Lo stile degli scrittori albanesi è dotato di singolare musicalità e di originale armonia. L’equilibrio tra le parole usate e i concetti espressi conosce grande regolarità, senza forzatura alcuna.
La capacità narrativa degli autori del Paese delle Aquile si copre di una veste possente, non trascurando quella delicatezza che rasenta l’incanto. Caratteristiche, queste ultime, che si ritrovano nelle argomentazioni, nelle descrizioni e nelle parti dialogiche, elementi che spesso costituiscono la punta di diamante della produzione proveniente dall’Albania. Una prosa elegante, fiorita, ricca di minuzie, che può essere a volte aspra e un po’contorta e di un’intima graziosità.
Si ritrova una scrittura semplice, mai elementare, che in diversi testi diventa di spessore e anche in quelli più impegnativi, non annoia e non stanca. I concetti sopra espressi nascono da una mia personale opinione, che non vuole essere assoluta, ma desiderosa di esprimere l’apprezzamento verso la più bella e interessante penna degli autori albanesi, comprendente sia quelli tradotti, che quelli che scrivono in italiano. Questa mia convinzione si estende a buona parte della letteratura proveniente dai Balcani, ma oggi voglio segnalarvi cinque libri di autori albanesi scriventi in lingua italiana. Scrittori che consegnano al lettore testi senza il “filtro” della traduzione, contenitori senza aloni e senza macchia della loro anima narrativa.
1 L’amore e gli stracci del tempo
La prima volta che Zlatan vede Ajkuna è rapito dal dondolio delle sue trecce che “si allungano quasi a toccare terra”. Non sa ancora che quella bambina diventerà così centrale nella sua vita. Crescono insieme a Prishtina, nella stessa casa, anche se lui è serbo e lei kosovara di etnia albanese. I loro padri, Milos e Besor, condividono la passione per la medicina e per le poesie di Charles Simic. Le loro madri, Slavica e Donika, litigano su come fare le conserve di peperoni e sui particolari di certe ballate, patrimonio comune dei popoli dei Balcani. Ma il Kosovo, in cui per secoli questi popoli hanno convissuto, alla fine degli anni Novanta sanguina. Ed è l’ennesima ferita al cuore dell’Europa balcanica. Tra i botti di Capodanno e gli spari della guerriglia, Ajkuna e Zlatan si promettono amore eterno “come solo due ragazzi possono promettersi”.
La storia però li separa: militare di leva lui, profuga lei. Ajkuna si ritrova in Svizzera, dove partorisce Sarah. Zlatan finisce in Italia, dove incontra Ines. Una ragazza minuta, con i capelli lisci che le cadono sulle spalle. Proprio come Ajkuna. In un montaggio alternato, il romanzo segue le vite dei due protagonisti, il loro rincorrersi e sfiorarsi, e forse perdersi. Lungo il cammino, in una babele arruffata di lingue, Zlatan e Ajkuna incroceranno una piccola folla di personaggi intensi, veri, col loro bagaglio di storie al seguito.
Un romanzo delicato, che si snoda intorno alla forza dell’amore e dell’amicizia, alla sofferenza provocata dalla guerra e dai distacchi forzati, senza trascurare le conseguenze del trascorrere del tempo sui sentimenti e sugli affetti.

***
2 La mano che non mordi
Esiste una lingua per raccontare lo spaesamento? Tutto parte da un viaggio a Sarajevo: un tuffo nel cuore dei Balcani, generoso e polveroso come nei ricordi d’infanzia. Qui la pioggia bagna la pelle più in profondità che altrove. La morte è più sorprendente e ha più sapore. Come un assedio, ad ogni passo risuona “l’esperanto balcanico”, quel linguaggio inudibile e perentorio che non è possibile lasciarsi alle spalle. Un romanzo vivo, caustico, una scrittura apolide leggera e penetrante come le emozioni di cui si nutre.
Una scrittura originale nel racconto emozionante di una donna albanese, in un equilibrio armoniosamente precario tra quello che è e che quello che era.

3 Sole bruciato
“Sole bruciato” racconta la vita di uomini e donne smarriti dopo il crollo del regime albanese e i sogni sbriciolati sui marciapiedi d’Europa da un male che nessuno pensava di avere dentro. Un male che esplode quando le speranze si infrangono definitivamente, con la violenza senza limiti, la follia dei soldi facili, l’annullamento di qualsiasi etica umana. La voce narrante che apre il romanzo è quella di Leila, una giovane donna convinta a venire in Italia per diventare stilista e obbligata a prostituirsi. Leila torna a casa morta, rinchiusa in una bara, dopo tre anni di assenza. Come nei racconti epici è lei a tirare le fila delle numerose storie che si intersecano: la sua, quella di Soraja, di Elena, di Laura e di altre ragazze tutte con lo stesso destino.
Forte, doloroso, crudo, emozionante, esprime i tratti di una realtà devastante.

4 La sposa rapita
Con una precisione degna di uno storiografo, Artur Spanjolli colloca la storia di “La sposa rapita” in un remoto passato dell’Albania, quando le donne erano schiave degli uomini e le figlie merci di scambio per matrimoni convenienti, quando gli affari di cuore si risolvevano armi alla mano, nel divampare di passioni primitive, faide familiari e morte. Lo scrittore che ci ha fatto conoscere la religione della famiglia e degli avi in “Cronaca di una vita in silenzio”, offrendoci il ritratto della stirpe dei Cialliku come esempio di civiltà e di buone usanze, intende narrare l’altra faccia della medaglia, quella selvaggia e barbara di due famiglie in lotta. Spanjolli racconta un episodio di sangue, attinto dalla cronaca locale, che trasforma in una favola amara dai molteplici significati.
Una narrazione amaramente fiabesca, che fa da cornice a un’umanità piegata da obsolete necessità e tradizioni.

5 Dal tuo terrazzo si vede casa mia
Fra due case che si vedono l’un l’altra potrebbe esserci una strada. Lastricata e sicura, a volte, ma più spesso tortuosa, o liquida come il mare fra l’Italia e l’Albania. La via fra le sue onde è faticosa come una lingua da imparare, andando e tornando, pensando una cosa e dicendone un’altra. Ma non sono soltanto le parole a mutare, ad assumere nuovi significati in questo relato sono i fatti stessi e le persone che troviamo sul cammino. Sempre a metà del guado, Elvis Malaj ci restituisce qualche tappa di questo percorso: due mondi, due lingue, fra noi e loro, me e te.
Declinazioni dell’inadeguatezza – per forza di cose – poiché a camminare in cima al bordo si finisce per barcollare, e non corrispondere ad alcuna definizione. E così una prima volta non sarà mai abbastanza bella, o abbastanza prima, un approccio mai abbastanza azzeccato, una battuta mai capita fino in fondo, e una metafora? O troppo astratta o presa troppo alla lettera. E qualche volta, per evitare il confronto, si chiederà scusa e si scapperà via approfittando di un incidente; oppure si preferirà il silenzio sin da subito e l’incidente lo si andrà a cercare.
Si indosserà una maschera per diventare le persone che vogliamo. Perché il confine, sfumando, è tra finzione e realtà. “Dal tuo terrazzo si vede casa mia” è l’invito a venire dall’altra parte, a scendere di casa e passare per quella strada. Un’istanza di condivisione e meticciato, di sguardo altro, di cui sentiamo il richiamo.
Un libro che invita al dialogo, alla condivisione, all’andare oltre ogni differenza.
