Tra i nuovi libri o pubblicazioni in Italia sul mondo e sulla cultura albanese segnaliamo il saggio di Anesti Naci, Petro Marko, il compagno se stesso, contenuto nel testo a più mani dal titolo Uscire dalle regole, (scritti in onore a Umberto Sereni), edito dalla Forum Edizioni, casa editrice dell’Università degli Studi di Udine.

Si tratta di un’analisi originale della figura più straordinaria e umanamente piena del Novecento albanese. L’indagine, rivolta tanto all’uomo Marko quanto al suo ruolo sociale e politico nella realtà albanese non solo in vita, ma anche per l’immagine tramandata ai posteri di quel compagno se stesso, è affrontata da un punto di vista più ampio, attraverso un’analisi acuta sulla complessa società e la mentalità albanese in generale.
L’intromissione della politica, o meglio, delle dinamiche politiche nelle diverse interpretazioni della storiografia in Albania hanno limitato la qualità dell’indagine culturale.
Tale ossessiva intromissione, che riguarda quasi tutta la generazione coinvolta nell’aut-aut del potere politico, non soltanto ha ristretto nel tempo il campo di indagine storico-culturale, ma ha anche condizionato, in chiave prettamente politica, l’interpretazione del passato e delle persone vissute in quel periodo e anche in seguito.
Tuttora si ricorre agli stessi cliché interpretativi che fanno fatica a cadere e sono nemici di qualsivoglia processo di liberazione della mente storica – come afferma l’autore. Difatti, dalla lettura di questo saggio ci si accorge del vuoto e dell’inutilità di alcuni termini divenuti etichette, quali “dissidente, ribelle, collaboratore, servile”, ecc., usati spesso nella storiografia albanese in modo approssimativo e generico.
La forza e l’originalità del saggio di Anesti Naci risiede proprio nel cogliere che, oltre alle colpe del regime da un punto di vista strettamente politico e del popolo quanto a mentalità ed in senso più ampio, esiste un altro attore nel dramma umano e artistico vissuto da Petro Marko, ovvero la servile “classe delle lettere”, quella “cultura colpevole”, che all’epoca generava mediocrità attraverso la denigrazione del diverso, e che oggi fa altrettanto inventandosi nuove e sterili categorie settarie o usando termini inappropriati per quel passato di cui è anch’essa responsabile.
Questa disamina e altre intuizioni riguardanti l’uomo Marko in rapporto alla mentalità albanese, non solo dell’epoca, rendono il breve saggio estremamente coinvolgente.