlo verso la metà del libro e rimanere sorpresa, in modo positivo verso la fine.
Non conoscendo lo stile di Elvis, e non conoscendo l’autore, un po’ di pregiudizi li ho avuti durante le prime 100 pagine di questo libro, devo essere sincera.

Chi è Elvis Malaj?
Cercando online ho trovato solo poche informazioni sul suo conto. Elvis Malaj è nato a Malësi e Madhe (Albania) nel 1990. A quindici anni si è trasferito ad Alessandria con la famiglia, per poi trasferirsi a Belluno. Gli ultimi dati dicono che vive a Padova. Niente sulla sua istruzione o professioni vari che come dice lui in un’intervista online, sono stati dei lavori di merda che ha o sta cercando di cambiare.
“Sono un cantastorie, scrittore mi hanno fatto diventare quelli di Oblique” (intende Leonardo Luccone ed Elvira Grassi) e da li capisco anche perché durante il romanzo ho avuto la sensazione che più di un romanzo si trattasse di tante storie messe insieme dove a volte mancava proprio il fillo da collegare una storia con l’altra.
“Dal tuo terrazzo si vede casa mia” è il primo libro di Elvis (Racconti Edizioni 2017) con cui è arrivato nei 12 semifinalisti del Premio Strega 2018.

Il libro
I fatti prendono vita a Shkodër e nei dintorni. Ujkan è il protagonista del libro. Non si capisce perché vuole cosi tanto andare in Italia e forse non se lo ricorda neanche più, ma una cosa è sicura, non vuole rinunciare assolutamente anche se ci ha provato tante volte ma ha fallito miseramente. Dopo vari tentativi in modo illegale, come la maggior parte dei Albanesi che cercava di attraversare il mare in gommone in quei tempi (anche se qui mi manca il tempo esatto poiché non ce’ una data o un evento che fa capire a quale tempo si sta riferendo l’autore), una volta raggiunto la costiera Italiana Ujkan non riesce proprio a scendere e ritorna indietro (da qui si evince anche il titolo).
“Non me la sento” ha detto allo scafista incredulo, ed è rimasto sul gommone fino a casa, in Albania.
Il suo primo tentativo risale agli esodi kosovari, ma sua madre era riuscita a scovarlo un attimo prima che s’imbarcasse. Da li il suo pensiero fisso è quello di andare in Italia ma questa volta con un contratto di lavoro e documenti in regola. Una serie di eventi travolge la sua vita durante quel periodo di attesa.
All’inizio sembra un ragazzo bipolare, con seri problemi di stalking e fino ad arrivare a pensare di usare un vecchio metodo Albanese, “Shkuesi” per avere in sposa la ragazza di cui si è innamorato profondamente.
Irene è un personaggio vero e proprio con un caratteraccio, dovuto forse anche alla sua storia familiare. La seconda volta che incontra Ujkan lo incita ad avere rapporti intimi in pubblico, ma quando lui lo rifiuta perché è un romanticone che lo vuole portare fuori a cena, corteggiarla e non approfittare di lei, ecco che Irene non ne vuole sapere. Ujkan cerca in tutti i modi di farla innamorare e non rinuncia a lei anche quando Irene, stufa dei suoi corteggiamenti e inseguimenti (quasi pedinamenti) lo minaccia con una pistola puntata in testa. Ecco che si fa vedere da qui un ragazzo normale, innamorato, romantico e che tiene molto alla sua parola data “besë”.
Spesso si trova in situazioni imbarazzanti che nemmeno lui cerca di spiegarle. Come quella volta che Irene lo colpii con una pietra e lui rimase senza sensi per un po’. O quando l’amico Sulejman, lo scrittore, organizza un pranzo con lui e Irene, tentativo da parte di Ujkan di far parlare di più Irene e cercando di fare buona impressione con lei presentandoli un autore di cui sembrano tutti innamorati dei suoi libri (anche se l’autore di per sé presenta dei disturbi mentali da menefreghista e totale parasita), ma il pranzo finisce con il cantante che si spara con una pistola in bocca. O quando viene assalito dalle forze dell’ordine RENEA per un malinteso, ma rischia di lasciarci la pelle.
L’ironia dell’autore nel descrivere questi episodi, raggiunge il massimo quando sceglie i cognomi dei personaggi – Shkërdhata, Rrocka, Hundleshi. Leggendo la prima volta alcuni cognomi ho pensato due cose: I personaggi sono cosi falsi che l’autore non riusciva proprio a darli un cognome più appropriato, oppure l’editore non ha fatto un buon lavoro. Seguendo poi la linea del libro e capendo lo stile di Elvis, credo proprio che sia stata una scelta ben pensata da parte dell’autore. Cosi come non tradurle nessuna delle parolacce in Albanese (ne avrò letto cosi tante in questo libro che spesso mi sono messa a ridere come matta) e usate tutte una per volta senza tralasciare nemmeno una fuori, per non rischiare di fare un dispetto.
L’autore sembra che giochi molto e ironizza sui difetti umani e pregiudizi tanto da raggiungere una scala di sarcasmo che probabilmente non tutti lo possono capire. Intrecciare le storie, talvolta bizzarre ai termini del grottesco, insieme agli episodi della cruda realtà, non è facile. Ma l’autore non sembra che voglia focalizzarsi li. Nemmeno nel presentarci i personaggi dando qualche indizio sul loro aspetto fisico, le loro passioni o per alcuni la professione vera e propria. Lui si limita a raccontare le storie e basta.
Il personaggio più grottesco di tutto il libro (e ce ne sono molti) sembra lo scrittore controverso, Sulejman. Un uomo sposato, con un figlio piccolo, che sopravvive grazie al sostegno di sua moglie e gira tutto il giorno in cerca di storie che possano darli l’idea per il suo terzo libro.
Sorpreso dalla domanda della cassiera, Sulejman rispose: «Di che romanzo parla? Ha sbagliato persona». «Sono venuta alla presentazione del suo secondo romanzo, mi ha fatto anche l’autografo, signor Shkërdhata.» «Secondo un recente sondaggio, le persone a cui piacciono i miei romanzi sono affette da disturbo della personalità e tendenze antisociali, depravati e potenziali maniaci.»
Sulejman sembra il tipico amico che ti metterà sempre nei guai anche quando non li cerchi. Un menefreghista dei sentimenti altrui, un cinico che non fa il minimo sforzo per nasconderlo, che si nutre solo delle storie altrui a qualsiasi prezzo. Nel tentativo invano di scrivere il suo libro, dato che non trova nulla di cui scrivere, cerca di mettere in piedi un’impresa con Ujkan che porterà entrambi varie volte nei guai seri.
Gjokë invece e l’amico strano che non sa ancora se e bissesuale o gay, e dimostra questo suo lato solo quando è sotto gli effetti della droga e alcol.
Quella mattina Gjokë sembrava più pensieroso del solito, dopo il ragguaglio sui documenti non aveva ancora aperto bocca. Si capiva che aveva qualcosa di importante da dire. A un tratto sollevò gli occhi su Ujkan e gli chiese: «Hai mai la sensazio—». S’interruppe per bere un sorso di caffè. «Hai mai la sensazione di avere la fica?» A volte Ujkan aveva serie difficoltà a capire le domande dell’amico. «In… che senso?» rispose. «Sì, insomma, invece del pene, hai mai la sensazione di avere la fica?»
Opinione personale
Elvis sembra che conosca molto bene o ha fatto le sue dovute ricerche in merito al Kanun e alla parola data, “besë”. Sembra che ci tiene a far capire quanto è importante questa parola per un Albanese e a far conoscere le usanze tipiche Albanesi, come quella dell’ospite che è sacro in casa quando si accettano “miq” anche quando non è tra le persone più gradite in quel momento, ma viene trattato come la persona più importante della casa.
Anche se da una sua intervista nel 2018 ha affermato che si contano sul palmo della mano le volte che ha visitato l’Albania dopo che si era trasferito in Italia, sembra che si sia portato dietro tutto quello che ricorda dalle storie e usanze del nord.
In fine, posso dire che questo libro non lo dovete assolutamente perdere e dovete leggerlo con la mente aperta, come si fa quando si leggono le vignette satiriche.