Io ho ucciso di Eni Vasili, pubblicato nel 2017 da Besa Muci Editore, per la traduzione di Valentina Notaro, è un libro da non dimenticare, che dà voce alle emarginate, alle donne colpevoli, a quelle che non smetteremo mai di stigmatizzare.

L’antologia del dolore
Quando a identificazione di un libro vi è la parola “raccolta”, sappiamo di avvicinarci a un volume che ci farà gironzolare tra storie e racconti, che ci regalerà il profilo di un’umanità variegata, incorniciata nell’espressione donata dalla penna dello scrittore.
Anche il libro di Eni Vasili, volto noto del giornalismo televisivo albanese, è un’antologia di interviste e a narrare sono le donne omicide. L’impatto con questo testo è destabilizzante, importante, stordente, tanto da provocare un ronzio metallico nelle orecchie, che una volta riacquistata la lucidità, si trasferisce nell’anima.
Le protagoniste sono figure spettrali, originate dalla violenza maschile, quella che nasce dove nessuno vede, quella perpetrata nei luoghi lontani da ogni immaginazione, come la casa. Sono donne che raccontano la loro colpevolezza, dandola in pasto a una realtà che le vede martiri dei carnefici uccisi dalle loro stesse mani.
La vita nelle storie
La domanda dalla quale l’autrice è partita per realizzare questo Io ho ucciso, una sorta di reportage dalle carceri, risiede nelle motivazioni che spingono proprio le donne che danno la vita, a toglierla. La Vasili non ha voluto concentrarsi sull’omicidio in senso stretto, sul perché esista e sia parte dell’evoluzione umana, ma sulla mano assassina femminile.
Si tratta di donne comuni, giovani, meno giovani, madri, sorelle, mogli e ognuna di esse porta con sé un dramma pauroso, forte, criminale per quel corpo maltrattato, per quella mente violata e ridotta a istinto omicida. Sono testimonianze che la Vasili ha raccolto recandosi fisicamente in carcere; un lavoro per nulla semplice far comprendere loro l’importanza del racconto e la necessità che simili vicende vengano narrate fuori dai tribunali.
Ci è riuscita la giornalista, è riuscita a far parte delle loro vite, ad assorbire le loro storie e quelle degli uomini, mariti, figli, fratelli che hanno abusato di loro e dai quali hanno voluto consciamente o inconsciamente liberarsi. Ha trascritto quei racconti, ha messo nero su bianco le urla di dolore, la rassegnazione, l’alienazione, le parole di anime perdute, che vogliono ritrovarsi, libere da quell’indicibile sofferenza.
Nessuna accusa
La Vasili non giudica, non accusa, non si pone in una posizione di valutazione, non forza, non spinge necessariamente alla riflessione, riportando esclusivamente i fatti. Narra con taglio giornalistico, pur non spegnendo mai il lato emozionale, che rimane vivo, come un fiore appena sbocciato, con la potenza della lama più tagliente. Nonostante il silenzio, l’autrice consegna al lettore un libro da leggere, pregno di fatti reali, purtroppo, drammaticamente attuali, colmo di fortissime emozioni, dove non si intravede alcuna forma di riscatto, se non un fitto dialogo con la propria coscienza.