Il giorno dopo aver preso in mano l’ultimo libro di Elvira Dones, La breve vita di Lukas Santana (La Nave di Teseo Editore giugno 2023), ci ha lasciato il grande Cormac McCarthy. È stato uno scrittore che ho sempre stimato e la notizia della sua scomparsa è caduta come un macigno sulla mia lettura. Proseguivo e mi rendevo conto che c’era anche qualcos’altro a richiamare in me McCarthy.
Il nuovo romanzo di Dones è ambientato nel mondo ispanico-americano. C’è dell’altro, ancora più importante: lo stile minimalista, caratteristico di McCarthy, un modo narrativo che riesce a condensare ed esprimere tutto, che mi è parso di vedere anche nella scrittura di Elvira Dones. Sì, a mio parere, questa volta si ritrova una Dones in versione Cormac McCarthy!

Un paragrafo in particolare mi è risuonato geniale. Pur essendo caratterizzato sempre da minimalismo e intensità, si arricchisce di elementi nuovi, facendomi dimenticare McCarthy e indirizzandomi definitivamente verso lo stile di Dones.
Esce dalla stanza, chiude la porta a doppia mandata, scende le scale del dormitorio, e inizia a correre nella notte indifferente verso chi vive o chi muore.
Ho avuto la sensazione che l’autrice parlasse a me.
La breve vita di Lukas Santana è stato definito “un romanzo corale di grande intensità, che sa restituire speranze e sconfitte individuali al di là delle leggi”.
Penso che sia questo il sentiero percorso della letteratura di finzione: il thriller, per esempio, si costruisce “al di là delle leggi”, con i personaggi che devono risolvere i loro problemi, lottando contro un ambiente in apparenza legale, ma che nella realtà si palesa ostile e assurdo.
Dalle prime pagine lette, però, intuisco subito che bisogna fare i conti con la legalità vera e propria creata dagli uomini e pertanto disarmante e che, in situazioni di contrarietà affievolisce le azioni e le reazioni umane.
Per cui, serve un altro tipo di letteratura, proprio quella tipica della Dones, con una forte impronta giornalistica, che si ritrova anche nei libri precedenti, che non tenta di scappare, alimentandosi della cruda realtà, intensificandosi e scatenando una reazione plurima. Quell’atmosfera di orrore, quella sensazione individuale di un pugno nello stomaco che ho sentito leggendo altri suoi romanzi, qui cambia in una reazione ad ampio raggio, dove le sensazioni e le reazioni diventano condivisibili.
La mia lettura si frammenta e non mi sento più un lettore solitario. La voce narrante si fa polifonia di un coro di personaggi provenienti da tutto il mondo e come lettore mi sento uno di loro, preso per mano in un viaggio perenne verso chi vive o chi muore.
Cosa succede intorno alla storia di Lukas Santana, che vive da dieci anni nel braccio della morte pur non avendo mai ucciso? Sì, ha violato la Legge sulle Bande e per lo stato di Texas la sua condanna è la morte. Intorno a questo personaggio-nucleo girano altre figure satelliti. Nel primo cerchio sono gran parte donne chiamate a soffrire a modo loro. Gli uomini feriscono le donne nella presenza e soprattutto nell’abbandono. Il paradigma dell’abbandono maschile colpisce, sempre e ovunque sia la donna.
Beatriz Macedo, la ragazza che Lukas ha conosciuto solo tre mesi prima dell’arresto, rinuncia ai suoi sogni per lui, quando prima, nella sua infanzia era già stata abbandonata dal papà che aveva lasciato la famiglia. Miriam, la mamma di Lukas, maltrattata dal primo marito, ora vive la prigionia del figlio come se fosse la sua seconda vita. Sua zia Ynez, che vive in California pur tentando una carriera intellettuale, oltre che per la scomparsa del fratello Abel, soffre anche per suo nipote. Falma, amica di Ynez, di origine albanese, sembra il satellite più lontano raggiunto dalla sofferenza.
Arriva comunque la smentita. Esiste anche un altro cerchio di sofferenza intorno a Lucas fatto di personaggi maschili: Thierry Morel, dottorando svizzero-francese in Criminologia, che intrattiene con il condannato uno scambio epistolare sempre più intimo, il Santo, detenuto afroamericano, vicino di cella di Lukas, che è una sorta di condannato-filosofo.
Il dolore non rappresenta una disputa uomo-donna. Si tratta di una questione umana, in generale. Il sentire di Lucas davanti alla morte potrebbe essere illustrato con le parole di Clarise Lispector, – scrittrice, giornalista e traduttrice ucraina naturalizzata brasiliana, – per altro citata da Dones nel romanzo.
“Morire è del più grande rischio, non saprò passare alla morte e muovere il primo passo nella prima assenza di me – anche in quell’ora ultima e così prima inventerò la tua presenza sconosciuta e, in tua compagnia, inizierò a morire sino a poter imparare da sola a non esistere, e allora io ti lascerò libero.” (La passione di G. H., Feltrinelli 2019)”.
Lucas ha avuto bisogno di essere accompagnato e aiutato a morire. Lo stile minimalista e intenso accompagna tutto il libro e da lettore ho avuto la sensazione di essere parte di un corteo che protesta non contro la morte, bensì contro la sua ombra oscura sulla vita.