Il dittatore in croce: si intitola così il nuovo libro di Mira Meksi, una tra le più apprezzate autrici dell’attuale panorama letterario albanese, pubblicato da A&B Editrice, 2023, per la traduzione di Giovanna Nanci.
Le prime pagine
Il dittatore era in piedi e guardava il mare. Era vestito in maniera strana, con una lunga tunica bianca, il cappello da partigiano e una stella a cinque punte che troneggiava sulla sua fronte. Camminava in mare, mentre il vento soffiava forte e le onde si facevano alte come le montagne, tanto da fargli sentire la sabbia sotto i piedi. Gli bastò un gesto, il movimento di un braccio, per far sì che scomparisse il mare, lasciando spazio alla terra. Le acque si divisero e gli uomini camminarono seguendo la figura vestita di bianco.
Aveva un bastone in mano, la sua forza, la sua guida, quando, girando la testa, si rese conto di essere solo, di non avere nessuno dietro di sé. La costernazione si fece quasi paura: eppure aveva tutte le intenzioni di condurre il popolo verso un futuro meraviglioso. Cosa stava accadendo? Toccandosi la fronte, stupito, si rese conto che non aveva più la corona, bensì era il corpo morbido di una medusa ad avvolgergli la testa.
Era solo un sogno, dal quale il dittatore si risvegliò madido di sudore. Il momento della coscienza, però, durò molto poco: il mondo onirico non tardò a riprendersi la ragione per riportare il suo corpo nelle acque, questa volta non del mare, ma di un fiume. Indossava ancora la tunica bianca, quando dovette inginocchiarsi davanti a un uomo, che gli versò sulla testa dell’acqua, donandogli una sensazione di leggerezza, quasi salvifica.
Era come se si sentisse liberato da tutti gli orrori commessi: era come se fosse diventato, improvvisamente, figlio del Padre. Quell’uomo, che lo aveva sollevato da tutte le sofferenze, aveva sicuramente il volto del Battista, ne era certo. I suoi occhi, invece, gli raccontarono altro: videro la faccia di Stalin, non nelle sue naturali fattezze, ma in tutta la sua bruttezza. Non poté fare altro che svegliarsi e allontanare da sé la voglia di dormire.
Quello che più lo spaventava era il primo sogno, perché sembrava proprio predire il futuro, mentre il secondo, forse, non aveva alcun peso: in fondo, Stalin faceva parte del suo passato. Certo, aveva inneggiato al rivoluzionario sovietico, lo aveva accolto quando il resto del mondo lo emarginava. Lo aveva idolatrato e aveva costruito un sistema governativo che pareva incentrato sui principi staliniani, ma che, in realtà, si snodava intorno all’unica figura, quella dell’uomo, di “Lui stesso.” Davvero non era da considerare l’ultimo sogno? Erano due visioni distinte o erano in qualche modo collegate? Non poté non pensare al Battesimo e a colui che lo aveva battezzato. Inutile illudersi ancora: la fine era, ormai, vicina.
Circa dieci anni prima lo avevano colpito due infarti, indebolendo parecchio le sue forze. Tra l’altro viveva nel terrore che gli fosse stata impiantata una bomba nel petto, pronta a farlo saltare in mille pezzi. Era un uomo malato e questo era innegabile: era diabetico, in più, un anno prima, un problema celebrale gli aveva bloccato le gambe per quasi un mese, facendogli perdere buona parte della memoria e la padronanza della parola. Da allora, guardava gli altri con circospezione, perché era certo che non gli dicessero la verità.
La trama
In quelli che sono i suoi ultimi giorni di vita, il dittatore ripercorre tutta la sua esistenza, ponendo l’attenzione sugli episodi più significativi, quelli che più lo hanno segnato. Così, in questo Il dittatore in croce, la Meksi narra, attraverso le rimembranze dell’uomo, l’Amore che egli ha vissuto, le nefandezze che ha commesso, il terrore che è stato per gli altri uomini.
Il dittatore non è un arrendevole e cerca un’altra forma di redenzione, un’altra possibilità di vita sulla terra, chiedendola alla Sacra Reliquia della Resurrezione, mentre si prepara alla morte. La scrittrice racconta delle radici pagane della chiesa della Natività di Labova della Croce, delle origini antiche della lingua albanese, rivelando l’arcano del “Santo Graal”, che rappresenta la speranza di salvezza per l’uomo.
Si consegna al lettore un libro, che rivela una piacevole lettura, dallo stile superbamente elegante, in cui la scrittrice condensa, con ricercato equilibrio, sarcasmo, una buona dose di noir, le indagini poliziesche, un pizzico di magia e fantasia, per raccontare la tragica verità di un uomo e con essa la tragedia dell’umanità.
Al di là del personaggio
Mira Meksi presenta il dittatore in maniera unica e originale, in modo totalmente differente da come è sempre stato rappresentato. La scrittura scorrevole e di sobria fattura non sminuisce il profondo significato del testo e la complessità dell’analisi che ne deriva. Di primo impatto, può sembrare che la figura del dittatore sia il fulcro del volume, ma, in realtà, costituisce una parte di quanto la scrittrice ha voluto realmente raccontare.
Egli rappresenta il motore della narrazione, che si muove in un mondo molto più complesso e articolato, relazionandosi strettamente con il suo personaggio. In altre parole, l’opera va ben al di là del profilo dell’uomo descritto con limpida dovizia di particolari: Il dittatore in croce non è un romanzo sul dittatore. La sua struttura è fondamentalmente costituita da tre parti: gli ultimi giorni vissuti dal tiranno, il tentativo di rubare la Croce, che custodisce il pezzo di legno sacro appartenuto alla Croce di Cristo, per il ritorno alla vita e la scoperta del mistero della chiesa di Labova, con i suoi più intimi anfratti.
Le sezioni si amalgamano, si intersecano, dando vita a qualcosa che va oltre la storia raccontata, portando un messaggio che profuma di universalità. La Meksi tenta di trascinare chi legge in una comprensione che va al di là della lettura stessa, già di per sé molto positiva; fa un tentativo, ben riuscito, di portarlo in una dimensione potentemente emotiva, offrendogli spunti di riflessione che si smembrano dall’oggettivo, per giungere a un’interpretazione propria del pensiero, del conoscere e dell’agire umano, nell’ambito assoluto ed esclusivo del divenire storico.
Il dittatore come tutti
Da sempre l’uomo cerca di contravvenire alla morte, di superare il momento con la rinascita, la resurrezione: è qualcosa che si tenta di individuare dai tempi della Resurrezione di Cristo. Nel romanzo si evidenzia quanto questo desiderio umano sia diffuso, diventando l’antitesi del concetto di peccato.
Qui subentra il sarcasmo utilizzato dalla Meksi, non tanto per rappresentare la figura del dittatore, quanto per distruggerla, perché l’autrice disegnando la sua ansia, le sue paranoie, il suo timore di essere giudicato, seppur lentamente, disintegra l’uomo, la sua persona, le sue azioni e ogni forma di pietà che si potrebbe provare nei suoi confronti. È grande la capacità introspettiva della sua penna, che riesce a entrare in profondità nel personaggio e nella sua realtà, attraverso la rappresentazione delle inquietudini, dei terribili sogni, dei timori e della necessità che nei ricordi tutto sia diverso.
Che sia chiaro: non traspare alcun pentimento da parte del dittatore. Il suo è solo terrore, è fobia della punizione. Pertanto, la Meksi conferisce al personaggio delle caratteristiche universali, che possono essere attribuite a qualsiasi figura a capo di un regime totalitario, tratteggiandone un contorno tragico, a emblema delle contraddizioni che lo avvelenano, tra il suo prepararsi alla morte e la voglia di attaccarsi alla vita, tra il desiderio di avere vicino l’amore e la volontà di fuggire.
A un certo punto emerge la spasmodica intenzione di riportare indietro l’amore, ma la sua perfidia, quella che è stata del suo essere, di un uomo che ha fatto male ad altri uomini, lo ha tradito, lo ha malmenato e probabilmente diventerà artefice della sua morte, perché solo l’amore può determinare il ritorno alla vita. Questo è il momento in cui il dittatore, che rappresenta ogni dittatore, fa i conti con la brutale realtà costruita da egli stesso. Un uomo che ha seminato solo male, odio, rancore, cattiveria, che ha ucciso, torturato, incarcerato, può avere potere sulla Santa Croce fino al punto di riportarsi alla vita?
L’albanologo Guttenberg
L’albanologo è l’espressione dell’interesse che molti studiosi hanno dimostrato, negli anni, nei confronti della lingua e della cultura albanese e non solo. La ricerca sulla storia della fondazione della chiesa di Labova non è solo un argomento che si rivela molto interessante, ma vuole essere un ritorno alle epoche di tanti secoli fa.
La parte del romanzo, dedicata al suo studio e al suo contributo, si veste di brillante magia. Il lettore viene coccolato da parole ricche di significato storico e allo stesso tempo, emblematiche di un mondo ovattato, misterioso, incantevole, che se da una parte di sposa con il resto del romanzo, dall’altra si distacca emotivamente. La Meksi crea un personaggio immaginario, in cui studio e fantasia riescono a raggiungere un equilibrio perfetto.
Emerge, anche in questo volume, la volontà dell’autrice di non lasciare nulla al caso, ma di riportare nozioni documentate con estrema precisione. Ne nasce quindi un libro dai contorni storici, carico di simbolismi, oltre che di cruda realtà. Uno dei simboli più autentici e allo stesso tempo feroci è il sacro frammento conservato all’interno della Croce, come simbolo del sacrificio, che nessuno riesce a prendere, perché è necessario essere meritevoli e i dittatori, nonostante il potere, nulla possono di fronte a tanta sacralità.
Alla fine…
Il romanzo di Mira Meksi è incentrato sull’umanità, sulla sua spiritualità, sul decadimento della fede e sul suo recupero, sulla sua affezione all’Amore perduto, sull’urgenza di riappropriarsi di uno dei più grandi sentimenti umani e sulla voglia, ormai fatta necessità, di compiere un’azione salvifica nei confronti della propria esistenza. Il dittatore in croce è un libro intrigante, scorrevole, appassionante, intenso e profondamente realistico.